Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.11574 del 15/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13930-2019 r.g. proposto da:

S.K., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Michele Carotta, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Vicenza, in Contrà Santo Stefano.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore il Ministro.

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia, depositata in data 11.3.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 4/3/2020da1 Consigliere Dott. Roberto Amatore.

RILEVATO

che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto da S.K., cittadino del *****, nei confronti del Miniestero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa in data 19.6.2017 dal Tribunale di Venezia, con la quale erano state respinte le domande volte al riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria.

La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato di: i) essere nato in Mali e di provenire dal quartiere *****; ii) di vivere vicino ad un campo militare di “berretti rossi” (ex guardie presidenziali rimaste fedeli al presidente destituito dopo il colpo di stato del 21.3.2012) e di aver assistito ad uno scontro armato tra le due contrapposte fazioni politico-militari del paese; iii) di avere timore di rientrare nel suo paese di origine per il pericolo di essere coinvolto ancora in pericolose operazioni militari.

La Corte territoriale ha ritenuto che: a) non era fondata la domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava peraltro smentito da fonti di conoscenza internazionali; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese (Mali) collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che la valutazione di non credibilità escludeva tale possibilità e perchè il ricorrente non aveva dimostrato un saldo radicamento nel contesto sociale italiano, non rilevando a tal fine il solo svolgimento di attività di volontariato, ed anche perchè non era riscontrabile una situazione di peculiare vulnerabilità collegata alla provenienza del richiedente (regione di *****).

2. La sentenza, pubblicata il 11.3.2019, è stata impugnata da S.K. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dei principi regolanti l’onere della prova in tema di riconoscimento dello status di rifugiato.

2. Con il secondo mezzo si deduce nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ragione dell’utilizzo di criteri erronei e illegittimi nella valutazione dei fatti rappresentati nella documentazione e nelle dichiarazioni rese dal richiedente.

3. Il terzo mezzo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e art. 14, in relazione al recepimento della direttiva 2004/83/CE ed erronea valutazione del territorio di provenienza del richiedente.

4. Il quarto motivo articola vizio di difetto di motivazione.

5. Il ricorso è inammissibile.

5.1 Già la prima doglianza non supera il vaglio di ammissibilità.

La censura si compone solo di generiche osservazione sulla dedotta violazione del principio di cooperazione istruttoria da parte dei giudici del merito, senza che la stessa si premuri di cogliere la ratio decidendi relativa al diniego della richiesta protezione internazionale, e cioè la valutazione di non credibilità del racconto del richiedente asilo.

5.2 Il secondo motivo è anch’esso inammissibile perchè lo stesso si limita ad illustrare ragioni di doglianza volte ad una rivalutazione del merito della decisione in relazione allo scrutinio di credibilità del racconto del richiedente, profilo quest’ultimo sul quale la corte lagunare ha speso una motivazione adeguata e scevra da aporie ovvero intrinseche illogicità argomentative.

5.3 Anche il terzo motivo è in realtà inammissibile in quanto volto a richiedere alla corte di legittimità una rivalutazione contenutistica del merito della decisione in ordine alla valutazione di pericolosità interna del paese di provenienza del richiedente (il Mali), profilo quest’ultimo sul quale la corte territoriale ha articolato, invece, una motivazione adeguata e scevra da criticità argomentative.

5.4 Anche il quarto motivo deve essere dichiarato inammissibile.

5.4.1 Sul punto, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza di vertice espressa da questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Detto altrimenti, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

5.4.2 Ciò posto, osserva la Corte come la parte ricorrente neanche abbia allegato un difetto motivazionale nel senso sopra chiarito, limitandosi la doglianza a prospettare un vizio argomentativo rivolto ad una rivalutazione del merito del decisione, come tale non ricevibile innanzi al giudice di legittimità.

Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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