Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.11595 del 15/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4888-2018 proposto da:

ROMA CAPITALE *****, in persona della Sindaca Avv. RAGGI VIRGINIA, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO DI FRANCIA 182, presso lo studio dell’avvocato SIMONETTA NARDI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO SPORTELLI;

– ricorrente –

contro

M.O., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELA GALASSO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4535/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/01/2020 dal Consigliere Dott. MOSCARINI ANNA.

FATTI DI CAUSA

Roma Capitale ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 6455 del 2018 che, riformando la pronuncia di primo grado, ha accertato la sua responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., per i danni occorsi ad M.O., riportati a seguito di una caduta avvenuta su un marciapiedi vicino alla scuola del nipote, causata da avallamento o buca coperta da fogliame, costituente insidia o trabocchetto. La sentenza, per quel che ancora qui di interesse, ha accolto l’appello della M. avverso la pronuncia che aveva, invece, ritenuto la mancata diligenza della danneggiata, applicando l’art. 2051 c.c., in base al quale la responsabilità del custode – di tipo oggettivo è esclusa solo allorchè la parte onerata della custodia, a fronte della prova del fatto dannoso e del nesso di causalità tra il danno ed il bene in custodia, provi il caso fortuito ovvero l’esistenza di un fattore estraneo, con caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità, idoneo a rompere il nesso causale. Il Giudice ha ritenuto che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità tale da rendere molto probabile, se non inevitabile il danno, che il dosso si presentava come una palese alterazione del manto stradale rispetto alla sua normale struttura e che l’alterazione non era segnalata ma anzi coperta dalle foglie sicchè la buca responsabile della caduta era da ritenersi invisibile. Era da escludersi, in base alle evidenze probatorie, che il fortuito potesse essere costituito dal presunto comportamento non diligente della M., risultando che la stessa, pur non accompagnando per la prima volta il nipote a scuola, era stata costretta ad utilizzare quell’accesso a causa di un’assemblea sindacale degli insegnanti della scuola che aveva precluso altri accessi e che non si avevano prove della circostanza, eccepita dall’appellata, che la stessa conversasse con altre persone al momento della caduta. Affermata la responsabilità di Roma Capitale, la Corte territoriale ha quantificato il danno, alla luce delle risultanze della CTU esperita in primo grado, in base alle Tabelle del Tribunale di Milano, nella somma di Euro 49.756,00 oltre rivalutazione ed interessi legali sulla somma rivalutata, ha condannato la parte soccombente alle spese del doppio grado del giudizio e di CTU.

Avverso la sentenza Roma Capitale propone ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria. La M. resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 la ricorrente censura la sentenza per aver pronunciato extra petita partium avendo liquidato alla M. il danno in una misura superiore a quella richiesta dalla stessa appellante la quale, sulla base dell’accertamento peritale svolto in primo grado – che aveva ridotto l’invalidità permanente dal 30% al 18% – aveva formulato la domanda per una somma minore, aderendo alle conclusioni del CTU e rinunciando alla superiore valutazione del danno effettuata dal proprio CT di parte. La sentenza sarebbe inficiata da ultrapetizione anche in relazione alla liquidazione delle spese di CTU poste a carico di Roma Capitale in assenza di uno specifico motivo di appello. Nè potrebbe, ad avviso della ricorrente, considerarsi valida l’affermazione della “maggiore o minore somma ritenuta di giustizia”, integrando quest’ultima una mera clausola di stile a seguito di un accertamento peritale che aveva fornito la base per una quantificazione.

1.1 Il motivo non è fondato. L’appellante aveva indicato, nelle proprie conclusioni, la richiesta di condanna al pagamento della somma di Euro 31.174,56, tenendo conto delle conclusioni del CTU svolte in primo grado o di quella maggiore o minore ritenuta di giustizia, in una fase del processo in cui non poteva dirsi raggiunta la certezza in ordine al quantum del risarcimento. Come appare evidente dall’esito della valutazione svolta in sede di appello, il Giudice ha dato seguito alla valutazione tecnica del CTU, applicando le Tabelle di Milano le quali sono considerate da questa Corte parametri tendenzialmente vincolanti idonei a valorizzare le singole variabili del caso concreto (Cass., 3n. 11754 del 15/5/2018). Rispetto a tale valutazione non può dirsi che l’espressione utilizzata dalla danneggiata “maggiore o minore ” fosse di mero stile in quanto detta conclusione è propria, in base alla giurisprudenza di questa Corte, di quelle fattispecie in cui il danno è stato già quantificato all’esito di una CTU sicchè tale quantificazione è in qualche modo vincolante per la parte che formula la relativa domanda risarcitoria (Cass., 2, n. 6350 del 16/3/2010; Cass., 3, n. 12724 del 21/6/2016). In una fattispecie quale quella in esame, nella quale la valutazione tecnica non si è tradotta in un quantum vincolante ma solo in una misura percentuale di invalidità permanente, non può ritenersi che la quantificazione del danno fosse già stata precisamente formulata tale da rendere la clausola “maggiore o minore” qualificabile come “di stile”. La quantificazione del danno è stata formulata dal Giudice d’Appello sulla base delle Tabelle milanesi sicchè non può ritenersi che, prima di detta quantificazione, la danneggiata potesse conoscere con esattezza quale sarebbe stata la quantificazione operata dal Giudice. Essendo le Tabelle di Milano quantomeno regole integratrici del concetto di equità, atte a circoscrivere la discrezionalità dell’organo giudicante (Cass., n. 1553 del 22/1/2019), l’aspettativa della ricorrente di poter ottenere una somma maggiore di quella indicata nelle conclusioni non poteva certo ritenersi malriposta.

La giurisprudenza di questa Corte non preclude al Giudice la possibilità di indicare, per l’appunto, una somma maggiore rispetto a quella richiesta dalla parte, senza cadere nel vizio di ultrapetizione.

Si veda, ad esempio Cass., L, n. 20707 del 10/8/2018 secondo la quale “Quando l’attore, con l’atto introduttivo del giudizio, rivendichi, per lo stesso titolo, l’attribuzione di una somma determinata ovvero dell’importo, non quantificato, eventualmente maggiore, che sarà accertato all’esito del giudizio, non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che condanni il convenuto al pagamento di una somma maggiore di quella risultante dalla formale quantificazione inizialmente operata dall’istante, ma acclarata come a quest’ultimo spettante in base alle emergenze acquisite nel corso del processo” (Cass., 6-L n. 19455 del 20/7/2018; Cass., L, n. 20707 del 10/8/2018).

2. Con il secondo motivo di ricorso – travisamento della prova; violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la ricorrente censura l’impugnata sentenza per aver posto a fondamento della decisione un preteso rapporto della Polizia municipale invero mai acquisito al giudizio e prove testimoniali non decisive sulle quali si sofferma diffusamente per evidenziare la pretesa illogicità e contraddittorietà della motivazione che si fonderebbe su una prova inesistente e su prove obiettivamente ed incontestabilmente diverse da quello assunte in giudizio.

2.1. Il motivo è inammissibile perchè con esso la ricorrente mira ad ottenere una rivalutazione delle prove, con particolare riguardo alla rilettura delle prove testimoniali sulle quali la decisione impugnata trova fondamento. E’ vero che il riferimento al verbale della Polizia municipale è erroneo, ma è altresì vero che la motivazione non si basa sul contenuto di quel presunto verbale ma sulle risultanze delle prove testimoniali, dalle quali la Corte territoriale ha desunto la prova dei presupposti per l’applicazione dell’art. 2051 c.c., cioè la prova dell’evento dannoso e del nesso causale, mentre non ha ritenuto raggiunta la prova del fortuito integrata dalla condotta non diligente della danneggiata, concludendo, sulla base delle prove testimoniali raccolte, che il dosso che aveva provocato la caduta della M. si presentava come una palese alterazione del manto stradale rispetto alla sua normale struttura, con la conseguenza che la stessa era attribuibile ad una buca coperta dal fogliame e quindi invisibile in ragione della posizione e della presenza di foglie a totale copertura della stessa. L’iter motivazionale della sentenza è tale da sottrarla ad ogni censura sotto il profilo della mera apparenza o dell’irriducibile contraddittorietà della pronuncia, cioè tale da sottrarla al sindacato sulla motivazione quale delineato dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis.

3. Con il terzo motivo di ricorso – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, motivazione illogica, erronea, insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio; violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la ricorrente censura la sentenza per aver omesso di attribuire rilievo alla circostanza – asseritamente provata in atti – che la M. stesse conversando con qualcuno e fosse dunque distratta e conseguenzialmente imprudente nel momento della caduta, essendovi peraltro riscontro probatorio del fatto che la M. conoscesse bene lo stato dei luoghi al momento del sinistro.

3.1 Il motivo è inammissibile perchè privo di decisività e perchè di merito, essendo volto anch’esso ad una rivalutazione delle risultanze probatorie che sul punto – circostanza che la M. stesse conversando con qualcuno al momento della caduta – non avevano fornito alcuna certezza sì da indurre correttamente la Corte d’Appello a non prendere in considerazione tale circostanza – rimasta priva di riscontro probatorio – ai fini del decidere.

4. Con il quarto motivo – violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., art. 1227 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., insufficienza e contraddittorietà della motivazione con riguardo all’art. 360, comma 1, n. 3, nonchè insufficienza, contraddittorietà e illogicità della motivazione – l’impugnante censura la sentenza per aver ritenuto sussistenti i presupposti della responsabilità ex art. 2051 c.c. e per aver escluso il fortuito e per essere, in sostanza, contrastante con quella di primo grado, che aveva evidenziato le contraddizioni delle dichiarazioni rese dalla M. successivamente al sinistro ed era giunta alla conclusione dell’esistenza del fortuito riconducibile alla mancata condotta diligente della danneggiata.

4.1 Il motivo è radicalmente inammissibile in quanto, benchè formulato nei termini della violazione di legge oltre che in un’inammissibile censura motivazionale, in realtà sollecita questa Corte ad un riesame degli elementi di prova al fine di rappresentare l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 2051 c.c., con particolare riferimento alla sussistenza del fortuito. La sentenza impugnata è del tutto conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Corte relativa all’art. 2051 c.c., in base alla quale il custode è tenuto a dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire i danni derivanti dalla cosa (Cass., 3, n. 13222 del 27/6/2016; Cass., 3, n. 25837 del 31/10/2017, Cass., 6-3, n. 27724 del 30/10/2018), mentre la condotta della vittima di un danno da cose in custodia può dirsi imprevedibile quando sia stata eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa. E stabilire se una certa condotta fosse prevedibile o imprevedibile è un giudizio di fatto, come tale riservato al giudice del merito.

5. Conclusivamente il ricorso va rigettato, e la ricorrente condannata alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del c.d. raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 3.200 (oltre Euro 200 per esborsi), accessori di legge e spese generali al 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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