LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –
Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24388-2017 proposto da:
P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GALILEO GALILEI 45, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO CIAFFI, rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO PAPI;
– ricorrente –
contro
AMISSIMA ASSICURAZIONI SPA (GIA’ CARIGE ASSICURAZIONI SPR) in persona del Dirigente e Procuratore Dott. A.C., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato P.V.;
– controricorrente –
Nonchè da:
AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA PISANA in persona del Direttore Generale pro tempore Dott. T.C.R., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NICOLA GORI;
– ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 1575/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 07/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/01/2020 dal Consigliere Dott. RUBINO LINA.
FATTI DI CAUSA
1. P.G. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 1575/2017 pubblicata dalla Corte d’Appello di Firenze il 7.7.2017, notificata il 20.7.2017, nei confronti di Amissima Ass.ni s.p.a., già Carige Ass.ni s.p.a. e Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana.
Resistono Amissima, con controricorso, e l’Azienda Ospedaliera, con autonomo controricorso contenente anche tre motivi di ricorso incidentale. Sia il P. che la compagnia di assicurazioni hanno depositato memorie.
2. Questi i fatti, per quanto ancora di interesse (per come emergono compiutamente dalla sentenza e dal controricorso):
nel 2008, i coniugi P.G. e G.S. convenivano in giudizio l’Azienda Ospedaliera Pisana, esponendo che il G., a causa della caduta accidentale da un albero, veniva portato in ospedale in gravi condizioni, sottoposto ad un delicato intervento chirurgico alla schiena per contenere i danni, la cui corretta esecuzione non viene posta in discussione, all’esito del quale, in conseguenza permanente dell’infortunio, risultava gravato da una paraplegia limitante al 70% la sua validità; a causa di un errato posizionamento sul tavolo operatorio e della mancata adozione di idonee cautele, però, dall’esecuzione dell’operazione derivava al G. anche la cecità bilaterale, che veniva ad aggravare drammaticamente la situazione di invalidità nella quale si sarebbe in ogni caso venuto a trovare in conseguenza della caduta accidentale e della corretta riduzione chirurgica dei postumi.
Chiedevano quindi di essere risarciti dei danni tutti, patrimoniali e non, derivati ad entrambi dall’errore medico causativo della cecità in soggetto già gravemente limitato nella mobilità.
L’Azienda Ospedaliera chiamava in causa la propria compagnia assicuratrice, Carige, che chiedeva, in subordine, che l’eventuale indennizzo a suo carico fosse contenuto nei limiti del massimale e della franchigia previsti dalla polizza.
3. Il Tribunale di Pisa escludeva che la cecità fosse ricollegabile all’infortunio, e la collegava causalmente con una erronea gestione anestesiologica intraoperatoria e in particolare con la mancata adozione di specifiche precauzioni necessarie durante un intervento di tali caratteristiche e durata (quali la posizione antishock o l’adozione di dispositivi poggiatesta), quantificava il danno biologico subito dal P. per la sola cecità nell’80% del totale, lo personalizzava elevandolo del 25% e condannava in solido l’azienda e l’assicuratore a risarcire il danno non patrimoniale patito dal solo P., che quantificava in complessivi Euro 1.135.252, 61.
4. La compagnia di assicurazione proponeva appello, e i coniugi G. e P. appello incidentale in riferimento alle domande non accolte (ovvero danno patrimoniale subito dal P., danno patrimoniale e non patrimoniale subiti dalla giovane moglie).
Anche l’azienda ospedaliera proponeva appello incidentale, evidenziando che il giudice di primo grado non aveva considerato la problematica del danno differenziale.
5. Il giudice di appello, eseguita una nuova CTU, in accoglimento parziale delle impugnazioni proposte, rideterminava l’importo dovuto complessivamente al P. in una minor somma, e lo condannava a restituire quanto percepito in eccedenza all’ospedale e alla compagnia di assicurazioni; condannava l’azienda ospedaliera a corrispondere un importo alla G., e dichiarava che null’altro fosse dovuto dalla compagnia di assicurazioni alla propria assicurata.
Questo, in estrema sintesi, il percorso motivazionale della sentenza impugnata (che il ricorrente non riassume nè riporta):
la corte d’appello ricostruisce l’esito del giudizio di primo grado segnalando che il tribunale non aveva ritenuto che la fattispecie si inserisse nella problematica del danno differenziale, qualificando le due patologie come autonome e che lo stesso aveva riconosciuto al P., per la cecità bilaterale, un danno biologico pari all’80% del totale e poi aveva provveduto alla personalizzazione di esso, in ragione della situazione personale del danneggiato, aumentandolo nella misura del 25%;
conferma che il danno riportato, consistente nella cecità bilaterale, sia da addebitare all’operato poco scrupoloso dei sanitari, che ponevano il paziente per lunghe ore sul tavolo operatorio in posizione prona senza neppure controllare l’andamento dei parametri vitali, pur essendo ben nota la pericolosità della situazione proprio in connessione con le modalità dell’intervento, in cui alla lunga durata su aggiungeva il posizionamento prono. La corte quindi ascrive ai sanitari un comportamento poco diligente e foriero di danni, dovuto al mancato rispetto delle ordinarie cautele che avrebbe dovuto adottare l’equipe per evitare il rischio di danneggiare le funzioni visive in quella particolare situazione chirurgica;
afferma, recependo le affermazioni del CTU, che a fronte di una menomazione complessiva post- intervento nella misura del 95% del danno biologico, dovesse essere tenuto in conto che le due menomazioni non erano autonome ma concorrenti, in quanto la seconda, dovuta alla mancata adozione di idonee cautele da parte dei medici, era particolarmente afflittiva per un soggetto già paraplegico. Applicando quindi i principi operanti in materia di c.d. danno differenziale, stima nel 70 % il danno biologico conseguente agli esiti della caduta stabilizzati dopo l’operazione, e nel 25 % l’aggravamento conseguente alla menomazione concorrente, dovuta al mal posiziona mento;
ciò detto quantifica il danno secondo i criteri da rispettarsi in tema di danno differenziale, che tengono conto del fatto che l’ammontare del danno da risarcire aumenta in progressione più che aritmetica con l’aumentare della percentuale di invalidità, per cui non è sufficiente nè esatto, in caso di danni concorrenti, per calcolare il danno limitarsi a quantificare l’importo corrispondente alla percentuale di invalidità permanente imputabile a maplractice (25%), ma bisogna prima calcolare l’intero danno, poi sottrarre da esso la percentuale non ascrivibile all’errore medico, e nell’importo che residua rimane individuato danno differenziale;
infine, liquida autonomamente il danno esistenziale, perchè questa componente di danno non patrimoniale sarebbe stata completamente obliterata dalla sentenza gravata;
riconosce in favore del ricorrente un danno patrimoniale pari alla perdita della capacità di lavoro specifica nella misura del 25%;
-liquida in favore della moglie del danneggiato il danno non patrimoniale riflesso e le riconosce anche il danno patrimoniale, legato alla necessità, con riduzione o perdita della sua redditualità lavorativa esterna, di dedicarsi all’assistenza del marito.
La corte d’appello accoglie anche l’impugnazione della compagnia di assicurazioni, ed afferma che la polizza prevede un massimale di Euro 2.500.000,00 annuo e una franchigia aggregata ad erosione per anno di Euro 1.900.000,00, che comporta che l’azienda sostenga in proprio i risarcimenti connessi al rischio assicurato dalla polizza fino all’importo complessivo di Euro 1.900.000,00, mentre solo per le somme eccedenti il limite annuo complessivo risponde l’assicurazione, nei limiti del massimale di Euro 2.500.000,00.
Condanna il P. alla restituzione di quanto ha percepito in eccedenza dalla Asl, e a restituire alla assicurazione tutta la somma da questa erogata; afferma che la Asl nulla più ha a pretendere dall’assicurazione, tranne che per quanto concerne le spese legali che ha pagato al danneggiato, dalle quali deve essere tenuta indenne.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso principale del danneggiato.
Dei due danneggiati, solo il P. propone ricorso per cassazione.
Con l’unico motivo articolato, il ricorrente denuncia un error in iudicando, ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, laddove la sentenza impugnata ha ridimensionato la misura del danno riconosciuto alla vittima, in riferimento al criterio del c.d. danno differenziale, accogliendo la ricostruzione del c.t.u..
Riferisce che la consulenza ha riconosciuto che per la quantificazione del danno riportato dal P. riconducibile all’errore medico occorresse tener conto che nel caso di specie si era verificato un aggravamento delle lesioni preesistenti, derivate da colpa di un terzo o da cause naturali.
Segnala che il consulente stimava il danno derivante dalla caduta, curata con intervento chirurgico sul quale nessun addebito era mosso alla struttura ospedaliera, nella misura del 75%, e poi affermava che il P. aveva riportato, a causa del malposizionamento durante l’operazione, la perdita della vista ad entrambi gli occhi, che stimava come un aggravamento della condizione complessiva nella misura del 20/25 % del quale rimetteva al giudice la quantificazione.
Sostiene il ricorrente che il medico non avrebbe tenuto conto del fatto che le due lesioni ed i loro esiti, pur avendo cause diverse, incidano in maniera concorrenziale sulla capacità stessa di movimento dell’individuo, in maniera tale da annullarla completamente. Quindi il medico non avrebbe dovuto considerare le due lesioni atomisticamente, ma considerare l’incidenza della loro concorrenza, quanto al danno biologico.
Il controricorso con ricorso incidentale dell’Azienda Ospedaliera.
Il controricorso della Azienda Ospedaliera non contesta l’accertamento di responsabilità, in capo all’azienda stessa, per l’aggravamento delle condizioni del P. dovuto all’errato comportamento dell’equipe medica ed in particolare dell’anestesista.
Sottopone a critica, sotto il profilo della ammissibilità ed anche del merito, il ricorso principale, svolgendo considerazioni in tutto analoghe a quelle della assicurazione.
Contesta il provvedimento impugnato per come ha ricostruito il rapporto tra la struttura ospedaliera e la compagnia di assicurazioni ed in particolare laddove ha limitato l’obbligo della assicurazione al massimale residuo, dedotta la franchigia aggregata annua. Critica la sentenza impugnata laddove ha affermato che gli importi relativi ai sinistri rientranti nella franchigia aggregata annua concorrerebbero all’erosione del massimale annuo per il periodo di retroattività della garanzia.
Formula tre motivi di ricorso incidentale, con i quali censura:
con il primo motivo, la violazione dei canoni ermeneutici, ex artt. 1362,1363 e 1370 c.c.. Ricostruisce l’interpretazione delle clausole di interesse nel modo seguente: l’azienda avrebbe accettato una franchigia annua di quasi 1.900.00,00 Euro; in relazione a questo importo, la compagnia di assicurazione era tenuta ad anticipare l’indennizzo al danneggiato, ma a fine anno questo importo le veniva restituito dall’assicurata. Sostiene però la previsione di un massimale annuo di 2.5000.000,00 debba essere interpretato nel senso che la compagnia di assicurazioni non possa essere tenuta a pagare di più su base annua in relazione ai danni a terzi provocati dalla struttura ospedaliera e dai soggetti ad essa riconducibili. Poi inserisce un elemento di fatto, che sottopone, inammissibilmente, alla diretta considerazione della Corte- afferma che a fronte dell’importo del premio di polizza annuo, di oltre 2 milioni di Euro, non sarebbe proporzionale un massimale effettivo di 600.00 Euro.
Infine afferma, senza i necessari specifici richiami agli atti, che solo in appello Carige per la prima volta avrebbe introdotto il profilo del massimale esposto all’erosione dell’importo della franchigia, mai in precedenza dedotto.
Con il secondo motivo denuncia il difetto di motivazione della sentenza impugnata, sempre in relazione al rapporto massimale-franchigia, che la corte d’appello liquida con un passaggio alquanto assertivo, citando l’omessa considerazione di un documento dal quale risulterebbe che la franchigia non era ancora integralmente erosa e che quindi, nella sua ricostruzione, si aveva ancora a disposizione tutto il massimale.
Con il terzo motivo, denuncia la violazione dell’art. 2059 c.c., per aver la corte d’appello duplicato le voci di danno avendo riconosciuto al P. anche un importo a titolo di risarcimento del danno esistenziale, pur avendogli già il giudice di primo grado e poi anche quello d’appello risarcito il danno non patrimoniale.
Il controricorso Amissima.
Il controricorso della compagnia di assicurazioni Amissima da un lato sottolinea i profili di inammissibilità del ricorso principale; ripercorre ampiamente ed adesivamente la motivazione della consulenza tecnica in appello, condivisa dalla sentenza impugnata, secondo la quale la cecità, innestandosi in un soggetto già affetto, benchè contestualmente, da paraplegia, dovesse essere valutata come menomazione concorrente, in quanto atta a pregiudicare sinergicamente le funzioni deambulatorie del soggetto, e aderisce al criterio di calcolo eseguito: danno biologico al 95%-danno biologico al 70%, il residuo è il danno differenziale da liquidare alla vittima.
Sul controricorso della ASL, contenente anche tre motivi di ricorso incidentale, Amissima, eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per difetto di procura speciale; nel merito, sottolinea che l’interpretazione data alle condizioni generali di contratto dal giudice di appello è corretta, in quanto i sinistri in retroattività pagati in franchigia aggregata erodono anche il massimale aggregato annuo.
Sia il ricorso principale che il ricorso incidentale sono inammissibili, per le considerazioni che seguono.
Il ricorso principale è nel suo complesso inammissibile perchè non autonomamente idoneo, senza essere integrato dalla lettura chiarificatrice della sentenza o del controricorso, a far comprendere nè la vicenda processuale, nè le censura che muove al provvedimento impugnato, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3. Non contiene una completa benchè sintetica ricostruzione dei fatti di causa, nè il percorso argomentativo del provvedimento impugnato, che si comprendono appieno solo integrando la lettura del ricorso con quella della sentenza e del controricorso.
Il requisito della esposizione sommaria dei fatti consiste in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. S. U. n. 11653/2006; Cass. n. 15478 del 2014, Cass. n. 16103 del 2016), e non risulta nel caso di specie sufficientemente rispettato.
Il ricorso non contiene neppure una specifica censura della sentenza impugnata, in quanto esso è del tutto generico, si limita a ricostruire in astratto i vari orientamenti in tema di causalità, senza segnalare in che modo essi, e le norme dai quali traggono fondamento, sarebbero stati violati dalla sentenza impugnata, e non sottopone neppure a diretta critica la sentenza ma appunta le sue censure esclusivamente sulle considerazioni svolte dal consulente tecnico. Sembra di potersi evincere che il ricorrente non sottoponga a critica in sè l’applicazione, operata dal giudice di appello, del criterio del danno differenziale, quanto piuttosto la quantificazione finale dell’importo, complessivamente più esigua rispetto al primo grado, e tuttavia la critica per come è formulata non è riconducibile al paradigma minimo del motivo di ricorso e non è pertanto esaminabile.
Il ricorso incidentale della Azienda Ospedaliera è anch’esso inammissibile perchè, come eccepito dalla compagnia di assicurazioni, è privo della procura speciale necessaria, a pena appunto di inammissibilità del ricorso, per poter introdurre il giudizio di cassazione.
Nel caso di specie, nella intestazione del controricorso con ricorso incidentale della Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana si dice che la stessa è rappresentata e difesa, come da procura estesa in calce all’atto, dall’avv. Nicola Gori del Foro di Lucca, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo in Lucca.
Il ricorso consta di n. 36 pagine e si chiude con la firma digitale. Il foglio successivo, spillato di seguito al ricorso e recante numerazione a sè, indicante la pagina n. 1, è denominato “Procura speciale” e contiene il seguente testo: “Io sottoscritto, Dott. T.C.R., in qualità di Direttore generale pro tempore dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, con sede in *****, e legale rappresentante pro tempore della stessa, informato ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 4, comma 3, della possibilità di ricorrere al procedimento di mediazione ivi previsto di cui agli artt. 17 e 20 del medesimo decreto, come da atto allegato, delego a rappresentarmi e difendermi, nel presente procedimento, oltre che nella fase esecutiva e quindi più in generale in tutti i gradi del presente giudizio, con ogni più ampia facoltà inerente il mandato, ivi compresa espressamente la facoltà di farsi sostituire occorrendo, di chiamare terzi in giudizio, di presentare domanda rinconvenzionale, di transigere, conciliare, o rinunziare agli atti occorrendo, l’avv. Nicola Gori, eleggendo domicilio presso lo studio del medesimo sito in Lucca, viale Puccini, Trav. XVI n. 134/e. Pisa, lì”.
Alla riga successiva reca le due firme, del direttore generale della Asl e dell’avv. Gori.
Si tratta quindi di procura speciale apposta in calce al ricorso per cassazione per effetto della congiunzione materiale ad esso mediante spillatura.
In riferimento alla procura redatta su foglio separato e spillata in calce, questa Corte ha più volte affermato che si presume – per il principio di conservazione degli atti giuridici di cui è espressione in materia processuale l’art. 159 c.p.c., – che la stessa, benchè generica e priva di riferimenti specifici all’oggetto del giudizio cui il ricorso per cassazione si riferisce, sia idonea, attesa la posizione topografica della procura e la congiunzione materiale tra i due atti, ad esprimere la volontà della parte di proporre ricorso per cassazione (in questo senso, da ultimo, Cass., n. 214 del 2020). La richiamata presunzione di specialità della procura, atta a salvaguardare la validità della procura speciale richiesta per il giudizio di legittimità e l’ammissibilità stessa del ricorso per cassazione, non è tuttavia incondizionata, in quanto incontra il limite della compatibilità del testo della procura con la volontà e consapevolezza di proporre un ricorso per cassazione (v. Cass. n. 19923 del 2019) e quindi della idoneità di esso a richiamare l’attenzione del dominus sull’oggetto del conferimento di poteri e ad esprimere la consapevole volontà di questi.
Se questa compatibilità manca, ovvero se il testo della procura ha un contenuto che, secondo il suo significato comune, non è compatibile con il giudizio di cassazione, perchè – oltre a non identificare il provvedimento che si va ad impugnare, rispetto al quale il rilascio della procura per il giudizio di cassazione deve essere necessariamente successivo – fa riferimento a poteri del procuratore o ad attività che sono totalmente estranee al giudizio di cassazione- la procura manca del necessario carattere della specialità. Essa non è infatti in alcun modo idonea a richiamare l’attenzione del mandante sull’atto che si conferisce il potere di compiere e non è idonea a far ragionevolmente presumere una effettiva volontà di impugnare un provvedimento dinanzi al giudice di legittimità.
Nel caso di specie non può presumersi che la procura rilasciata dal direttore della ASL all’avvocato Gori si riferisca al giudizio di cassazione, per le sue caratteristiche complessive di testo, nel quale si fa riferimento ad attività incompatibili con il giudizio di cassazione (necessità di esperire il previo tentativo di mediazione) o a fasi successive di giudizio, o all’esercizio di facoltà che sono incompatibili con il giudizio di legittimità perchè esercitabili, entro precise scansioni processuali e comunque esclusivamente nel primo grado di giudizio (proporre domande riconvenzionali, chiamare terzi in causa); alla incompatibilità del testo con la volontà di rilasciare una procura per introdurre un giudizio di legittimità si aggiunge la mancanza di data, che, unita agli elementi precedenti, fa presumere, al contrario, che si tratti di una procura rilasciata in precedenza e poi utilizzata per il giudizio di legittimità.
Conclusivamente, essa non può ritenersi una procura speciale rilasciata per il presente giudizio di cassazione, perchè il suo contenuto è con esso complessivamente incompatibile e tale da escludere univocamente che possa esprimere la volontà della parte di proporre ricorso per cassazione, sulla base del principio di diritto secondo il quale “E’ inammissibile il ricorso per cassazione allorquando la procura, apposta su foglio separato e materialmente congiunto al ricorso, contenga espressioni incompatibili con la proposizione dell’impugnazione ed univocamente dirette ad attività proprie di altri giudizi e fasi processuali” (Cass. 23 gennaio 2020, n. 1525; 2 luglio 2019, n. 17708; 5 novembre 2018, n. 28146; 11 ottobre 2018, n. 25177; 30 marzo 2018, n. 7940; 24 luglio 2017, n. 18257; 21 marzo 2005, n. 6070; 16 dicembre 2004, n. 23381).
Sia il ricorso principale che l’incidentale devono pertanto essere dichiarati inammissibili.
Tra il ricorrente principale e la ricorrente incidentale le spese di giudizio sono compensate in ragione della reciproca soccombenza. Possono essere compensate anche le spese di lite sostenute dalla controricorrente Amissima stante la particolarità della fattispecie.
Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
La Corte dichiara inammissibili sia il ricorso principale che il ricorso incidentale. Compensa le spese del presente giudizio tra le parti.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della parte ricorrente, sia principale che incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dall’estensore, nella qualità di consigliere anziano del collegio, in luogo del presidente, per impedimento di questi, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a), (decreto del Primo Presidente della Corte suprema di Cassazione n. 40 del 18-19/03/2020).
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di cassazione, il 29 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020
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