Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.11620 del 16/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7338/2015 R.G. proposto da:

P.M.A., elettivamente domiciliata in Roma via degli Scipioni 132, presso l’avv. Vincenzo Moriconi, rappresentata e difesa dall’avv. Claudia Cassella giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende per legge;

– intimata costituita –

avverso la sentenza della Commissione Regionale della Lombardia (Milano – Sez. staccata di Brescia), Sez. 67, n. 4424/67/14 del 30 giugno 2014, depositata il 22 agosto 2014, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 gennaio 2020 dal Consigliere Raffaele Botta.

FATTO E DIRITTO

1. La controversia concerne l’impugnazione dell’avviso di liquidazione con il quale l’Ufficio esigeva il pagamento dell’imposta e delle sanzioni irrogate in conseguenza della revoca dell’agevolazione prima casa chiesta dalla contribuente in quanto l’immobile acquistato aveva una superficie utile superiore ai 240 mq e doveva quindi considerarsi avente caratteristiche di lusso;

2. Il ricorso era respinto in primo e in secondo grado. Avverso la sentenza negativa d’appello la contribuente propone ricorso per cassazione con tre motivi. L’Agenzia delle entrate non ha notificato controricorso ma si è limitata a depositare un atto di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza di discussione;

3. La parte ricorrente ha depositato memoria. Il P.G. non ha depositato conclusioni scritte;

4. Con i tre motivi di ricorso, la contribuente contesta l’impugnata sentenza alla stessa imputando l’erronea considerazione della “superficie utile”, in essa computando anche gli spazi “non abitabili” e lo spazio adibito a “posto auto”;

5. Il ricorso non è fondato e in parte anche inammissibile. Secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, “In tema di agevolazioni cd. “prima casa”, ai fini dell’individuazione di un’abitazione di lusso, nell’ottica di escludere il beneficio, la superficie utile deve essere determinata avuto riguardo alla utilizzabilità degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva abitabilità, costituendo tale requisito il parametro idoneo ad esprimere il carattere “lussuoso” dell’immobile. Ne consegue che il concetto di superficie “utile” non può restrittivamente identificarsi con la sola “superficie abitabile”, dovendo interpretarsi il D.M. n. 1072 del 1969, art. 6, nel senso che è “utile” tutta la superficie dell’unità immobiliare diversa dai balconi, dalle terrazze, dalle cantine, dalle soffitte, dalle scale e dal posto macchine e che nel calcolo dei 240 metri quadrati rientrano anche i soppalchi” (Cass. n. 29643 del 2019);

6. Quanto al “posto macchina” nel caso di specie ci troviamo di fronte ad un accertamento di fatto del giudice di merito sottratto, per inidoneità della critica ed assenza di convincenti prove contrarie, alla valutazione del giudice di legittimità: tanto in primo grado, quando concordemente in appello è stata esclusa la valutabilità come strutturalmente assimilabile a “posto auto” (tale ritenuto dalla contribuente”) di uno “spazio” della complessiva “superficie utile” che è risultato separato dal resto da una semplice scaffalatura metallica alta circa 2 metri e privo di chiusura verso lo spazio comune di manovra;

6. Pertanto il ricorso deve essere respinto.

7. A questo punto occorre, tuttavia, porsi il problema sollevato con la memoria depositata dalla parte ricorrente circa la debenza delle sanzioni in ragione dello jus superveniens di cui al D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 10, comma 1, lett. a), il quale, nel sostituire il D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa allegata, art. 1, comma 2, parte prima, ha sancito il superamento del criterio di individuazione dell’immobile di lusso – non ammesso, in quanto tale, ai benefici “prima casa” – incentrato sui parametri di cui al D.M. 2 agosto 1969, collegando, con decorrenza dal 1 gennaio 2014 (mentre nel caso di specie l’acquisto è del 2009), l’esclusione dalla agevolazione alla circostanza che la casa di abitazione oggetto di trasferimento sia iscritta in categoria catastale Al (abitazioni di tipo signorile), A8 (abitazioni in ville); ovvero A9 (castelli e palazzi con pregi artistici o storici), mentre nel caso di specie l’abitazione risulta iscritta nella categoria catastale A/7.

8. Se ciò lascia immutata la situazione in relazione alla debenza dell’imposta non si può giungere alle stesse conclusioni per quanto riguarda le sanzioni irrogate, in quanto “la riformulazione ex novo della fattispecie legale di non spettanza dell’agevolazione” costituisce “una situazione di favore per il contribuente ancor più radicale ed evidente di quella (prevista nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3) del sopravvenire di un regime sanzionatorio semplicemente più mite”, fondata com’è “su un parametro (quello catastale) del tutto differente da quello, precedentemente rinvenibile, fatto oggetto di mendacio” (cfr. Cass. n. 14964 del 2018; Cass. n. 26423 del 2018; Cass. n. 2414 del 2019; Cass. n. 31489 del 2019). Il legislatore ha voluto sancire in ambito tributario la regola della non ultrattività della norma (tributaria) sanzionatoria, prevedendo (D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 2) che non si possa essere assoggettati a sanzioni per un fatto che, secondo la legge posteriore, non costituisce più violazione punibile, sia nei casi in cui la legge posteriore si limiti ad abolire la sola sanzione, lasciando in vita l’obbligatorietà del comportamento prima sanzionabile, sia nell’ipotesi in cui venga eliminato un obbligo strumentale e, quindi, solo indirettamente la previsione sanzionatoria.

9. Peraltro deve essere ricordato che “le più favorevoli norme sanzionatorie sopravvenute debbono essere applicate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, e quindi anche in sede di legittimità, all’unica condizione che il provvedimento sanzionatorio non sia divenuto definitivo: pertanto, qualora, essendo in contestazione l’an della violazione tributaria, sussista ancora controversia sulla debenza delle sanzioni, s’impone l’applicazione del più favorevole regime sanzionatorio sopravvenuto” (Cass. n. 14964 del 2018; Cass. n. 26423 del 2018). Sicchè nel caso di specie sussistendo la controversia anche sulle sanzioni (essendo in discussione la debenza dell’imposta), se il ricorso deve essere respinto confermando l’avviso di liquidazione con riferimento alla obbligazione di imposta (e relativi interessi), deve essere allo stesso tempo stabilito che non sono dovute le sanzioni irrogate, annullando sul punto l’atto impositivo impugnato. Non sussiste il raddoppio C.U..

10. In assenza di un utile esercizio di attività difensiva da parte dell’amministrazione non occorre provvedere sulle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso nel senso di cui in motivazione, disponendo che non sono, tuttavia, dovute le sanzioni irrogate con l’avviso di liquidazione impugnato, annullato in parte qua.

Non sussiste il raddoppio del C.U..

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2020

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