Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.11677 del 16/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30277/2018 proposto da:

A.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Rosaria Tassinari, come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno 80185690585, Pubblico Ministero presso il Tribunale di Bologna;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il 18/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/02/2020 dal Cons. DE MARZO GIUSEPPE.

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto depositato il 18 settembre 2018, il Tribunale di Bologna ha rigettato il ricorso proposto da A.S. avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato con la quale gli era stato negato il riconoscimento dello status di rifugiato e la concessione della protezione sussidiaria o umanitaria.

2. Per quanto ancora rileva, il Tribunale ha osservato: a) che il ricorrente aveva ammesso di avere mentito dinanzi alla Commissione e che, tuttavia, la versione fornita al Tribunale – analizzata in termini puntuali dal provvedimento impugnato – era caratterizzata da dichiarazioni generiche, vaghe e non plausibili; b) che il giudizio di inattendibilità del dichiarante esime il giudice dall’onere di cooperazione nell’acquisizione della prova; c) che comunque, nella specie, non sussisteva alcun fondato timore di subire, in caso di rientro in patria, atti di persecuzione rilevanti; d) che il richiedente, pur avendo affermato di essere stato minacciato da soggetti privati, non aveva neanche allegato di essersi rivolto all’autorità del proprio Paese per ottenere protezione; e) che l’esame delle fonti informative a disposizione consentiva di escludere che nella regione di provenienza del ricorrente esistesse una situazione di violenza indiscriminata; f) che, con riguardo alla protezione umanitaria, occorreva considerare che il richiedente aveva venticinque anni, non aveva problemi di salute, conservava i parenti in Nigeria, mentre in Italia non aveva lavorato nè frequentato corsi.

2. Avverso tale decreto l’ A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva. In data 28 gennaio 2020 il difensore del ricorrente ha prodotto provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e ha depositato istanza di liquidazione delle proprie competenze.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per non avere il Tribunale di Bologna fatto applicazione del principio dell’onere della prova attenuato e per non avere valutato la credibilità del ricorrente alla luce dei parametri stabiliti dal citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

2. Con il secondo motivo si lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per non avere il Tribunale di Bologna riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata, alla luce della pericolosità della situazione in Nigeria.

3. Con il terzo motivo si lamenta violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non avere il Tribunale esaminato compiutamente la ricorrenza dei requisiti per la protezione umanitaria.

4. I tre motivi di ricorso esaminabili congiuntamente, in quanto caratterizzati dalla stessa tecnica di formulazione, sono inammissibili. Questa Corte ha chiarito, in linea generale, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476).

Peraltro, il decreto impugnato è stato depositato il 18 settembre 2018. Pertanto, viene in questione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata nel S.O. n. 171, della Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2012, n. 187), e applicabile, ai sensi del medesimo art. 54, comma 3, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (al riguardo, va ricordato che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge di conversione, quest’ultima è entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come novellato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

E, come specificamente affermato nelle ordinanze 10 febbraio 2015, n. 2498 e 1 luglio 2015, n. 13448, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Ora, le censure si caratterizzano appunto per genericità e assertività di formulazione, aspirando, come detto, nella sostanza, ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, inammissibile in questa sede.

5. Alla inammissibilità del ricorso non segue la condanna alle spese, dal momento che l’intimato Ministero non ha svolto attività difensiva.

6. Si osserva, infine, che il difensore del ricorrente, ammesso al patrocinio a spese dello Stato, ha depositato una nota spese, chiedendo a questa Corte la liquidazione delle proprie competenze.

La richiesta è destituita di fondamento, giacchè l’immutato D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 83, comma 2, continua a disporre che la liquidazione dell’onorario e delle spese spettanti al difensore è effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all’atto della cessazione dell’incarico, dall’autorità giudiziaria che ha proceduto, aggiungendo che “per il giudizio di cassazione, alla liquidazione procede il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato”.

La competenza del giudice del merito non è affatto superata dal medesimo art. 83, comma 3-bis, introdotto dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 783.

L’art. 83, comma 3-bis cit., infatti, assume una mera finalità acceleratoria, raccomandando che la pronuncia del decreto di pagamento avvenga contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude il giudizio, ma non incide sulle regole di competenza per la liquidazione (v., ad es., Cass. 9 settembre 2019, n. 22448, in motivazione).

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2020

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