Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.11733 del 17/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2849/2019 R.G. proposto da:

C.N., rappresentato e difeso dall’Avv. Clementina Di Rosa, con domicilio in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato. con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 3404/18, depositata il 10 luglio 2018.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 22 gennaio 2020 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 10 luglio 2018, la Corte d’appello di Napoli ha rigettato il gravame interposto da C.N., cittadino della Nigeria, avverso l’ordinanza emessa il 22 ottobre 2016, con cui il Tribunale di Napoli aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dall’appellante.

Premesso che l’appello risultava estremamente generico, risolvendosi nella contestazione dell’insussistenza dei presupposti di legge per il riconoscimento della protezione internazionale, sulla base di astratte argomentazioni giuridiche e valutazioni di carattere geopolitico, la Corte ha riconosciuto che, secondo le fonti sovranazionali indicate, la Nigeria versa in stato di disordine, affermando tuttavia che lo stesso è limitato ad aree del Paese diverse da quella di provenienza dell’appellante. Ha aggiunto che la stessa vicenda da quest’ultimo narrata evidenziava l’insussistenza delle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

2. Avverso la predetta sentenza il C. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi. Il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3,5,6,7,8 e 14, sostenendo che, nell’escludere la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, la sentenza impugnata non ha tenuto conto delle persecuzioni e delle discriminazioni subite da esso ricorrente a seguito dei contrasti insorti con uno zio relativamente all’eredità paterna, avendo omesso di valutare il pericolo che egli corre di subire ulteriori violenze e trattamenti inumani o degradanti, a causa dell’incapacità del sistema giudiziario di tutelare la sua incolumità ed i suoi diritti. La Corte d’appello ha altresì omesso di tener conto della minaccia grave e individuale alla vita o alla persona derivante dalla situazione di violenza indiscriminata in atto nella sua regione di provenienza, ed attestata dalle informazioni relative al suo Paese di origine.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, censurando la sentenza impugnata per aver escluso la sussistenza di gravi motivi di carattere umanitario, senza tener conto della situazione di vulnerabilità di esso ricorrente, determinata dalla sua giovane età, dall’assenza di legami sociali nel Paese di origine, delle criticità esistenti in detto Paese e delle violenze da lui patite nei Paesi di transito.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1-bis, rilevando che il rigetto dell’appello si pone in contrasto con il dovere di cooperazione istruttoria officiosa posto a carico del giudice nella materia in esame, avendo la Corte d’appello omesso di verificare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria o umanitaria attraverso le informazioni relative al Paese di origine di esso ricorrente.

4. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonchè l’apparenza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato la genericità dell’atto di appello, declassando a mere argomentazioni giuridiche e valutazioni geopolitiche le circostanze da lui dettagliatamente allegate a sostegno della domanda. Aggiunge che il rigetto della domanda di concessione della protezione umanitaria non è sorretto da alcuna motivazione, mentre, in riferimento alla situazione del Paese di origine, il riconoscimento del diverso grado di personalizzazione del rischio richiesto ai fini delle singole misure di protezione e della necessità di un’indagine approfondita ed aggiornata non è stato seguito dallo svolgimento di accertamenti mediante il ricorso a fonti qualificate; rileva infine che, nonostante il riconoscimento della situazione di disordine in cui versa la Nigeria, la sentenza impugnata non ha concesso neppure la protezione umanitaria, che costituisce una misura di carattere residuale.

5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che la sentenza impugnata non ha tenuto conto della sua condizione soggettiva di orfano e dell’assenza di adeguate forme di assistenza sociale nel Paese di origine, dell’impossibilità di ottenere tutela a causa della corruzione delle forze di polizia, del ruolo sacrale attribuito al capofamiglia e della conseguente astensione delle autorità da ogni intervento in questioni familiari. Aggiunge che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, la Corte d’appello ha omesso di valutare il clima di violenza generalizzata esistente in Nigeria nei confronti della comunità cristiana, a causa della diffusione del fondamentalismo islamico, ed il sensibile peggioramento della sicurezza in tutto il territorio del Paese.

6. Prioritario, rispetto all’esame delle altre censure, è quello del quarto motivo, nella parte concernente l’immotivata rilevazione del difetto di specificità dell’atto di appello.

Premesso che la valutazione compiuta al riguardo dal giudice d’appello non è censurabile, in questa sede, nè ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4, nè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, trattandosi di una questione di carattere processuale, nella cui risoluzione questa Corte è chiamata ad operare come giudice anche del fatto, e può quindi procedere all’esame diretto degli atti di causa, indipendentemente dall’esistenza e dalla logicità della motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. II, 2/09/2019, n. 21944; 13/08/2018, n. 20716), si osserva comunque che l’esercizio del predetto potere non dispensa il ricorrente dall’onere d’indicare, a pena d’inammissibilità, il contenuto delle critiche mosse alla sentenza di primo grado e le ragioni per cui ritiene sufficientemente specifici i motivi di gravame, riportandone il testo nel ricorso, nella misura necessaria ad evidenziarne la conformità alla prescrizione dell’art. 342 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. V, 29/09/2017, n. 22880; Cass., Sez. III, 16/10/2007, n. 21621; Cass., Sez. I, 20/09/2006, n. 20405).

Il predetto onere nella specie non può ritenersi adeguatamente adempiuto, essendosi il ricorrente limitato, nel censurare l’affermata genericità dei motivi di gravame, ad insistere sulla specificità degli stessi ed a sostenere l’erroneità dell’apprezzamento compiuto dalla Corte di merito, omettendo tuttavia di confutare le argomentazioni svolte da quest’ultima e di fornire la dimostrazione della propria tesi mediante la trascrizione dell’atto di appello, del quale si è limitato a riportare sommariamente il contenuto nella narrativa del ricorso, con la conseguenza che risulta impossibile in questa sede qualsiasi riscontro in ordine alla veridicità dell’assunto, prima ancora che in ordine alla sua fondatezza.

7. Il difetto di specificità della predetta censura, determinando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto generici i motivi di appello, comporta a sua volta l’inammissibilità degli altri motivi d’impugnazione, riflettenti la fondatezza della domanda.

E’ noto infatti che quando, come nella specie, il giudice, dopo aver dichiarato inammissibile una domanda o un capo di essa o un motivo di impugnazione, in tal modo spogliandosi della potestas judicandi al riguardo, abbia ugualmente proceduto all’esame degli stessi nel merito, le relative argomentazioni devono ritenersi ininfluenti ai fini della decisione, e quindi prive di effetti giuridici, con la conseguenza che la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnarle, essendo invece tenuta a censurare la dichiarazione d’inammissibilità, la quale costituisce l’unica vera ragione della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 30/10/2013, n. 24469; Cass., Sez. VI, 19/12/2017, n. 30393; Cass., Sez. III, 20/08/2015, n. 17004).

8. Il ricorso va dichiarato pertanto inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2020

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