LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7268/2019 proposto da:
L.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Otranto, 12, presso lo studio dell’avvocato Grispo Marco, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato. che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di CALTANISSETTA, depositata il 11/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/02/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Caltanissetta, con decreto depositato in data 11.2.2019, ha rigettato la domanda di H.A.L., cittadino del *****, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.
E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non essendo la dedotta persecuzione riconducibile ad uno dei motivi tassativamente indicati nella Convenzione di Ginevra e non essendo stato comunque il suo racconto ritenuto credibile (il ricorrente aveva riferito di essere fuggito dal Pakistan perchè minacciato dagli assassini del suo datore di lavoro, per impedirgli di testimoniare nel corso del processo).
Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo per il ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine.
Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.
Ha proposto ricorso per cassazione H.A.L. affidandolo a tre motivi.
Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,4,5,8, nonchè l’omesso esame e travisamento di fatti decisivi per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Lamenta il ricorrente che la motivazione con cui il Tribunale ha formulato il giudizio di non credibilità del suo racconto è caratterizzato da genericità, illogicità, incoerenza e incomprensibilità a causa dei contrasti irriducibili tra affermazioni inconciliabili, tanto da potersi definire “apparente”.
Il Tribunale avrebbe omesso qualsiasi osservazione sulle sue specifiche contestazioni nonchè di valutare la sua giovanissima età ed il suo bassissimo grado di istruzione, non considerando che le sue dichiarazioni sono da ritenersi coerenti, trovando riscontro con le informazioni sul contesto socio-politico religioso del Pakistan. 2. Il motivo è inammissibile.
Va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).
Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale soddisfa il requisito del “minimo costituzionale”, secondo i principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053/2014), essendo state indicate in modo dettagliato (alle pagg. 3 e 4 del decreto impugnato) le ragioni per le quali il richiedente non è stato ritenuto credibile.
Il ricorrente, consapevole che, al cospetto della valutazione in fatto svolta dal Tribunale in ordine alla sua credibilità può essere invocata come unico vizio la grave anomalia motivazionale, riconducibile alla violazione di legge, apoditticamente e genericamente allega che il provvedimento impugnato è palesemente immotivato ed appare privo di logica. Inoltre, il richiedente, nell’affermare che il giudice di merito, nel ritenere non credibile il suo racconto, avrebbe omesso totalmente di valutare il suo bassissimo grado di scolarizzazione e la sua giovanissima età (classe 1993), evidenzia circostanze non pertinenti ed in relazione alle quali non è stato neppure allegato che abbiano formato oggetto di discussione tra le parti.
3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,7,14,16 e 17 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, nonchè l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ex art. 360 comma 1 n. 5.
Lamenta il ricorrente che il Tribunale non è stato in grado di spiegare le ragioni per cui non possa attribuirsi rilevanza ai molteplici e diffusi episodi di violenza indiscriminata, generata da attacchi terroristici di sfondo politico e religioso che generano tra i civili morte e generale insicurezza.
Evidenzia, inoltre, che la valutazione in fatto effettuata dal Tribunale sulla situazione di violenza esistente nel paese d’origine del richiedente è stata fondata unicamente sul rapporto EASO, mentre non sono state tenute in debito altre autorevoli fonti internazionali.
4. Il motivo è inammissibile.
Va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018, Rv. 648790).
Nel caso di specie, il giudice di merito ha accertato, alla luce di una fonte internazionale qualificata, come il rapporto EASO aggiornato all’ottobre 2018, l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato nella regione Punjab del Pakistan ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. del 12/12/2018 n. 32064).
Ne consegue che le censure del ricorrente sul punto si configurino come di merito, e, come tali inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito.
Infine, inammissibile per difetto di autosufficienza è la censura secondo cui il Giudice avrebbe omesso di valutare altre autorevoli fonti di documentazione allo stesso esplicitamente sottoposte dal ricorrente.
Il ricorrente non ha neppure prospettato il luogo e modo con cui avrebbe sottoposto all’esame del Tribunale le ulteriori fonti citate, onde consentire alla S.C. di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430).
5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32,D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè l’omesso esame di fatti decisivi.
Lamenta il ricorrente che la Corte avrebbe avuto l’obbligo di indagare sulla sussistenza in capo al ricorrente di situazioni di vulnerabilità, analizzando con meticolosità la sua storia personale, collocandola nel contesto attuale della situazione socio-politica dell’area geografica di provenienza.
Inoltre, il ricorrente deduce di aver intrapreso un serio e concreto percorso di integrazione in Italia, trovando lavoro con un regolare contratto.
6. Il motivo è inammissibile.
A fronte della precisa affermazione del Tribunale secondo cui la valutazione di inattendibilità della narrazione non consente di ritenere provata la condizione di vulnerabilità dedotta dal richiedente (il quale ha tuttora elementi di contatto con il paese d’origine, ivi abitandovi la propria famiglia), la censura del ricorrente è generica, non confrontandosi, peraltro, minimamente con la valutazione comparativa svolta dal giudice di merito in ordine ai contesti di vita dello stesso nel paese di accoglienza ed in quello di origine.
Infine, si duole che non si è tenuto conto del suo percorso di integrazione, elemento che, secondo il costante orientamento di questa Corte, può essere sì considerato in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi sempre Cass. n. 4455 del 23/02/2018).
La declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.
PQM
Dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.100,00 oltre alle spese prenotate a debito (S.P.A.D.).
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2020