Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.11750 del 17/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7942/2019 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato presso la Cancelleria della I sezione civile della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato Vivenzio Massimiliano;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 18/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/02/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Milano, con decreto depositato il 18.1.2019, ha rigettato la domanda di S.A., cittadino della Guinea, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo state le sue dichiarazioni ritenute attendibili sotto il profilo di un rischio di persecuzione o comunque di un grave danno alla sua persona in relazione alla sua condizione soggettiva (costui aveva riferito di essere fuggito dal paese d’origine a causa degli scontri etnici verificatisi a Conakry nel 2010 tra i fula e malinkè e per gli scontri del 2013 tra le etnie guerzè e koniakè e di temere per la propria incolumità in caso rimpatrio in considerazione della perdurante situazione di conflittualità etnica).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione S.A. affidandolo a due motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.

Lamenta il ricorrente l’errata valutazione della sua condizione di vulnerabilità per non avere il giudice, pur nell’escludere un rischio individuale in caso di rimpatrio, tenuto in debito conto l’assenza di tutela dei diritti costituzionali in Guinea, nè il suo percorso di integrazione intrapreso in Italia, ove ha conseguito la patente di guida.

2. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha già affermato che pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale, atteso che, diversamente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente ha solo genericamente dedotto una situazione di violazione dei diritti umani in Guinea senza correlarla alla sua condizione personale, se non facendo riferimento alla sua vicenda che è stata ritenuta, tuttavia, non attendibile dal Tribunale con argomentazioni immuni da vizi logici e che non sono state neppure adeguatamente censurate.

In proposito, questa Corte ha recentemente statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero, in quanto apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Inoltre, anche la censura con cui il ricorrente rivendica il proprio percorso di integrazione in Italia è inammissibile in quanto diretta a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio esaminato dal giudice di merito, che ha, invece, espressamente rilevato che il ricorrente non ha documentato e/o allegato una sia pur minima attività formativa e/o lavorativa.

Infine, la deduzione con cui il ricorrente lamenta l’omessa valutazione dei documenti dallo stesso prodotti in sede di Commissione è priva di autosufficienza, non essendo stato neppure indicato l’esatto contenuto di tali documenti, facendosi genericamente riferimento alla “documentazione utilizzata nella fase amministrativa”.

3. Con il secondo motivo è dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5.

Lamenta il ricorrente che la valutazione di credibilità avrebbe dovuto essere scrutinata sulla base dei parametri previsti dalla norma sopra citata, soprattutto in un contesto in cui il giudice di merito non ha concluso per l’insussistenza dell’accadimento narrato dal richiedente.

4. Il motivo è inammissibile.

Le censure del ricorrente sono palesemente generiche, limitandosi costui ad una mera indicazione dei principi che devono guidare il giudice nella valutazione di credibilità del richiedente senza indicare alcun elemento concreto attinente alla vicenda processuale per cui è causa.

La declaratoria di inammissibilità del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi il Ministero costituito in giudizio.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2020

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