LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – rel. Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 13583/2019 proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in Roma, Vicolo della Garbatella 2, presso lo studio dell’avvocato Russo Francesco Antonio, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di TRENTO, depositato il 22/03/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/02/2020 dal cons. ACIERNO MARIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Il tribunale di Trento ha rigettato la domanda di protezione internazionale ed umanitaria proposta da A.A., cittadino del *****.
In sede di audizione davanti la Commissione territoriale il ricorrente ha dichiarato di essere di religione mussulmana, di avere studiato alla facoltà di Economia, di avere i genitori in vita ed un fratello. Ha riferito di essersi allontanato dal proprio paese a causa dei vicini che avevano occupato la terra della sua famiglia con la prepotenza. Ha precisato che era sua intenzione recuperarlo e per questa ragione il padre lo aveva mandato dai nonni per finire gli studi. Al termine era tornato al suo villaggio volendo recuperare i terreni e di essere stato attaccato nel 2015 dai vicini tanto da dover essere ricoverati in ospedale. Il fratello aveva provveduto a sporgere denuncia che tuttavia non veniva accettata, rivolgendosi allora al Tribunale. Seguivano gravi minacce ed infine l’esito della controversia giudiziaria si chiudeva in favore dei vicini che avevano corrotto le autorità. Dopo ciò il ricorrente impaurito aveva lasciato il suo paese. In sede di interrogatorio libero davanti al Tribunale ha parzialmente confermato i fatti aggiungendo di essere scappato perchè chi voleva fargli del male avrebbe potuto farlo di nuovo. Ha riferito di non aver subito condanne, trattamenti inumani o degradanti nè di sentirsi minacciato da violenza indiscriminata.
Il tribunale, confermando la valutazione della Commissione territoriale, ha ritenuto non credibili le dichiarazioni del ricorrente, per le notevoli discrasie tra quanto narrato davanti alla Commissione e quanto riferito in Tribunale. Comunque la narrazione riguarda fatti motivati da vicende personali e private che non possono integrare nè le fattispecie del rifugio nè quelle riguardanti la protezione sussidiaria. Le informazioni sulla situazione generale infine escludono che si versi in una condizione di violenza indiscriminata.
Non sono stati ritenuti sussistenti i requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria anche alla luce dei principi stabiliti nella pronuncia n. 4455 del 2018 non essendo sufficiente la mera allegazione di un sostanziale miglioramento delle condizioni di vita godute in Italia ma una situazione di grave violazione dei diritti umani correlata alla condizione personale vissuta dal richiedente.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero. Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso. Il ricorso è stato trattato in pubblica udienza anche in relazione all’esame dell’istanza di sospensiva della esecutività del provvedimento impugnato.
Preliminarmente deve essere dichiarata l’inammissibilità dell’istanza stessa. La D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, attribuisce in via esclusiva al giudice che ha adottato il provvedimento impugnato il potere di decidere sull’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato.
Questo il testo normativo:”(…) Quando sussistono fondati motivi, il giudice che ha pronunciato il decreto impugnato può disporre la sospensione degli effetti del predetto decreto, con conseguente ripristino, in caso di sospensione di decreto di rigetto, della sospensione dell’efficacia esecutiva della decisione della Commissione. La sospensione di cui al periodo precedente è disposta su istanza di parte da depositarsi entro cinque giorni dalla proposizione del ricorso per cassazione. La controparte può depositare una propria nota difensiva entro cinque giorni dalla comunicazione, a cura della cancelleria, dell’istanza di sospensione. Il giudice decide entro i successivi cinque giorni con decreto non impugnabile”.
Davanti alla Corte di Cassazione, peraltro, non può neanche essere impugnato il rigetto dell’istanza di sospensiva, trattandosi di provvedimento non definitivo a contenuto cautelare, in relazione al quale deve ritenersi inammissibile il ricorso straordinario ex art. 111 Cost.. L’art. 373 c.p.c., comma 1, infine, attribuisce in via generale al giudice che ha emesso il provvedimento impugnato il potere di decidere sull’istanza di sospensiva quando dall’esecuzione del provvedimento possa derivare grave ed irreparabile danno.
Nel primo motivo di ricorso viene contestata la motivazione relativa al difetto di credibilità riscontrata dal Tribunale di Trento sulle dichiarazioni del ricorrente, ritenendola estrapolata dal contesto probatorio fornito e dal più ampio contesto di sofferenza della persona. La negativa valutazione sulla idoneità probatoria dei documenti prodotti non tiene conto delle oggettive difficoltà di reperirli. Tale censura riguarda tutte le protezioni negate.
La censura non supera il vaglio di ammissibilità. In primo luogo non viene specificamente censurata la ratio della natura privata della vicenda narrata e tale profilo d’inammissibilità incide sul rifugio politico e sulla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), in quanto fondate sull’individualizzazione del pericolo di danno grave. In secondo luogo perchè la censura rivolta alla valutazione di credibilità attiene al merito, alla valutazione, insindacabile in quanto del tutto coerentemente argomentata, dei fatti. Questo profilo d’inammissibilità incide anche sulla protezione umanitaria, in relazione all’allegazione della condizione di vulnerabilità, comunque legata nell’esposizione della domanda e del motivo di ricorso sulle dichiarazioni rese. Infine deve rilevarsi che tutte le circostanze descritte nella censura sono aspecifiche in quanto non è indicate dove e come siano state allegate od oggetto di produzione nel giudizio di merito.
Il secondo motivo che censura l’omesso esame di un fatto decisivo, consistente nel non avere esaminato la documentazione prodotta e nel non aver colto “la preoccupazione profonda del richiedente protezione” è inammissibile sia per la sua genericità sia per la sostanziale riproposizione di censure già contenute nel primo motivo.
All’inammissibilità del ricorso consegue l’applicazione della soccombenza in relazione alle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile l’istanza di sospensiva e i motivi di ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della parte resistente da liquidarsi in E 2100 per compensi oltre spese prenotate a debito.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento del contributo come previsto nel D.P.R. n. 115 de 2002, art. 13, comma 1 quater, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2020