Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.11831 del 18/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 528-2012 proposto da:

COMUNE DI PESCHIERA BORROMEO in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 785, presso lo studio dell’avvocato VALENTINA ADORNATO, rappresentato e difeso dall’avvocato ADRIANA LA ROCCA giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA;

– intimato –

Nonchè da:

POSTE ITALIANE SPA in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA SCROFA 57, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PIZZONIA, che rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIANCARLO ZOPPINI, GIUSEPPE RUSSO CORVACE giusta delega a margine;

– controricorrente incidentale –

contro

COMUNE DI PESCHIERA BORROMEO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 126/2010 della COMM. TRIB. REG. di MILANO, depositata il 05/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/02/2020 dal Consigliere Dott. CAPRIOLI MAURA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS STANISLAO che ha concluso per il rigetto dei due motivi del ricorso incidentale e del l motivo del ricorso principale;

udito per il ricorrente l’Avvocato GRADARA per delega dell’Avvocato LA ROCCA che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato TRIMARCHI per delega dell’Avvocato PIZZONIA che si riporta agli atti.

Poste Italiane s.p.a. è proprietaria, nel Comune di Peschiera Borromeo di un fabbricato adibito a centro di smistamento della corrispondenza (c.m.p.) e di un’area parzialmente edificabile.

L’accatastamento è avvenuto nel 2006. Poste Italiane non aveva mai presentato dichiarazione ICI e versato l’imposta.

Il Comune di Peschiera Borromeo notificava avviso di accertamento relativo ad ICI per il 2002, per l’area fabbricabile (basati sul valore venale in comune commercio come da Delib. Giunta Comunale n. 114 del 2000). Poste Italiane impugnava detto avviso che veniva respinto dalla CTP di Milano. La CTR della Lombardia con sentenza n. 126/10 accoglieva parzialmente il gravame relativamente alla sanzione che veniva rideterminata nella misura minima con esclusione della recidiva Il Comune di Peschiera Borromeo ricorre per la cassazione della sentenza affidando il suo mezzo a 2 motivi.

Resiste con controricorso Poste Italiane s.p.a. che propone, a sua volta, ricorso incidentale deducendo due motivi.

Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 7, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Critica in particolare la decisione della CTR nella parte in cui ha escluso l’applicazione della recidiva per la presenza di controversie pendenti e per un “certo affidamento generatosi nella società tale da non far ritenere il relativo comportamento pretestuoso”.

Lamenta, in particolare, che la CTR avrebbe erroneamente ritenuto escluso l’applicabilità della recidiva per il fatto che nessuna delle precedenti violazioni fosse stata accertata con sentenza definitiva fondando il suo assunto sulla base del sistema sanzionatorio penale che impone, per l’applicazione della recidiva, un accertamento giudiziale definitivo.

Sostiene infatti che per l’applicazione della recidiva è sufficiente che l’Ente impositore contesti la medesima violazione con riferimento ai tre anni precedenti nella specie eseguita attraverso la notifica degli avvisi di accertamento relativi agli anni 1999, 2000 e 2001.

Con un secondo motivo il ricorrente principale censura la decisione contestando la riduzione della sanzione che sarebbe stata operata in spregio alle ragioni esposte nell’avviso di accertamento con argomenti inidonei a giustificare la rideterminazione.

La ricorrente in via incidentale censura, dal canto suo, la decisione deducendo la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 2 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Sostiene che dalla lettura dell’atto fiscale non si comprenderebbero le ragioni per le quali il Comune ha ritenuto che l’immobile de quo fosse classificabile in categoria catastale D e quindi classificabile ai fini Ici non essendo riportato in modo intelligibile il ragionamento logico-giuridico su cui si fondava l’accertamento.

Con un secondo motivo la società Poste Italiane s.p.a. deduce l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Critica in particolare il giudice di appello per aver escluso l’esistenza di una incertezza normativa fondando il suo convincimento sulla base di atti dai quali non sarebbe stato possibile desumere alcunchè in quanto annullati.

Ragioni di priorità logico giuridica impongono di iniziare la disamina dal primo motivo introdotto in via incidentale.

Come sottolineato dalla pronuncia impugnata, con sentenza della CTR di Milano n. 75/46/09, passata in cosa giudicata, l’atto di classamento e la attribuzione di rendita in relazione al centro postale meccanizzato sono stati definitivamente accertati in categoria “D”.

E’ sopravvenuta, dunque, per parte della doglianza, carenza di interesse sull’atto di classamento, ormai definitivo.

La censura è altresì infondata.

Questa Corte con orientamento consolidato dal quale non vi è motivo per discostarsi, ha affermato che “In tema di imposta comunale sugli immobili l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l'”an” ed il “quantum” dell’imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (da ultimo Cass. 1694/2018; Cass. 26431/2017).

Nella specie la CTR ha evidenziato che l’atto impugnato esponeva chiaramente le ragioni della classificazione, essendo stato emesso successivamente alla classificazione in categoria D dell’immobile adibito a Centro meccanizzato per lo smistamento della corrispondenza facendo richiamo a tale classamento e al servizio esercitato come da decisione nr. 8330/2007 della CTP di Milano pure richiamata.

Relativamente al primo motivo di censura del ricorrente principale occorre considerare che la recidiva in materia tributaria è disciplinata del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 3.

La norma, nel testo vigente ratione temporis, prevedeva: “La sanzione può essere aumentata fino alla metà nei confronti di chi, nei tre anni precedenti, sia incorso in altra violazione della stessa indole non definita ai sensi degli artt. 13, 16 e 17, o in dipendenza di adesione all’accertamento. Sono considerate della stessa indole le violazioni delle stesse disposizioni e quelle di disposizioni diverse che, per la natura dei fatti che le costituiscono e dei motivi che le determinano o per le modalità dell’azione, presentano profili di sostanziale identità”.

Nella specie è incontestato che le medesime violazioni fossero state contestate nei tre anni precedenti e la CTR ha ritenuto sussistere il presupposto per l’applicazione della recidiva nella quantificazione della sanzione ICI, senza verificare se le precedenti violazioni fossero state definitivamente accertate o non fossero state oggetto di impugnazione.

Lo stesso D.Lgs., all’art. 12, detta le disposizioni in materia di concorso di violazioni e continuazione. Al proposito, l’art. 12, comma 2, prevedeva che fosse soggetto al cumulo giuridico delle sanzioni “chi, anche in tempi diversi, commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell’imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo”. La norma ha rimosso il previgente regime del cumulo materiale disponendo l’applicazione della sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio. A differenza dell’art. 81 c.p., cpv., l’art. 12, comunque ispirato alla disciplina penalistica, non prevede la ricorrenza del medesimo disegno tipico della continuazione di reati, privilegiando invece il profilo oggettivo della vicenda. L’interruzione della continuazione (art. 12, comma 6), preclude l’applicazione del trattamento sanzionatorio di favore previsto dall’art. 12, comma 1, dal momento in cui l’agente abbia avuto contezza della contestazione relativa alla illiceità del comportamento, ossia quando l’amministrazione si sia attivata per comunicare all’autore le verificate violazioni. Di conseguenza, il soggetto potrà beneficiare del cumulo giuridico per tutte le violazioni antecedenti alla comunicazione, tornando invece operante la separata valutazione per quelle successive.

L’art. 12, comma 5, nel testo vigente ratione temporis prevedeva che “Quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo.

Se l’ufficio non contesta tutte le violazioni o non irroga la sanzione contemporaneamente rispetto a tutte, quando in seguito vi provvede determina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni oggetto del precedente provvedimento. Se più atti di irrogazione danno luogo a processi non riuniti o comunque introdotti avanti a giudici diversi, il giudice che prende cognizione dell’ultimo di essi ridetermina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni risultanti dalle sentenze precedentemente emanate”

Il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 3, e art. 12, prevedono la compatibilità tra la “recidiva” in materia tributaria e la continuazione.

In particolare tanto l’art. 7, comma 3, che l’art. 12, comma 5, fanno espressamente riferimento a “violazioni della stessa indole” reiterate nel tempo. L’astratta compatibilità tra i due istituti impone di valutare il fondamento della recidiva e della continuazione nel sistema tributario (tanto più alla luce della modifica, in vigore dal 1.1.2016 sebbene non applicabile a questo giudizio ratione temporis, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 3, operata dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, che ha previsto l’obbligatorietà dell’applicazione della recidiva).

La questione della compatibilità e la contestuale coniugabilità di diversi valori e riferimenti non è dato pretorio, bensì è voluta dalla legge, la quale dunque ha, per criterio interpretativo dogmatico, ben considerato le differenze di struttura ontologica dei due istituti, ovvero la diversa considerazione dei fatti che essi suppongono.

Il cumulo giuridico rappresenta, infatti, un beneficio che discende dalla sostanziale unitarietà della trasgressione; la recidiva, al contrario, punisce con più rigore chi si ostini a commettere consecutivamente la stessa violazione. A dispetto dell’espressione “stessa indole”, usata con disinvoltura dal legislatore all’art. 7 ed all’art. 12, le prospettive dei due istituti sono completamente diverse e non possono essere sovrapposte in maniera acritica.

Ciò trova, del resto, autorevole conferma nella giurisprudenza della Cassazione penale, in parte già richiamata (Cass. 9148/1996; Cass. 49658/2014; Cass. 21043/2018), secondo cui il trattamento sanzionatorio più mite è giustificato dal minor disvalore sociale associato al reato continuato.

Non appare dirimente, tuttavia, il riferimento al sistema della recidiva penale il quale presuppone, in coerenza con la presunzione di non colpevolezza, un accertamento giudiziale definitivo della responsabilità. Invece l’azione amministrativa per sua natura si fonda sulla presunzione di legittimità del suo atto e su questa la autoritarietà e la esecutività immediata del suo agire organizzativo. In altri termini, le due recidive, al di là delle assonanze logiche dovute all’operare in entrambe del rilievo del precedente, sono predisposte a tutela di diverso valore e di distinti riferimenti costituzionali. Essendo la esecutività dell’atto amministrativo sussistente fino a che esso non venga dichiarato invalido o revocato, e dunque i suoi effetti permanenti nel mondo del diritto fino a quel momento, ed essendo invece la condanna del giudice penale pienamente efficace nei suoi riflessi sostanziali solo a giudicato intervenuto. Notevoli difficoltà derivano all’interprete, come si è visto dall’utilizzo dell’espressione “stessa indole” sia in tema di recidiva, sia in tema di violazione ultrannuale.

L’art. 7, comma 3, infatti, presenta un’importante differenza rispetto alle norme previgenti sulla recidiva, rispettivamente contenute nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 54, comma 2, e nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 49, comma 2: mentre queste ultime configuravano la recidiva nei confronti di chi, nei tre anni precedenti, fosse incorso in un’altra violazione della stessa indole, per la quale fosse stata inflitta la pena pecuniaria, la nuova norma sembra prescindere dall’intervento di una contestazione o irrogazione tra la prima violazione e le successive.

Ciò assume rilievo ai fini della compatibilità tra recidiva e cumulo giuridico delle sanzioni: se infatti la recidiva non necessitasse di una precedente irrogazione definitiva di sanzioni, essa non sarebbe mai applicabile unitamente alla continuazione la quale, viceversa, è interrotta dalla punizione delle violazioni pregresse.

Se, pertanto, si individuasse il fondamento della recidiva nella reiterazione di una violazione, contestata ma non definitivamente accertata, la compatibilità tra i due istituti non potrebbe essere ritenuta. Lo escluderebbe l’unificazione dovuta al vincolo della continuazione cui sono soggette violazioni della stessa indole commesse in periodi di imposta diversi. L’incompatibilità tra tali istituti sarebbe determinata dalle loro differenti strutture logiche. Infatti l’unicità delle violazioni della stessa indole si contrappone, in via di principio, alla pluralità di violazioni che fungono da presupposto della recidiva.

Se invece si afferma, come ritiene questo Collegio che la recidiva si fonda sulla sussistenza di un precedente accertamento definitivo la preclusione costituita dall’inserimento nella vicenda della continuazione viene meno: il soggetto può ben aver commesso più violazioni della stessa indole ed è in tal caso possibile tener conto contemporaneamente delle valutazioni operate dal legislatore corrispondenti alla continuazione e alla recidiva.

Il compimento di un’altra violazione incarnante il superamento di quel momento di valore rappresentato dall’accertamento giudiziale della violazione (o dalla definitività della stessa per mancata impugnazione) potrà coniugarsi col disvalore proprio della perpetrazione di una ripetuta condotta di violazioni della stessa indole.

Consegue che, per giustificare la recidiva, nel sistema delineato dal del D.Lgs. n. 472 del 1992, art. 7, comma 3, e art. 12, comma 5, è necessario, quanto alla azione amministrativa e dunque al rilevo fiscale, che la violazione sia stata definitivamente accertata dal Giudice Tributario, ovvero sia divenuta definitiva per la mancata impugnazione della contestazione della violazione.

E dunque necessario verificare ai fini dell’applicazione della recidiva le violazioni antecedenti quella della cui sanzione si controverte risultano definitivamente accertate dal giudice Tributario o siano divenute definitive per mancata impugnazione della contestazione della violazione:

La sentenza sotto questo profilo va cassata alla CTR della Lombardia, che, in diversa composizione, si atterrà al principio di diritto sopra enunciato decidendo sulle spese di questa fase valutando l’eventuale esistenza delle condizioni per l’applicazione dell’istituto della continuazione con riferimento alle pregresse violazioni di cui si è resa responsabile la contribuente ai sensi della L. n. 472 del 1997, art. 12, commi 5 e 6.

Va a quest’ultimo proposito ricordato che questa Corte ha affermato il principio secondo cui “In tema di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, l’istituto della continuazione, sancito dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5, secondo cui “quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo”, è applicabile anche all’ICI” (V. Cass. n. 18423/2018; 26077 del 30/12/2015 (così Sez. 5, Sentenza n. 3265 del 02/03/2012).

Ogni altro profilo oggetto di contestazione resta assorbito.

P.Q.M.

La Corte accoglie nei limiti di cui in motivazione il primo motivo di ricorso principale; rigetta il primo motivo del ricorso incidentale, assorbiti i rimanenti motivi, cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia, in diversa composizione in relazione al motivo accolto anche per le spese di questa fase.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2020

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