Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.11913 del 19/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27570/2019 r.g. proposto da:

K.A., nato in *****, (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocata Maria Eugenia Lo Bello, presso il cui studio

è elettivamente domiciliato in Trento, Piazza Cesare Battisti n. 26.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12.

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Trento del 6.8.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28.2.2020 dal Dott. Giacomo Travaglino.

I FATTI DI CAUSA 1. Il sig. K. propose domanda di protezione internazionale e umanitaria alla competente Commissione territoriale in data 3.7.2018.

2. Dinanzi alla Commissione territoriale, il richiedente asilo aveva dichiarato:

– di essere cittadino *****, di etnia ***** e di religione cristiana;

– di non avere genitori in vita, di avere tre sorelle, di aver lavorato come saldatore;

– di aver lasciato il Paese di origine per tre motivi:

1) per essere stato testimone oculare dell’omicidio di un amico, autista del partito *****, commesso da un autista che lavorava per il partito rivale (*****), il quale aveva attentato anche alla sua vita in più occasioni, prima cercando di investirlo per la strada, poi dando fuoco all’officina dove lavorava come saldatore;

2) a causa del suo credo religioso, per la lotta tra musulmani ed ***** in corso nel suo Paese;

3) per avere provocato involontariamente un incendio che aveva danneggiato i terreni di 15 persone, dalle quali era stato aggredito per ritorsione.

2.1. La Commissione territoriale rigettò la domanda.

3. Il giudice adito in sede di ricorso confermò la decisione dell’organo amministrativo.

4. Avverso il decreto di rigetto della domanda emesso dal Tribuna di Trento, il sig. K. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo di censura.

4.1. Il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Con il primo, complesso motivo, si denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6,7,8 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, nonchè violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32,D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

2.1. La difesa del ricorrente censura il provvedimento impugnato, in particolare, sotto il profilo del mancato esercizio dell’obbligo di cooperazione, della mancanza del necessario approfondimento in ordine alla situazione socio-politica del Ghana, della scarsa rilevanza delle considerazioni svolte dal Tribunale in ordine all’insussistenza di episodi di violenza indiscriminata – a suo dire “smentita da numerosi rapporti di ONG operanti nel Paese e da altre fonti internazionali” – e del mancato riconoscimento del grave danno cui sarebbe esposto il richiedente asilo in caso di rimpatrio, ai sensi dell’art. 14, lett. c) del citato D.Lgs..

3. Il motivo è manifestamente inammissibile.

3.1. Osserva preliminarmente il collegio come il vizio di violazione o falsa applicazione di legge non possa essere formulato se non assumendo l’accertamento di fatto, così come operato dal giudice del merito, in guisa di termine obbligato, indefettibile e non modificabile, del sillogismo tipico del paradigma del giudizio di sussunzione, là dove, diversamente (ossia ponendo in discussione detto accertamento), si verrebbe a trasmodare nella revisione della quaestio facti e, dunque, ad esercitarsi poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. Cass., ord., 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715).

3.2. Sotto altro aspetto, il motivo si risolve, in parte qua, nella censura della valutazione degli elementi probatori così come operata dal Tribunale in ordine alla idoneità degli stessi a dimostrare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento in capo ricorrente della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (nessuna argomentazione viene spesa in ordine al presunto status di rifugiato, nè vengono offerti elementi di valutazione della eventuale condizione di vulnerabilità del ricorrente ai fini del giudizio di comparazione tra la attuale situazione di eventuale integrazione in Italia – in ordine alla quale il ricorso tace del tutto – e quella che si realizzerebbe in caso di rimpatrio).

3.3. Premesso che, nella valutazione di credibilità della narrazione, il Tribunale si è rigorosamente attenuto ai principi recentemente indicati da questa Corte con l’ordinanza n. del 2020, volta che (f 2 del provvedimento impugnato), poichè vengono dapprima valutati i singoli elementi del racconto, evidenziandone l’insanabile contraddittorietà quanto alle ragioni dell’espatrio, per poi concludere, del tutto correttamente, nel senso di una complessiva ed irredimibile non credibilità dell’intera narrazione resa dal richiedente asilo, il motivo di ricorso non coglie nel segno, volta che, con il provvedimento impugnato, è stato escluso, con motivazione sicuramente sufficiente, sotto il profilo dell’attivazione del dovere di cooperazione tramite l’acquisizione di idonee COI, che il Paese di provenienza del ricorrente fosse caratterizzato da condizioni tali da consentire il riconoscimento della dette forme di protezione (il riferimento al sito “*****”, la cui consultazione è sicuramente inidonea al fine di un corretto esercizio del dovere di cooperazione, come già ritenuto da questa Corte, viene, difatti, citato soltanto ad abundantiam).

3.3. La censura muove, nella sua più intima sostanza, da un duplice, apodittico ed erroneo presupposto di fatto – la mancata attivazione del dovere di cooperazione, la mera declamazione dell’esistenza di una situazione di pericolo incompatibile con il ritorno del richiedente asilo in Patria fondata – e si risolve, ancora una volta, nella sostanziale quanto astratta contestazione nel merito della valutazione delle risultanze probatorie acquisite nel corso del giudizio, in particolare sotto il profilo declinato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), avendo il Tribunale espressamente esaminato, per escluderla del tutto legittimamente, l’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno o internazionale.

Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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