Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.12025 del 19/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9020-2014 proposto da:

CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – C.N.R., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– ricorrente –

contro

G.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 41, presso lo studio dell’avvocato PAOLA PEZZALI, rappresentata e difesa dall’avvocato STEFANO GIAMPIETRO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 64/2013 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 02/10/2013 R.G.N. 10/2013.

RILEVATO IN FATTO

che:

1. La Corte di appello di Trento, decidendo sull’impugnazione proposta nei confronti di G.S. dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, che confermava quanto alla ritenuta sola legittimità della prima proroga del contratto a termine stipulato tra le parti in data 16 ottobre 2006 (531.12.2008) ed alla illegittimità delle proroghe successive (1.131.12.2009, 1.1-31.12.2010, 1.1-31.12.2011), rideterminava il risarcimento del danno (quantificato dal Tribunale con una somma corrispondente al 20% delle retribuzioni percepite nel periodo dal 2.11.2006 al 31.12.2011) in misura di cinque mensilità;

2. G.S., per quanto si rileva dalla sentenza impugnata, aveva stipulato con il CNR un contratto a termine in data 16 ottobre 2006 periodo 2.11.2006-1.11.2007 (un anno) per progetto denominato “Mostro”, contratto che prevedeva “proroghe annuali con il limite di cinque anni” e che a tale contratto erano seguite più proroghe (fino all’1.5.2008; dal 2.5.2008 al 31.12.2008; dall’1.1.2009 al 31.12.2009; dall’1.1.2010 al 31.12.2010; dall’1.1.2011-31.12.2011);

la tesi prospettata dalla ricorrente era stata che le proroghe in questione avessero, in realtà, costituito nuovi contratti a tempo determinato, collegati a diversi progetti, sicchè l’Amministrazione aveva violato il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5;

3. il Tribunale aveva innanzitutto rigettato l’eccezione del CNR di superamento del limite previsto dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 bis, (termine triennale) e considerato applicabile il termine quinquennale di cui alla contrattazione collettiva (C.C.N.L. Ricerca 7 aprile 2006, art. 5, comma 1 e C.C.N.L. 7 ottobre 1996, art. 15, commi 4 e 5);

aveva, quindi, ritenuto che, fatta eccezione per la proroga fino all’1.5.2008 (che aveva riguardato lo stesso progetto “Mostro” di cui al primo contratto), le altre non fossero in realtà proroghe ma nuovi contratti e che sussistesse l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, di assunzioni successive a termine effettuate senza soluzione di continuità;

aveva rigettato la domanda di conversione e condannato il CNR al risarcimento liquidato in una somma pari al 20% delle retribuzioni percepite dalla G. nel periodo 2.11.2006-31.12.2011;

4. la Corte d’appello riteneva: – che non avesse formato oggetto di impugnazione la ritenuta non applicabilità del termine triennale di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, comma 4 bis; – che la norma contrattuale prevedente il limite dei cinque anni non consentisse di prolungare il termine considerando distintamente i programmi; – che, a mente del C.C.N.L. 7 aprile 2006, art. 5, comma 1, la realizzazione del progetto ne comportasse la cessazione, al pari dello scadere del termine stesso, sicchè, nel concreto, la realizzazione dei vari programmi (“Mostro”, “Tocai” ecc.) non avrebbe potuto giustificare alcuna proroga; che inoltre C.C.N.L. art. 5, comma 4, lett. B, consentisse, oltre che l’assunzione a termine, il prolungamento di essa per un tempo non superiore ai 5 anni “ma in relazione ai singoli programmi e per la durata di essi”; – che, stabilito un progetto ed un termine finale, il ricorso alla proroga fosse consentito solo nell’ambito del quinquennio e per quel singolo programma e per la durata di esso; – che la sentenza di primo grado fosse, pertanto, da confermare quanto alla ritenuta illegittimità delle proroghe successive alla prima; – che andava solo rideterminato il risarcimento del danno dovendo farsi applicazione del criterio di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32;

5. per la cassazione della sentenza il CNR ha proposto ricorso affidato ad un motivo;

6. G.S. ha resistito con controricorso;

7. non sono state depositate memorie.

RILEVATO IN DIRITTO che:

1. con l’unico motivo il CNR denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, commi 4 e 4 bis e del C.C.N.L. Ricerca del 7.10.1996, art. 15;

sostiene che la disposizione di cui all’indicato comma 4 bis, rispetto a quella di cui al comma precedente, ha quale elemento di specialità lo svolgimento di mansioni equivalenti in base ai vari contratti di lavoro succedutisi (nel quinquennio);

inoltre la norma fa riferimento al fenomeno della successione di contratti e precisa che il periodo in cui tale successione si colloca è comprensivo di “proroghe e rinnovi” costituendo sotto tale aspetto una previsione più ampia, tale da abbracciare anche la successione conseguente alla stipula di contratti autonomi;

la norma, dunque, ad avviso del ricorrente, menziona non solo l’ipotesi della proroga (e cioè del prolungamento del rapporto in essere rispetto al termine inizialmente pattuito) ma anche quella del rinnovo (che riguarda invece il diverso fenomeno della conclusione di un nuovo contratto scaduto);

sostiene, inoltre, che il comma 4 bis non esclude che tra i vari rapporti ivi contemplati non si verifichino intervalli temporali;

avrebbe errato la Corte territoriale nell’applicare l’art. 5, comma 4, e nel fare riferimento ai progetti e non alle mansioni equivalenti (il progetto riguarda l’amministrazione, le mansioni attengono alla posizione lavorative del ricorrente) ed evidenzia che, nello specifico, non si trattava di una ricercatrice ma di una dipendente amministrativa;

quindi l’equivalenza (che non vuoi dire identità), secondo il CNR, farebbe rientrare la successione dei contratti in questione nell’ambito della previsione di cui all’art. 5, comma 4 bis, indipendentemente dalla diversità dei progetti;

2. il ricorso è inammissibile;

2.1. l’esame delle censure in diritto concernenti l’applicazione della disciplina legale e contrattale di riferimento è precluso dal difetto allegatorio in quanto non è trascritto il contenuto dei contratti cui si fa riferimento, che non sono neppure allegati al ricorso per cassazione per cui non è dato sapere quale fosse l’oggetto di tali contratti, se si sia trattato di progetti o programmi diversi, di proroghe ovvero di rinnovi;

2.2. si ricorda che il ricorso per cassazione deve essere redatto nel rispetto dei requisiti imposti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c. che al comma 1, n. 6, richiede “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”;

è, quindi, necessario che il ricorrente, oltre a riportare nel ricorso il contenuto del documento, quanto meno nelle parti essenziali, precisi in quale fase processuale è avvenuta la produzione ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione;

va precisato, al riguardo, che il requisito di cui al richiamato art. 366 c.p.c., n. 6 è imprescindibile ed autonomo e non può essere confuso con quello di procedibilità (egualmente richiesto) previsto dall’art. 369 c.p.c., n. 4, in quanto il primo risponde all’esigenza di fornire al giudice di legittimità tutti gli elementi necessari per avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, mentre la produzione (laddove effettuata) è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso (v. fra le più recenti, sulla non sovrapponibilità dei due requisiti, Cass. 28 settembre 2016, n. 19048);

2.3. anche la dedotta trasversalità e sostanziale equivalenza delle mansioni di collaboratore amministrativo rispetto a tutti i contratti stipulati dalla ricorrente non è apprezzabile quale valido motivo di censura, senza che sia offerta la possibilità di verificare ex actis il contenuto delle pattuizioni dei vari contratti ed il concreto atteggiarsi dei compiti attribuiti in riferimento all’un programma o progetto ovvero all’altro;

3. per tali motivi, il ricorso va dichiarato inammissibile;

4. l’onere delle spese del giudizio di legittimità resta a carico di parte ricorrente, in applicazione della regola generale della soccombenza;

5. sussistono i presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte dell’Amministrazione ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale del 25 febbraio 2020 a seguito di riconvocazione della camera di consiglio, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020

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