LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 35866/2018 proposto da:
R.A., elettivamente domiciliato in Messina, alla via Placida, n. 13, presso lo studio dell’avv. Carmelo Picciotto, che lo rappresenta e difende in virtù di nomina e procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
– intimato –
avverso il decreto n. 18341/2018 del Tribunale di Messina depositato il 24/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/11/2019 dal Consigliere relatore Macrì Ubalda.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Messina ha rigettato la domanda del ricorrente di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione sussidiaria e di protezione umanitaria, confermando le conclusioni della Commissione territoriale di Messina in data 1 febbraio 2018, che aveva ritenuto non dimostrati i fatti di persecuzione del Bangladesh e comunque non riferibili all’attuale situazione esistente, ed aveva ritenuto non ricorrenti le condizioni di vulnerabilità personale che avrebbero giustificato il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Il Tribunale, dopo aver ricostruito la disciplina in materia, ha affermato che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato perchè si trattava di una vicenda privata, ha escluso poi la vulnerabilità, nonostante fosse stato vittima di adultizzazione precoce e fosse stato sottoposto in Libia a violenze di cui serbava tracce visibili. Ha osservato che aveva frequentato i corsi di alfabetizzazione e che il suo inserimento nella struttura ospitante era stato positivo, avendo tenuto un comportamento rispettoso e collaborativo. Ciò nondimeno il Bangladesh era in espansione economica, mentre le violenze subìte in Libia non costituivano di per sè una causa di vulnerabilità in assenza di specifiche patologie che richiedevano cure particolari. Il decreto si è chiuso con un dispositivo recante il nome di un altro soggetto. Il provvedimento ha avuto tuttavia un seguito con altre considerazioni giuridiche e la rappresentazione di altri fatti non relativi al richiedente, salvo poi chiudersi con un altro dispositivo, questa volta relativo al ricorrente.
Il ricorrente chiede la cassazione del decreto del Tribunale di Messina sulla base di quattro motivi.
Il Ministero dell’Interno non si è costituito.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli art. 132 c.p.c. e 13CEDU perchè il decreto si presentava come un “patchwork” caotico di vari pezzi di altri provvedimenti relativi ad altri soggetti.
Con il secondo lamenta una superficiale valutazione delle condizioni del Bangladesh senza esaminare le fonti allegate nell’istanza.
Con il terzo eccepisce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, con riferimento alla situazione della Libia, perchè, senza dubitare del narrato, aveva escluso la condizione di vulnerabilità connessa al transito ed alla permanenza in Libia dov’era notoria la pratica di trattamenti inumani e degradanti a cagione dei quali molte persone morivano.
Con il quarto chiede di sollevare la questione di legittimità costituzionale per disparità di trattamento nell’accesso alle fonti informative tra i giudici che potevano accedere al sito del Consiglio superiore della magistratura e gli avvocati a cui tale accesso era precluso.
Sono fondate le prime tre le doglianze, mentre la quarta pone una questione irrilevante ai fini del decidere.
Ed invero, è impossibile la lettura del provvedimento nella sua interezza perchè, dopo la prima parte esitata in un dispositivo non coerente perchè relativo ad altro soggetto, conte pezzi sparsi di altri provvedimenti collegati in modo incoerente.
Manca una valutazione attenta e scrupolosa delle condizioni del Bangladesh, come pure contraddittoria e superficiale si appalesa la negazione della condizione di vulnerabilità del richiedente dopo aver constatato che il transito in Libia era stato devastante.
Il provvedimento impugnato merita pertanto di essere cassato affinchè il Tribunale di Messina, in diversa composizione, riesamini da capo tutta la vicenda.
P.Q.M.
La Corte cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Messina in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020