LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TORRICE Amelia – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3479/2015 proposto da:
M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 265, presso lo studio dell’avvocato TERESA GIGLIOTTI, raopresentato e difeso dagli avvocati GIOVANNI MIASI, EMILIA CERCHIARA;
– ricorrente principale –
contro
I.A.C.P. – ISTITUTO AUTONOMO CASE POPOLARI di MESSINA, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CORRADO MARTELLI;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 275/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 11/03/2014 R.G.N. 690/2009.
RILEVATO
che con sentenza in data 11 marzo 2013 la Corte d’appello di Messina, pronunciando sull’appello proposto dall’Istituto Autonomo Case Popolari (d’ora in poi: IACP) di Messina avverso la sentenza n. 337/2009 del locale Tribunale, in riforma di tale sentenza, dichiara il difetto di giurisdizione su tutte le domande avanzate da M.S. nel ricorso introduttivo del giudizio;
che la Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:
a) il M. ha riferito di aver lavorato, come guardiano, alle dipendenze dello IACP fino all’1 settembre 2006, di essere stato assunto l’1 luglio 1974, ma di avere svolto le medesime mansioni alle dipendenze dell’Istituto anche dal 20 dicembre 1971 fino alla data dell’assunzione, con un rapporto formalmente configurato come contratto d’opera;
b) pertanto, il ricorrente ha chiesto, previo riconoscimento dell’avvenuta instaurazione di un rapporto di pubblico impiego nel suindicato periodo antecedente la formale assunzione, la condanna dello IACP al pagamento delle conseguenti differenze retributive e contributive e di quanto correlativamente dovuto nel TFR;
c) il Tribunale ha affermato il proprio difetto di giurisdizione su tutte le domande tranne che su quella relativa alle richieste differenze sul TFR, condannando lo IACP al relativo pagamento per il periodo intercorrente da agosto 1972 fino alla data dell’assunzione;
d) appare inevitabile riconoscere il difetto di giurisdizione per tutte le domande proposte dal M. perchè esse muovono dall’accertamento della reale natura del rapporto di lavoro svoltosi tra le parti nel periodo antecedente l’assunzione e formalmente qualificato come contratto d’opera;
e) non può portare ad una diversa conclusione la protrazione del rapporto di lavoro subordinato dal 1974 al 2006, in quanto il domandato accertamento di un rapporto di pubblico impiego – quale all’epoca si configurava – per un periodo di gran lunga antecedente il 30 giugno 1998 esula dalla giurisdizione del giudice ordinario e rientra in quella del giudice amministrativo, senza che possa trattarsi autonomamente la domanda riguardante le differenze sul TFR in quanto essa comunque presuppone l’anzidetto accertamento, diversamente da quanto affermato dal Tribunale;
che avverso tale sentenza M.S. propone ricorso affidato ad un unico motivo;
che lo IACP di Messina resiste, con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, in parte condizionato, per due motivi.
CONSIDERATO
che, in via preliminare va precisato, che il Collegio è delegato a trattare la questione di giurisdizione – posta nel ricorso principale – in virtù del decreto del Primo Presidente in data 10 settembre 2018 in quanto essa rientra, nell’ambito delle materie di competenza della Sezione lavoro, tra le questioni indicate nel richiamato decreto sulle quali si è consolidata la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte;
Sintesi del ricorso principale.
che con l’unico motivo del ricorso principale si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1, violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, sostenendosi che il diritto del ricorrente alle differenze sul TFR è venuto a maturazione nel 2006 sicchè, come correttamente affermato dal primo Giudice, su tale domanda sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, mentre tale giurisdizione è da escludere con riguardo alle differenze retributive e contributive originariamente richieste, considerandosi corretta anche tale statuizione del primo giudice, non censurata in appello;
Sintesi del ricorso incidentale.
che, in via condizionata, lo IACP di Messina sostiene che, se la domanda del M. fosse da interpretare come richiesta di corresponsione del TFR per il periodo 20 dicembre 1971-1 luglio 1974, afferente ad un rapporto autonomo rispetto a quello di pubblico impiego, non potrebbe parlarsi di trattamento di fine rapporto, ma caso mai di indennità di fine rapporto e in tal caso il diritto fatto valere si sarebbe ampiamente prescritto;
che, in via autonoma, lo IACP denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 93 c.p.c. e omessa motivazione in riferimento alla statuizione della Corte d’appello di compensazione delle spese, perchè a suo parere supportata da motivazione implausibile e illogica;
Esame del ricorso principale.
che il ricorso principale è da accogliere, per le ragioni di seguito esposte;
che deve essere, in primo luogo, ricordato il consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui: al fine dell’esame dei motivi attinenti la giurisdizione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 – come quello qui proposto dal ricorrente principale – la Corte di cassazione è giudice anche del fatto, cioè conosce dei fatti processuali ed altresì di tutti i fatti dai quali dipenda la soluzione della questione, sempre che il ricorrente abbia specificato, a pena di inammissibilità del motivo, gli errori imputati alla pronuncia impugnata e i fatti processuali alla base della censura (vedi, per tutte: Cass. SU 5 novembre 2019, n. 28332; Cass. SU 19 gennaio 2020, n. 156; Cass. SU 21 aprile 2015, n. 8074; Cass. SU 26 novembre 2008, n. 28166; Cass. SU 2 aprile 2007, n. 8095);
che, in applicazione di tale orientamento, dalla lettura della sentenza di primo grado, più volte richiamata dal ricorrente, risulta che:
a) il Tribunale di Messina ha affermato il proprio difetto di giurisdizione sulle domande relative alle differenze retributive e contributive richieste nel ricorso introduttivo con riferimento al periodo antecedente l’assunzione dell’1 luglio 1974 ma ha distinto tali domande da quella relativa alle richieste differenze sul TFR, condannando lo IACP al relativo pagamento per il periodo intercorrente da agosto 1972 (anzichè dal 21 dicembre 1971 come richiesto dall’interessato) fino alla data dell’assunzione;
b) con riguardo al TFR il Tribunale ha identificato la relativa domanda giudiziale azionata, avuto riguardo alla “causa petendi” e al “petitum” sostanziale della stessa – che rappresenta il criterio applicato per individuazione della giurisdizione – nella richiesta di una più favorevole individuazione del periodo utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto (comprensiva del periodo in cui il M. ha lavorato per lo IACP prima di essere formalmente assunto) e non nella costituzione di un rapporto di pubblico impiego in riferimento all’anzidetto periodo;
c) di conseguenza il primo Giudice ha affermato su tale domanda la propria giurisdizione, rilevando che il diritto al TFR matura all’epoca della cessazione del rapporto (avvenuta nel 2006) ed escludendo la prescrizione di tale diritto (essendo stato il ricorso introduttivo depositato il 21 novembre 2006);
d) il Tribunale ha altresì precisato che la sussistenza di un rapporto di fatto rileva ex art. 2126 c.c., trattandosi eventualmente di prestazioni contra legem a causa della natura pubblicistica dell’ente che non impediscono il sorgere dell’obbligo contributivo e la considerazione dello stesso ai fini dell’anzianità e quindi del TFR;
e) il Tribunale ha quindi accertato, mediante la prova testimoniale, che il ricorrente anche prima dell’assunzione formale ha svolto le medesime prestazioni svolte in epoca successiva;
f) di conseguenza, sulla base di una consulenza contabile, ha liquidato la differenza sul TFR per il periodo in cui aveva raggiunto la prova (da agosto 1972 all’1 luglio 1974);
che il ricorrente afferma di aver condiviso, fin dal giudizio di appello, la suindicata impostazione in materia di giurisdizione nonchè la definizione contenuta nella sentenza di primo grado della domanda relativa al TFR e di essersi limitato a contestare, in sede di gravame, solo la decorrenza (dal 21 dicembre 1971 anzichè da agosto 1972) del periodo di lavoro da aggiungere al TFR, che, nella sentenza attualmente impugnata, la Corte d’appello si è limitata a dichiarare il difetto di giurisdizione su tutte le domande avanzate da M.S. nel ricorso introduttivo del giudizio, senza neppure considerare che alle domande retributive e contributive l’interessato aveva di fatto rinunciato, visto che in appello non aveva contestato le statuizioni del primo Giudice sul punto;
che, quanto alla domanda relativa alla determinazione del TFR, la Corte territoriale ha declinato la propria giurisdizione senza tenere conto del costante orientamento di questa Corte secondo cui sussiste la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie in cui si discuta della corretta determinazione del TFR con riguardo ad un rapporto rientrante nel pubblico impiego privatizzato che, pur se iniziato prima del 30 giugno 1998, sia cessato in epoca successiva a tale data – come pacificamente accade nella specie, avendo il rapporto avuto termine a settembre 2006 – atteso che solo in tale momento, con l’erogazione del trattamento di fine rapporto e la percezione di una somma eventualmente inferiore a quella dovuta, si realizza il fatto dannoso subito dal lavoratore in conseguenza del pregresso comportamento illecito del datore di lavoro, con la conseguenza che il giudice avente giurisdizione in tale momento conosce dell’intero arco temporale della pretesa (vedi per tutte: Cass. SU 30 giugno 2008, n. 17774);
che il computo del trattamento di fine rapporto, governato dal principio della infrazionabilità dell’anzianità di servizio, presuppone l’accertamento della natura del rapporto (anche per il periodo antecedente il 30 giugno 1998) che il giudice del merito deve compiere considerando – al di là della forma attribuita al rapporto – il contenuto degli accordi intervenuti tra le parti e le circostanze di fatto che caratterizzano la prestazione, come nel presente giudizio è stato fatto dal primo Giudice;
che, in definitiva, la Corte d’appello ha escluso la propria giurisdizione anche sulla domanda riguardante la corretta determinazione del TFR senza stabilire quale sia stata, in concreto, la natura del rapporto intercorso fra le parti nel periodo controverso, antecedente l’assunzione – avvenuta l’1 luglio 1974 – al di là della formale configurazione come contratto d’opera;
che, pertanto, in applicazione ai richiamati principi il ricorso principale deve essere accolto e va affermata la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda del M. diretta ad ottenere una più favorevole individuazione del periodo utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto (comprensiva del periodo in cui egli ha lavorato per lo IACP prima di esserne stato formalmente assunto);
Esame del ricorso incidentale che il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile;
che il motivo di ricorso condizionato è inammissibile perchè risulta privo dei requisiti minimi di forma e contenuto propri dei motivi dl ricorso per cassazione, come delineati dalla costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui:
a) essendo il giudizio di cassazione un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, i singoli motivi assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore; pertanto ogni singolo motivo deve essere articolato in specifiche censure riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (Cass. SU 24 luglio 2013, n. 17931; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202);
b) nei motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza il ricorrente deve articolare specifiche censure esaminabili dal giudice di legittimità sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito in relazione alla fattispecie decisa e deve indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del processo di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione di identificare la critica mossa ad una parte ben individuata della decisione stessa (vedi, di recente: Cass. 22 gennaio 2018, n. 1479);
c) pertanto, se nel ricorso per cassazione si denuncia l’esistenza di una violazione di legge, si deve chiarire a pena di inammissibilità l’errore di diritto imputato al riguardo alla sentenza impugnata, in relazione alla concreta controversia (Cass. SU 23 settembre 2013, n. 21672; Cass. 17 gennaio 2020, n. 1037);
che, nella specie, le censure formulate dal ricorrente incidentale nel suindicato motivo sono generiche e, non evidenziando alcun collegamento con la decisione impugnata, risultano meramente ipotetiche e, quindi, inammissibili;
che è inammissibile anche il motivo proposto in via autonoma dal ricorrente incidentale, con il quale, come si è detto, si sostiene che la statuizione della Corte d’appello di compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio si porrebbe in contrasto con gli artt. 91 e 93 c.p.c. e sarebbe anche priva di motivazione, data l’implausibilità e illogicità della motivazione che supporta tale statuizione;
che deve essere ricordato che in linea generale la valutazione operata dal giudice del merito in materia di spese processuali – e quindi con riguardo alla relativa compensazione – è censurabile in sede di giudizio di cassazione solo ove sia violato il principio per il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa oppure allorchè la motivazione che sorregge la statuizione di compensazione risulti palesemente illogica e contraddittoria e tale da inficiare, per la sua inconsistenza o evidente erroneità, il processo decisionale del giudice (vedi, per tutte: Cass. SU 30 luglio 2008, n. 20598; Cass. 17 ottobre 2017, n. 24502; Cass. 12 aprile 2018, n. 9064);
che, peraltro, come affermato dalla Corte costituzionale, anche di recente, la regolamentazione delle spese di lite è processualmente accessoria alla pronuncia del giudice che la definisce e, in quanto tale, è anche funzionalmente servente rispetto alla realizzazione della tutela giurisdizionale come diritto costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.), essendo la liquidazione delle spese giudiziali in favore della parte vittoriosa il “normale complemento” dell’accoglimento della domanda (Corte Cost., sentenze n. 303 del 1986 e n. 77 del 2018);
che, in questo quadro, la compensazione delle spese rappresenta una deroga all’istituto della condanna del soccombente alla rifusione delle spese di lite in favore della parte vittoriosa e, pertanto, deve essere governata dal principio di causalità, in quanto, come si è detto, anche la condanna alle spese del soccombente concorre al soddisfacimento effettivo del diritto fatto valere in giudizio, in conformità con l’art. 24 Cost. (Cass. SU 30 luglio 2008, n. 20598 nonchè Corte Cost. sentenza n. 77 del 2018 cit.);
che, nella specie, essendo la pronuncia emessa di difetto di giurisdizione il riferimento effettuato dalla Corte d’appello al “tenore della decisione e alla natura della questione trattata” per giustificare la compensazione integrale delle spese non solo non ha certamente comportato l’addossamento delle spese alla parte vittoriosa ma appare del tutto logico (vedi, per tutte: Cass. 2 dicembre 2010, n. 24531);
che, quindi, il motivo è da considerare inammissibile perchè le censure in esso proposte denunciano – sia per il profilo della violazione di legge sia per quello della omessa motivazione – degli ipotetici (e all’evidenza insussistenti) vizi della sentenza impugnata sul punto, che per quel che concerne la violazione di legge sono fuori dal sindacato di questa Corte;
che, comunque, in linea generale, tali censure sono prive di una congrua argomentazione al riguardo calibrata anche al tipo di pronuncia emessa, risultando effettuato in modo improprio pure il richiamo di Cass. SU 30 luglio 2008, n. 20598;
che, pertanto, si tratta di censure proposte senza tenere conto dei costanti e condivisi orientamenti di questa Corte secondo cui:
a) il ricorso per cassazione richiede, da un lato, per ogni motivo di ricorso, la formulazione della rubrica, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo – tra quelli espressamente previsti dall’art. 360 c.p.c. – è proposto; dall’altro, esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 29 agosto 2011, n. 17739; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 17 luglio 2007, n. 15452);
b) peraltro, la configurazione formale delle rubriche dei motivi di ricorso non ha contenuto vincolante per la qualificazione del vizio denunciato, poichè è solo la esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass. 30 marzo 2007, n. 7891; Cass. 5 aprile 2006, n. 7882; Cass. 18 marzo 2002, n. 3941);
che, in sintesi, in accoglimento del ricorso principale deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda del M. diretta ad ottenere il riconoscimento del proprio diritto ad una rideterminazione del trattamento di fine rapporto che comprenda anche il periodo in cui egli ha lavorato per lo IACP prima di esserne stato formalmente assunto;
che il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile;
che la sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, in relazione al ricorso accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Messina, che si atterrà, nell’ulteriore esame della controversia, a tutti i principi su affermati;
che tenuto conto della declaratoria d’inammissibilità del ricorso incidentale, si dà atto della sussistenza nei confronti del ricorrente incidentale dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, ove il versamento ivi previsto risulti dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara la giurisdizione del giudice ordinario; accoglie il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso accolto, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 25 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020