Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.12492 del 24/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20115-2014 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

S.M., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati ANTONIO SALERNO, NICOLA DE PRISCO;

– controricorrente –

e contro

SA.MA.RO., elettivamente domiciliata in ROMA VIA COSSERIA N. 2 presso ALFREDO PLACIDI, rappresentata e difesa dagli avvocati DOMENICO VENTURA e DOMENICO ANTONIO STASIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 537/2014 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 09/04/2014 R.G.N. 1271-1822/2013.

RILEVATO

CHE:

la Corte d’Appello di Salerno ha accolto la domanda con la quale Sa.Ma.Ro. e S.M. avevano chiesto la condanna del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca a riconoscere il loro diritto ad essere assunte in ruolo, quali docenti, rispettivamente per gli anni 2010/2011 e 2009/2010, per effetto del loro inserimento “a pettine” nelle graduatorie ad esaurimento diverse da quella di originaria iscrizione, presso le quali avevano fatto domanda, in luogo dell’inserimento erroneamente attuato dal Ministero “in coda” rispetto alla posizione dei candidati già precedentemente iscritti presso quelle province;

la Corte territoriale richiamava Corte Costituzionale 41/2011 e, prendendo atto che la Sa., se inserita “a pettine” sarebbe stata la prima della selezione per il 2010/2011 nella provincia di Forlì Cesena, mentre la S., pur inserendo “a pettine” anche tutti gli altri candidati posti “in coda” e con punteggio superiore al suo, sarebbe stata parimenti selezionata per il 2009/2010 nella provincia di Parma (in quanto muniti – lei stessa ed i colleghi già in coda – di punteggio superiore rispetto a tutti i candidati poi assunti) riconosceva il diritto all’assunzione di ciascuna di esse per i corrispondenti anni scolastici;

il Ministero ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo, resistito dalle lavoratrici con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

l’unico motivo di ricorso del Ministero è rubricato come “insussistenza della richiesta di inserimento a pettine nelle graduatorie del Lazio” e le conclusioni sono le seguenti: “voglia l’Ecc.ma Corte di Cassazione adita in conferma della sentenza ex adverso impugnata”;

il motivo contiene al proprio interno l’excursus normativo della vicenda oggetto di causa e si chiude con l’affermazione di sintesi secondo la quale l’effetto della vicenda giuridica sarebbe quello per cui anche per il biennio 2009/2011 i candidati avrebbero potuto chiedere il trasferimento di graduatoria in altra provincia, spostandosi con tutto il punteggio, con inserimento “a pettine” e contemporanea cancellazione dalla provincia di provenienza;

ricorrono dunque plurimi profili di inammissibilità;

al di là dei palesi errori rispetto alle graduatorie di riferimento (Lazio in luogo di Forlì Cesena e Parma) ed alle conclusioni (incomplete e formulate nel senso della conferma della sentenza che viceversa veniva con quell’atto impugnata) la censura manca dell’indicazione del titolo giuridico sulla cui base essa è mossa (violazione di legge; difetto di motivazione o quant’altro) e comunque risulta eccentrica rispetto al decisum, in quanto le ricorrenti hanno vantato proprio il diritto in ragione della loro iscrizione in altre province rispetto a quella di precedente iscrizione;

pertanto, il fatto che esse, a dire del Ministero, avrebbero dovuto essere cancellate dalla provincia di provenienza è del tutto irrilevante;

l’argomento è dunque inidoneo a contrastare il decisum posto dalla Corte territoriale a fondamento del diritto vantato e tratto, nella sostanza, dalla pronuncia di legittimità costituzionale richiamata nella motivazione della sentenza impugnata;

all’inammissibilità del ricorso segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alle controparti le spese del giudizio di legittimità che liquida, per ciascuna di esse, in Euro 4.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020

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