LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20494-2018 proposto da:
G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MANUELA LO PRESTI;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO, ESTER ADA SCIPLINO, GIUSEPPE MATANO, ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1325/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 21/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 29/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO RIVERSO.
RITENUTO
CHE:
la Corte d’appello di Catania, con la sentenza n. 1325/2017, rigettava l’appello proposto da G.G. avverso la sentenza che aveva respinto il ricorso proposto avverso la pretesa contributiva dell’INPS scaturente da verbale di accertamento del 17.3.2005, riferita all’omessa regolarizzazione dei dipendenti Gu.Gi., C.M. e Gr.Fr. per il periodo marzo 2001- febbraio 2005.
A fondamento della sentenza la Corte, in merito alla decorrenza del rapporto di lavoro di Gu.Gi. ed all’esistenza di altri rapporti di lavoro, che tribunale correttamente avesse concluso per l’esistenza del rapporto di lavoro tra i due fratelli dalla data di cessazione dello stato di reclusione in carcere secondo quanto dichiarato dagli stessi fratelli agli ispettori; del resto dalla stessa data, ovvero dal 20/12/2004, Gu.Gi. beneficiava della misura alternativa al carcere della detenzione domiciliare proprio in forza della disponibilità all’assunzione resa dal fratello G.G. al tribunale di sorveglianza. Inoltre per ciò che concerne le altre due dipendenti la prova del rapporto poteva desumersi dalle ammissioni del datore di lavoro in sede ispettiva ma anche dalle dichiarazioni rese dalla C. agli ispettori, oltre che da una serie di elementi oggettivi di riscontro.
Contro la i sentenza ha proposto ricorso per Cassazione G.G. con due motivi illustrati da memoria, ai quale ha resistito l’INPS con controricorso.
RILEVATO
CHE:
1.- con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sul motivo di impugnazione riguardante il provvedimento del Comitato regionale per i rapporti di lavoro (prot. n. 22 giugno 2005 prot. n. *****) che aveva annullato in parte il verbale impugnato; la sentenza era nulla in quanto avevo omesso di decidere e motivare in ordine a questo provvedimento ed all’incidenza di questo provvedimento su contributi e sanzioni di cui al verbale impugnato, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.
2.- Con il secondo motivo viene impugnata la condanna alle spese avendo errato la Corte d’appello a condannare l’appellante al pagamento delle spese processuali avendo il provvedimento del Comitato regionale per i rapporti di lavoro (prot. n. 22 giugno 2005 prot. n. *****) annullato in parte il verbale impugnato.
3.- Il ricorso è inammissibile in quanto non trascrive l’appello e quindi non rispetta il principio di specificità del ricorso per cassazione dal momento che non è possibile appurare ex actis se la questione, oggetto della censura di omessa pronuncia, fosse stata correttamente devoluta in appello oppure sia una questione nuova. Allo scopo è insufficiente il richiamo del provvedimento del Comitato Regionale che sarebbe stato depositato in primo grado.
Ed invero secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. I 70-19 del 20/08/2015, 14561 del 2012) è inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte.
4.- Il ricorso deve essere quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese come da dispositivo.
5.- Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del c.u. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
PQM
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che si liquidano in complessivi Euro 4200, di cui 4000 Euro per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed accessori di legge. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del c.u. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza, il 29 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020