LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31493-2018 proposto da:
R.M., S.G., M.M., C.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLE MEDAGLIE D’ORO 202, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA SARACENI, rappresentati e difesi dall’avvocato ROSARIA MANCONI;
– ricorrenti –
contro
C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato IGNAZIA PAOLA MARIA PALITTA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 314/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 13/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE GRASSO.
FATTO E DIRITTO
ritenuto che con la sentenza di cui in epigrafe il la Corte d’appello di Cagliari rigettò l’impugnazione proposta da M.M., R.V., R.M., C.G. e S.G. avverso la sentenza di primo grado, la quale, per quel che ancora qui residua d’utilità, secondo gli appellanti aveva omesso di pronunciarsi in ordine al diritto di credito di costoro “discendente dai lavori e dalle opere eseguite sull’immobile”, del quale era stata ordinata la restituzione a C.A., che ne era stato dichiarato legittimo proprietario;
ritenuto che avverso la statuizione d’appello gli appellanti, ad eccezione del R., propongono ricorso sulla base di unitaria censura e che il Contu resiste con controricorso;
considerato che la doglianza con la quale i ricorrenti lamentano “omessa pronuncia circa il diritto (…) discendente dai lavori e dalle opere eseguite sull’immobile” è inammissibile, avendo la Corte territoriale, a dispetto dell’assunto, deciso sul punto, disattendendo la pretesa vertendosi in presenza di opera abusiva non sanata, qualificata da “spiccata precarietà”, di talchè dovevasi negare “locupletaione in favore del proptietario” (pagg. 8-10);
che, in disparte, qualora si volesse reputare, che con la doglianza in parola i ricorrenti abbiano inteso assai malamente dolersi di una violazione di legge sostanziale (peraltro non specificata), l’asserto non è, del pari, scrutinabile, non avendo i ricorrenti colto la ratio decisoria, invero:
– qui non soccorre l’arresto evocato dai ricorrenti (Cass. n. 11659/2018), avendo la sentenza d’appello chiarito essere rimasto accertata la presenza di “diffusi abusi ” “, che il CTU ha verificato non apparire sanabili “con una semplice sanzione amministrativa”; quindi, ben lungi dall’ipotesi esaminata in quella statuizione di legittimità, non trattavasi di scostamenti modesti dal provvedimento amministrativo in corso di regolarizzazione, ma di un radicale mutamento di destinazione d’uso, non essendo dato sapere se mai in un futuro prossimo o lontano potrebbe mai essere rilasciata sanatoria, con la conseguenza che in questo caso deve ribadirsi che ove l’esecuzione delle opere con materiali propri su suolo altrui configuri illecito penale, il terzo non ha diritto all’indennizzo ex art. 936 c.c., salvo che il manufatto sia oggetto di regolarizzazione urbanistica, mediante concessione in sanatoria, giacchè questa restituisce l’immobile ad uno stato di conformità al diritto, escludendo la sua futura demolizione (Cass. n. 1237/2016, Rv. 638453), presupposto del quale qui non si ha alcuna prova, neppure probabilistica;
– a fronte di questi precipui accertamenti i ricorrenti si limitano a insistere, con difetto di specificità, sulle conclusioni del loro consulente di parte, senza allegare alcun atto concludente dal quale sia dato inferire, che ai Giudici del merito, a dispetto di quanto da costoro reputato, sia stata offerta documentazione pertinente, sulla base della quale ragionevolmente poter escludere la “spiccata precarietà degli immobili”;
considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore del controricorrente siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;
considerato che ai sensi del D.P.R n. 115 del 2002,art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del resistente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020