LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. PACILLI Giuseppina A.R. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 33456/2018 proposto da:
A.T., elettivamente domiciliato presso l’indirizzo di posta elettronica certificato dell’avv. Paolo Campostrini, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di TRIESTE, depositato il 9/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2019 dal Cons. GIUSEPPINA ANNA ROSARIA PACILLI.
FATTI DI CAUSA
Con decreto dell’8 ottobre 2018 il Tribunale di Trieste ha respinto la domanda proposta da A.T., nativo del Pakistan, volta al riconoscimento della protezione internazionale o di quella umanitaria.
In estrema sintesi, il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione, invocata dal richiedente, avuto riguardo alle dichiarazioni rese e alla situazione generale della Nigeria, rappresentata nel decreto impugnato con indicazione delle fonti di conoscenza.
Avverso il descritto decreto il richiedente propone ricorso per cassazione affidandosi a quattro motivi.
Il Ministero dell’Interno non resiste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I) Con il primo motivo si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, – la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per avere il Tribunale errato nel ritenere che il contrasto tra sunniti e sciiti concerne solo l’interpretazione del Corano e per non avere motivato in ordine alla persecuzione dedotta dal ricorrente con riferimento al suo rapporto sentimentale con una sciita.
Le censure sono infondate.
Il ricorrente, nelle dichiarazioni rese, ha ricondotto i motivi della partenza dal Punjab al conflitto sunnita/sciita. In particolare, ha riferito che, pur avendo ottenuto il permesso governativo per costruire la moschea, sarebbe stato osteggiato e minacciato dalla comunità sciita nonchè picchiato per questa ragione e, infine, minacciato di morte per la relazione in atto con una ragazza sciita. Il Tribunale di Trieste ha ritenuto che la versione, offerta dal richiedente, non risultava credibile, neppure soggettivamente, difettando elementi circostanziali, rilevanti ai fini della valutazione di credibilità D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. e. Ha aggiunto, tra l’altro, che non vi era “riscontro della violenza fisica subita dal richiedente” e “il timore di conseguenze negative all’incolumità personale era solo ipotizzato e immaginato”, mancando “la prova o un principio di prova per ritenere che il ricorrente sia passibile di violenza o di uccisione”.
A fronte di siffatta motivazione giova ricordare che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, dispone che il richiedente “è tenuto a presentare… tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la medesima domanda”. Il richiedente, quindi, in linea generale non gode di alcuna agevolazione rispetto alle regole ordinarie del giudizio civile, tale da giustificare un quadro assertivo non adeguatamente circostanziato e preciso.
Il menzionato art. 3 stabilisce, altresì, che, qualora taluni elementi, posti a sostegno della domanda di protezione internazionale, non siano suffragati da prove (prove che dunque la norma ribadisce di porre di regola a carico dell’interessato), essi sono considerati veritieri, ove possa ritenersi che il richiedente, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda:
1) abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla e, così, abbia offerto tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e fornito un’idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi;
2) abbia fornito dichiarazioni coerenti e plausibili e non in contraddizione con le informazioni generali e specifiche, pertinenti al suo caso, e risulti altresì, in generale credibile.
Il dovere di cooperazione istruttoria, collocato esclusivamente dal versante probatorio, trova, quindi, “per espressa previsione normativa, un preciso limite tanto nella reticenza del richiedente (in ciò risolvendosi l’omissione di uno sforzo ragionevole per circostanziare i fatti) quanto nella non credibilità delle circostanze che egli pone a sostegno della domanda. Si tratta quindi di deficienze, reticenza e non credibilità, parimenti riferibili al quadro delle allegazioni, di guisa che, intanto si concretizza il dovere di cooperazione istruttoria, in quanto si sia in presenza di allegazioni precise, complete, circostanziate e credibili, e non invece generiche, non personalizzate, stereotipate, approssimative e, a maggior ragione, non credibili” (in questi termini Cass. n. 15794/2019 cit.).
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche deve rilevarsi che il Tribunale, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, è pervenuto alla valutazione negativa sulla credibilità del predetto facendo corretta applicazione dei criteri indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.
Nessuna violazione inficia, dunque, la motivazione del provvedimento in parte qua.
II) Il secondo motivo denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. – la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per avere il Tribunale, basandosi su report quantomeno datati, ritenuto sussistente una situazione di protezione da parte delle Forze dell’ordine Pakistane e l’assenza di una situazione di pericolo generalizzato nel Paese di origine del ricorrente.
III) Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, e deduce che, non essendo stato recepito l’art. 8 della direttiva 2004/83/CE, il Tribunale avrebbe dovuto considerare solo la situazione dell’intero Paese e non ritenere ostativa – al fine della concessione della protezione – la situazione presente nella specifica area di origine del richiedente.
Il secondo e il terzo motivo, che, in quanto connessi possono essere trattati congiuntamente, sono anch’essi infondati.
Deve precisarsi, in primo luogo, che il mancato recepimento della direttiva suindicata ha comportato che non si possa escludere la protezione sol perchè esistano aree sicure nello Stato di provenienza del richiedente ma non ha comportato – come invece asserito dal ricorrente – che si debba considerare la situazione in generale dello Stato di provenienza e concedere la protezione solo perchè in un’area, diversa da quella di provenienza del richiedente, sussista una situazione di rischio.
Ciò precisato, deve rilevarsi che il Tribunale di Trieste – sulla base delle fonti di conoscenza, indicate nel provvedimento – ha escluso che nel Punjab, area di provenienza del ricorrente, vi sia una situazione di generalizzata violenza, rilevante D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c).
Questo accertamento costituisce un’indagine di fatto che può esser censurata in sede di legittimità nei limiti consentiti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: il che non è stato fatto, sicchè l’odierna doglianza deve reputarsi come semplicemente finalizzata a sovvertirne l’esito.
IV) Il quarto motiva deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 8 CEDU, e agli artt. 2 e 10 Cost., censurando la sentenza impugnata per aver escluso la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria, non considerando la raggiunta integrazione del ricorrente, che lavora in Italia.
Anche tale censura non è fondata.
Il Tribunale ha ritenuto non credibile il racconto del ricorrente e ha affermato che la mancanza di credibilità esclude la possibilità di riconoscere il permesso di soggiorno per motivi umanitari.
A fronte di questa specifica ed argomentata conclusione, il motivo di ricorso si palesa inammissibilmente teso ad una contestazione di merito.
V) Il ricorso, dunque, va respinto. Non deve essere assunta alcuna statuizione sulle spese processuali, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato.
PQM
Rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di legittimità.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore contributo, così come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2020