Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.12933 del 26/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35369/2018 proposto da:

O.R., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Ivana Calcopietro sito in *****;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Per il Riconoscimento Della Protezione Internazionale Crotone, Ministero Dell’interno *****;

– resistente –

avverso la sentenza n. 794/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 24/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/11/2019 da Dr. PIERLUIGI DI STEFANO.

FATTI DI CAUSA

O.R., cittadino della Nigeria, ricorre con cinque motivi avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro del 3 aprile 2018 che rigettava il suo appello avverso l’ordinanza del Tribunale che confermava il diniego da parte della Commissione territoriale del riconoscimento del suo status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

La Corte di appello espone che il richiedente, di religione cristiana, fonda la sua condizione di rifugiato sulla persecuzione subita in Nigeria ed in Libia per motivi di religione e di etnia nonchè chiede la protezione sussidiaria per il rischio del rientro nel paese di origine in quanto attualmente caratterizzato da una forte attività criminale che comporta una violenza indiscriminata a carico dei civili.

Rileva che, però, il ricorrente, allorchè ascoltato dalla Commissione territoriale, aveva riferito di essere andato via dalla Nigeria per aver perso il lavoro ed in quella sede non aveva manifestato alcun timore per il rientro. Quindi la prospettazione della condizione di rifugiato era basata su affermazioni del tutto generiche, in assenza di qualsivoglia circostanza significativa riferibile alla persona del richiedente.

Per quanto riguarda la protezione sussidiaria, le condizioni del Paese, note in base alle informazioni acquisite da fonti affidabili, escludono un rischio, sia generale che specifico per il ricorrente, di violenza indiscriminata.

Escludeva, infine, le condizioni per la protezione umanitaria.

Si è costituita l’avvocatura dello Stato al fine dell’eventuale partecipazione alla udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo deduce violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Valorizza un articolo di stampa specializzata che evidenzia, insieme ad altre fonti, le condizioni elevate di pericolo all’interno della Nigeria, in tutte le sue aree, anche con riferimento alla componente religiosa.

Il motivo è infondato. La sentenza impugnata ha ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata in Nigeria; per giungere a tale conclusione ha fatto ricorso alle informazioni disponibili secondo la tipologia di fonti di cui al D.Lgs. n. 35 del 2008, art. 2 bis. Il ricorrrente non si confronta con tale motivazione e si limita ad una generica valutazione alternativa delle condizioni della Nigeria, invocando una valutazione di merito non consentita in questa fase.

Con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 151 del 2007, art. 14, all’art. 8 della direttiva 2004/83/CE. Nella normativa italiana non è stata trasfusa la regola dell’art. 8 della citata direttiva che consente di valutare la presenza di zone sicure nel paese di provenienza. Quindi per rendere accoglibile la propria domanda è sufficiente che in parte della Nigeria vi siano condizioni di insicurezza.

Il ricorso è infondato perchè l’intepretazione delle disposizione in questione è diversa da quella proposta dal ricorrente: come già chiarito dall’ordinanza Sez. 1 – n. 13088 del 15/05/2019 (Rv. 653884 – 01), ” In tema di protezione internazionale dello straniero, nell’ordinamento italiano la valutazione della “settorialità” della situazione di rischio di danno grave deve essere intesa, alla stregua della disciplina di cui al D.Lgs. n. 25 del 2007, nel senso che il riconoscimento del diritto ad ottenere lo “status” di rifugiato politico, o la misura più gradata della protezione sussidiaria, non può essere escluso in virtù della ragionevole possibilità del richiedente di trasferirsi in altra zona del territorio del Paese d’origine, ove egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi, mentre non vale il contrario, sicchè il richiedente non può accedere alla protezione se proveniente da una regione o area interna del Paese d’origine sicura, per il solo fatto che vi siano nello stesso Paese anche altre regioni o aree invece insicure” L’area di residenza del ricorrente, secondo la motivata valutazione della Corte di appello, risulta fuori dal perimetro di quelle in cui sarebbero integrate condizioni di pericolo.

Con il terzo il quarto motivo propone le stesse questioni dei primi due motivi con riferimento alla Libia, ritenendo che la valutazione delle condizioni che impongono la protezione internazionale debba essere riferita a tutti i territori attraverso i quali il ricorrente sia transitato prima di giungere in Italia.

Tali motivi sono infondati innanzitutto perchè è in questione il respingimento verso il paese di origine e non verso la Libia; inoltre, quanto al collegamento del richiedente con la Libia, vi sono state solo deduzioni generiche.

Con il quinto motivo deduce la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, in riferimento a varie disposizioni costituzionali e Cedu con riguardo al tema della protezione umanitaria. Rappresenta le conseguenze del suo licenziamento da parte della compagnia elettrica nigeriana e nel contempo la sua attività lavorativa in Italia.

Il motivo è infondato. Pur formalmente deducendosi la violazione di legge, il testo del motivo è chiaramente mirato alla contestazione delle valutazioni effettuate dai giudice di merito, proponendo la considerazione delle modalità del licenziamento subito in Nigeria per la privatizzazione della sua azienda e valorizzando diversamente la attività lavorativa in Italia; si tratta, quindi, di questioni non valutabili in sede di legittimità e, peraltro, il motivo, è del tutto assertivo sulla ricorrenza di condizioni che sono state motivatamente escluse dalla Corte di appello ed è comunque basato sull’erroneo presupposto che, per giustificare la protezione umanitaria, sia sufficiente la mera aspirazione a migliori condizioni lavorative o di vita.

Nulla sulle spese in difetto di attività difensiva della controparte.

Il richiedente è ammesso in via provvisoria al patrocinio a spese dello Stato e pertanto non è tenuto al versamento del contributo unificato, stante la prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 11 e 131, e, di conseguenza, neppure dell’ulteriore importo di cui all’art. 13, comma 1 quater, del decreto citato (cfr. Cass. 7368/2017; n. 32319 del 2018), se ed in quanto l’ammissione non risulti revocata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2020

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