LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 1163-2015 r.g. proposto da:
FALLIMENTO ***** s.r.l., (cod. fisc. *****), in persona del curatore fallimentare legale rappresentante pro tempore Rag.
N.G., rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avvocato Bruno Sellitti, con cui elettivamente domicilia in Roma, Via Antonio Locatelli n. 1, presso lo studio dell’Avvocato Roberto Valentino.
– ricorrente –
contro
BANCO POPOLARE società cooperativa, (cod. fisc. *****), con sede in Verona, Piazza Nogara n. 2, in persona del legale rappresentante pro tempore D.M.B., rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Michele Chianese, con il quale elettivamente domicilia in Roma, Via Eleonora Duse n. 35, presso lo studio dell’Avvocato Francesco Pappalardo.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, depositata in data 13.11.2013;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 4/2/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
RILEVATO
Che:
1. La Corte di Appello di Napoli ha accolto parzialmente l’appello proposto da Banco Popolare società cooperativa avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Napoli il 30.1.2009, con la quale, in accoglimento della domanda L. Fall., ex art. 67, avanzata dal Fallimento ***** s.r.l., erano state dichiarate inefficaci le rimesse solutorie per Euro 137.839,73 affluite, nel c.d. periodo sospetto, sul conto corrente intrattenuto dalla società poi fallita presso il predetto istituto di credito.
Per ciò che in questa sede ancora rileva, la corte del merito – premesso che era pacifico fra le parti che il conto corrente, acceso il 5 aprile 2000, e con prima movimentazione dal 10 aprile 2000, non aveva goduto di alcun affidamento e/o apertura di credito – ha ritenuto che: i) andava condiviso l’assunto del primo giudice secondo cui, al momento dell’apertura del conto corrente, Banco Popolare ignorava la situazione di insolvenza di *****, come evidenziata dai numerosi protesti elevati a carico di quest’ultima a partire dal 3 aprile 2000, il che privava di rilevanza anche il dato negativo dei bilanci degli esercizi ‘97 e ’99 – prodotti dal Fallimento – i quali, pur in presenza di un patrimonio netto positivo, avevano registrato perdite; ii) confermava tale conclusione, già giustificata dall’avvenuta pubblicazione dei primi protesti in data successiva all’apertura del conto, la circostanza del rilascio da parte dell’istituto di credito di numerosi carnet di assegni in favore della cliente e l’emissione da parte di quest’ultima di un considerevole numero di essi; iii) ciò, contrariamente a quanto sostenuto dal Fallimento, evidenziava la fiducia che l’istituto bancario aveva riposto sulle condizioni finanziarie della società correntista, tenuto conto che gli assegni erano stati pagati nonostante il rischio non coperto derivante dall’esposizione debitoria sul conto corrente, neanche assistito da garanzie o da altri benefici finanziari; iv) lo stesso ctu nominato dal primo giudice per accertare l’ammontare delle rimesse solutorie aveva ricondotto l’indubbia anomalia di un conto non affidato, che aveva presentato più volte saldi negativi ed era risultato normalmente operativo sino al *****, ad un finanziamento “di fatto” concesso dalla banca alla cliente, evidentemente inconciliabile con la conoscenza dello stato di insolvenza; v) l’oggettivo mutamento dell’andamento del conto corrente si era registrato solo dal *****, in ragione della singolare circostanza dell’interruzione delle operazioni di emissione degli assegni (prima invece costanti nel tempo), avvenuta, peraltro, in un periodo, prossimo alla dichiarazione di fallimento, nel quale il conto presentava un saldo positivo; vi) la spiegazione più convincente di tale inversione di tendenza nella operatività del conto corrente doveva essere ricondotta alla volontà della banca di non far più credito alla società, verosimilmente per l’intervenuta conoscenza della sua conclamata condizione di insolvenza, emergente dai numerosissimi protesti dalla stessa subiti; vii) le rimesse revocabili erano, pertanto, solo quelle intervenute a partire dal *****, per una complessiva somma pari ad Euro 8.624,87.
2. La sentenza, pubblicata il 13.11.2013, è stata impugnata dal Fallimento ***** s.r.l. con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo di censura, cui Banco Popolare società cooperativa ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo ed unico motivo il Fallimento ricorrente – denunciando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2 e art. 2729 c.c., comma 1, e comunque vizio di motivazione per insufficienza e contraddittorietà della stessa – lamenta che la corte di merito abbia ritenuto provata la scientia decoctionis della banca solo a partire dal *****. Sostiene che il giudice del gravame ha ricavato dalle circostanze del rilascio dei carnet e dell’emissione da parte di ***** di un numero elevato di assegni, l’erronea convinzione della fiducia nutrita dalla banca sulla condizione di solvibilità della società poi fallita, senza spiegare perchè, in presenza di un conto non affidato, un istituto di credito non abbia necessità di consultare il bollettino dei protesti; si duole, inoltre, dell’omessa valutazione degli elementi indiziari da esso addotti ai fini della prova della scientia decoctionis, con particolare riferimento alle risultanze dei bilanci e ad alla costante scopertura del conto, evidentemente tollerata da Banco Popolare perchè poteva fare affidamento su garanzie prestate da terzi.
2. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che il ricorrente, pur richiamando in rubrica il disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non ha denunciato l’errata ricognizione o applicazione da parte della corte del merito delle astratte fattispecie normative disciplinate dalla L. Fall., art. 67, comma 2 e art. 2729 c.c., ma si è limitato a dedurre che il giudice avrebbe violato le citate disposizioni in ragione dell’errata valutazione delle risultanze istruttorie e, perciò, a censurare la sentenza unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione.
2.1 Ora, quanto a tale profilo, va ricordato che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo, applicabile ratione temporis, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134), ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr., per tutte Cass. SS.UU. n. 8053 del 07/04/2014).
Detto altrimenti, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr., sempre Cass. 8053/2014, cit. supra). Ne consegue che non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla verifica della violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).
2.2 Ciò posto, va rilevato nella specie che il ricorrente, per un verso, non ha neppure allegato il “fatto storico” controverso e decisivo che la corte territoriale avrebbe omesso di esaminare – e, per altro verso, ha sviluppato deduzioni difensive che si sostanziano, per sua stessa ammissione, (cfr. pag. 23 ricorso introduttivo) in una richiesta di rivalutazione degli “indici addotti ai fini della prova della scientia decoctions”, e cioè nella domanda di un nuovo scrutinio delle risultanze istruttorie (bollettino protesti, indici estraibili dai bilanci, andamento conto corrente), inibito a questa Corte, perchè rimesso alla esclusiva cognizione dei giudici del merito.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il Fallimento ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020