LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –
Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29803/2014 R.G., proposto da:
F.G. e F.A., rappresentate e difese dall’Avv. Leoni Marcello, con studio in Ladispoli (RM), elettivamente domiciliate presso lo studio legale Capozzi di Roma, giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente procedimento;
– ricorrenti –
contro
l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore Generale pro tempore;
– intimata –
Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Centrale
– Sezione di Roma il 30 ottobre 2013 n. 5051/23/2013, non notificata;
letto il parere reso dal P.M., nella persona del Sostituta, Procuratore Generale, Dott. De Matteis Stanislao, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18 febbraio 2020 dal Dott. Lo Sardo Giuseppe.
RILEVATO
Che:
F.G. e F.A. ricorrono per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Centrale – Sezione di Roma il 30 ottobre 2013 n. 5051/23/2013, non notificata, che, in controversia su impugnazione di due avvisi di accertamento per l’imposta di registro (nel regime del previgente D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633), con i quali l’Ufficio del Registro di Roma aveva accertato il maggior valore di due alloggi assegnati in locazione con patto di futura vendita da parte dell'”E.N. C.A.I.P.”, ha accolto il ricorso proposto dall’amministrazione finanziaria nei loro confronti avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria di II grado di Roma il 21 dicembre 1985 n. 379/07/1985. La Commissione Tributaria Centrale ha riformato la decisione di secondo grado, sul presupposto che il valore assoggettabile ad imposta di registro per gli immobili oggetto di locazione con patto di futura vendita doveva essere calcolato al momento della successiva ricognizione del trasferimento di proprietà e non al momento dell’originaria stipulazione del contratto. L’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine della partecipazione all’eventuale udienza di discussione.
CONSIDERATO
Che:
Con un unico motivo, le ricorrenti denunciano “violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5" (senza alcun altra specificazione) per aver erroneamente ritenuto che, ai fini del calcolo dell’imposta di registro, il valore degli immobili deve essere considerato al momento dell’atto ricognitivo (dell’efficacia traslativa), perchè il trasferimento della proprietà nella locazione con patto di futura vendita si verifica soltanto con la cessione definitiva, che, pertanto, costituisce l’atto negoziale soggetto ad imposta di registro.
Ritenuto che:
1. Per indirizzo costante di questa Corte, in materia di ricorso per cassazione, l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (tra le tante: Cass., Sez. Un., 6 maggio 2015, n. 9100; Cass., Sez. 6, 17 marzo 2017, n. 7009; Cass., Sez. 2, 23 ottobre 2018, n. 26790). In particolare, poi, è ammissibile il ricorso per cassazione nel quale si denunzino, con un unico articolato motivo d’impugnazione, vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, qualora, però, sia reso palese su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica (in termini: Cass., Sez. Lav., 24 agosto 2017, n. 20335).
2. E’ pacifico, inoltre, che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo, giusta la c” disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non soltanto con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass., Sez. 1, 8 marzo 2007, n. 5353; Cass., Sez. 1, 29 novembre 2016, n. 24298).
Non vi è dubbio, quindi, che sia inidoneamente formulata la deduzione generica di un errore di diritto individuato senza la preliminare indicazione (o, comunque, almeno l’agevole inferenza dal tenore della doglianza) delle singole norme pretesamente violate.
3. Ricostruendo l’esposizione complessiva delle censure mosse alla sentenza impugnata, si può constatare come le doglianze delle ricorrenti si riconducano alla violazione o falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 19 (espressamente menzionato in ricorso), vigente ratione temporis con riguardo all’applicazione dell’imposta di registro “secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”, in forza del quale l’assimilazione quoad effectum della “locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti” alla “vendita con riserva di proprietà” (sancita, peraltro, dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, comma 2, lett. a, per le imposte sui redditi, e dal D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 2, comma 2, nn. 1 e 2, per l’imposta sul valore aggiunto), rende irrilevante il differimento del trasferimento della proprietà ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro.
Viceversa, pur da un attenta lettura del ricorso, non è dato comprendere quale sia il vizio astrattamente inficiante la motivazione della sentenza impugnata. Ne discende l’inammissibilità del motivo dedotto sotto quest’ultimo profilo.
4. Per il resto, limitando l’esame al solo profilo della violazione di legge, il motivo è manifestamente infondato.
5. Per orientamento consolidato di questa Corte, a cui il collegio ritiene di dover dare continuità, in tema di imposta di registro, ai fini del regime tributario applicabile qualora un alloggio economico e popolare, concesso in locazione ventennale con patto di futura vendita e riscatto, venga assegnato in proprietà al conduttore dopo il ventennio, il trasferimento della proprietà dell’immobile – ancorchè nel relativo atto sia dichiarato che esso avviene con effetto ex tunc – si realizza solo con l’atto finale dell’assegnazione, la quale sotto tale profilo è soggetta a tassazione, per cui si è negato che fosse rilevante che entrambe le parti sin dalla promessa di vendita fossero vincolate ad attuare il trasferimento del bene, non valendo la circostanza, in contrario, a far considerare realizzato il trasferimento della proprietà, ai fini dell’imposta in questione e delle relative agevolazioni, dal momento della promessa stessa, atteso che, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, l’imposta di registro è applicata in conformità alla intrinseca natura ed agli effetti giuridici dell’atto (ex plurimis: Cass., Sez. 5, 20 agosto 2007, n. 17709 – con riguardo alla disciplina previgente dell’imposta di registro di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634: Cass., Sez. 1, 1 luglio 1992, n. 8095; Cass., Sez. 1, 28 luglio 1994, n. 7062).
6. E’ evidente, quindi, che la Commissione Tributaria Centrale ha fatto corretta e puntuale applicazione di tale principio, ribadendo che il trasferimento della proprietà è differito al momento della stipulazione dell’atto ricognitivo, rispetto al quale soltanto si deve fare riferimento per l’applicazione dell’imposta di registro e delle relative agevolazioni. Pertanto, il ricorso non può che essere rigettato.
7. Nulla per le spese giudiziali, non essendo stata svolta attività difensiva dalla parte vittoriosa.
8. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; dà atto dell’obbligo, a carico delle ricorrenti, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2020