LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17747/2018 proposto da:
B.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Torino, 7, presso lo studio dell’avvocato Barberio Laura che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, *****, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 03/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/09/2019 da Dott. SAN GIORGIO MARIA ROSARIA.
FATTI DI CAUSA
1.- Il Tribunale di Roma, con decreto del 3 maggio 2018, ha rigettato il ricorso proposto da B.A. nei confronti del provvedimento della competente Commissione Territoriale di diniego della sua domanda di protezione internazionale nelle varie forme. Il ricorrente aveva dichiarato innanzi alla Commissione di essere cittadino della *****; di essere di etnia ***** e di religione musulmana; di aver lasciato il proprio Paese nel maggio 2015 dopo che il suo villaggio era stato coinvolto da gravi scontri etnici tra appartenenti alla sua etnia e appartenenti all’etnia Foular e dopo che suo padre, esponente politico locale, si era rifiutato di prendere le parti del partito sostenuto dalla sua stessa etnia, ragione per la quale gli era stato incendiato il negozio. Lo stesso era rimasto poi coinvolto in un incidente stradale nel quale era deceduto un ragazzo di etnia ***** ed era stato arrestato, mentre i parenti del ragazzo morto avevano preso a cercare – secondo quanto riferitogli da amici – lo stesso B.A. per ucciderlo e vendicare cosi la morte del loro congiunto.
Il racconto è apparso al Tribunale generico e comunque non riconducibile ai motivi di protezione contemplati dalla Convenzione di Ginevra, in quanto la persecuzione aveva riguardato essenzialmente il padre del richiedente, e non essendo plausibile che quest’ultimo potesse essere destinatario di una vendetta trasversale per una vicenda colposa, in relazione alla quale le forze di polizia erano prontamente intervenute.
Con riferimento alla richiesta subordinata di protezione sussidiaria il Tribunale ha escluso la sussistenza dei relativi presupposti, facendo riferimento alla situazione in Guinea Conakry quale descritta nei siti di particolare attendibilità (Rapporto Amnesty International 2016/2017; Report Human Rights Watch 2017).
Nè il Tribunale ha ritenuto sussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non avendo il ricorrente allegato condizioni particolari di vulnerabilità collegate a ragioni di salute o personali.
2.-Per la cassazione di tale decreto ricorre B.A. sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, relativi all’obbligo di cooperazione istruttoria incombente sul giudice della protezione internazionale con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), relativo ai presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria in ragione del rischio di subire trattamenti inumani e degradanti ad opera della comunità e in particolare di etnia *****”. Il ricorrente sostiene di avere rappresentato un rischio specifico in caso di rientro in Patria costituito dal pericolo di essere ucciso dalla comunità *****, rischio fondato sugli scontri etnici dilaganti in Guinea e sul subito incendio nel negozio di proprietà del padre. Il Tribunale avrebbe dovuto compiere uno specifico accertamento sulla capacità della polizia della Guinea Conakry di offrire protezione ai cittadini nei confronti delle minacce di uccisioni per motivi etnici.
2.- Il motivo è infondato.
Il Tribunale si è fatto carico della denuncia del ricorrente, ed ha ampiamente e diffusamente dato conto delle risultanze emergenti da siti autorevoli di informazione, puntualmente citati, che riferiscono dei progressi della Guinea nel consolidamento dello stato di diritto, della maggiore disponibilità delle autorità negli ultimi anni ad affrontare le violazioni delle forze di sicurezza e sanzionare i responsabili, dell’approvazione di un nuovo codice penale che ha abolito la pena di morte ed ha criminalizzato la tortura, della riorganizzazione del sistema giudiziario per migliorare la risposta di giustizia, pur nella consapevolezza della esigenza di un miglior controllo delle violazioni da parte dei membri delle forze di sicurezza.
In tale quadro, è stata esclusa la sussistenza di una situazione di pericolo per l’incolumità del ricorrente in caso di rimpatrio, tenuto anche conto della circostanza che nemmeno egli stesso ha dichiarato di avere subito direttamente aggressioni o minacce, ciò che ha indotto il giudice di merito a ritenere poco plausibile che sia destinatario di una vendetta trasversale in relazione ad una vicenda colposa. A ciò va aggiunta la ulteriore considerazione che le autorità erano prontamente intervenute, secondo lo stesso racconto del ricorrente, sul luogo dell’incidente arrestando il padre, e così sottraendolo anche a forme di giustizia sommaria. Sicchè – ha concluso il Tribunale sul punto – il ricorrente avrebbe certamente trovato tutela nella polizia locale, ove effettivamente minacciato.
3.- Con il secondo motivo si deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2, lett. g), artt. 3, 4, 5, art. 6, comma 2, e omessa motivazione in ordine alla richiesta del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), relativo ai presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria in ragione dei conflitti etnici in Guinea Conakry, in particolare nella regione di Boxe, di provenienza incontestata del ricorrente”. Il ricorrente aveva rappresentato che in detta regione si registravano quotidianamente l’abuso e la repressione dei diritti fondamentali dei civili. Il Tribunale, pur dando atto della permanenza di tensioni, non ha approfondito il tema della effettiva capacità del governo di arginare i conflitti etnici, da qualificare come un vero e proprio conflitto armato.
4. – Anche tale motivo è privo di fondamento.
Il Tribunale ha dato atto delle fonti internazionali che escludono una situazione di violenza indiscriminata, ed evidenziano il percorso che si sta compiendo in Guinea verso la stabilizzazione. Ha, in particolare, rilevato che emerge dalla consultazione di dette fonti che, dopo decenni di governo autoritario, dal 2010 la Guinea, sotto la guida del Presidente A.C., ha compiuto progressi nel consolidamento dello stato di diritto ed ha avviato una serie di riforme che hanno rafforzato la cooperazione economico-finanziaria con l’UE e determinato un progressivo riavvicinamento commerciale con gli USA, anche se è ancora lungo il percorso verso una definitiva stabilizzazione.
Il Tribunale ha tratto dall’esame della descritta situazione il convincimento che, in assenza di un conflitto armato in corso e di una situazione di violenza indiscriminata che metta a rischio la vita della popolazione, non sussista per il ricorrente il rischio di un danno grave alla propria incolumità in caso di rimpatrio.
A fronte della situazione, descritta con dovizia di particolari, il ricorrente non ha allegato motivi concreti che lo espongano direttamente ad un rischio per la sua incolumità.
5.- Con il terzo motivo si lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, TUI e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, relativo ai presupposti per il riconoscimento di protezione umanitaria – omesso esame di documentazione”. Il ricorrente fa riferimento alla circostanza dell’attestato suo inserimento sociale e lavorativo all’interno del Centro di Accoglienza Straordinario *****.
6.-La censura è destituita di fondamento.
Le ragioni addotte dal ricorrente a sostegno della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria non risultano idonee a fondare la domanda stessa alla stregua della normativa applicabile ratione temporis e dei consolidati principi giurisprudenziali. L’integrazione del richiedente nel tessuto sociale italiano, testimoniato dalla frequenza di corsi di lingua e dall’inserimento in progetti di formazione, non risulta sufficiente. Non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza del richiedente (cfr., sul punto, Cass., ord. n. 17072 del 2018).
Come chiarito dalle SS.UU. di questa Corte, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, sia operata la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass., SS.UU., sent. n. 29459 del 2019).
Nella specie, il giudice di merito, esaminata la situazione generale della Guinea, descritta nel modo dianzi ricordato, e rilevato che, al di là dell’inserimento sociale e lavorativo in Italia, il ricorrente non ha allegato alcuna condizione di vulnerabilità soggettiva, ha legittimamente escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.
7.- Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In ossequio al criterio della soccombenza, le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico del ricorrente.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Ministero controricorrente, liquidate nella somma di Euro 2.100,00, per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020