Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.13582 del 02/07/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10588/2018 proposto da:

A.R., elettivamente domiciliato in Brescia, alla Via Solferino n. 28, presso lo studio dell’avvocato Luigistelio Becheri, che lo rappresenta e difende in forza di procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, *****;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositata il 01/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 22/11/2019 da Dott. SCORDAMAGLIA IRENE.

FATTI DI CAUSA

1. A.R., cittadino del *****, ricorre avverso il decreto con il quale il Tribunale di Brescia ha respinto il ricorso presentato avverso la decisione della Commissione territoriale di quella stessa città, di diniego di ogni forma di protezione internazionale richiesta.

2. L’impugnazione è articolata su due motivi.

2.1 Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, avendo il Tribunale escluso la credibilità del ricorrente – che aveva narrato di essere fuggito dal suo paese, il Ghana, in quanto aveva cagionato un incendio sul proprio terreno, che propagandosi ai terreni e agli insediamenti industriali circostanti, li aveva gravemente danneggiati, esponendolo all’obbligo di risarcire i proprietari – senza tener conto che questi aveva compiuto ogni sforzo ragionevole per circostanziare la propria domanda, di modo che l’esame delle dichiarazioni del richiedente protezione era stato condotto in modo superficiale e parziale, senza la doverosa integrazione officiosa delle lacune riscontrate.

2.2. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi: segnatamente il documento pervenuto per email dal legale incaricato di seguire in Ghana la vicenda giudiziaria delle conseguenze dell’incendio – siccome comprovante l’allegato pericolo concreto corso dal ricorrente in ipotesi di rimpatrio -, nonchè la provenienza del ricorrente dalla Libia e i percorsi inclusivi seguiti dal richiedente una volta giunto in Italia, quali elementi suscettibili di essere tenuti in considerazione nella delibazione da compiersi in materia di protezione umanitaria.

3. L’amministrazione intimata non si è costituita in giudizio.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il decreto impugnato si sottrae alle censure mosse dal ricorrente.

1. Il primo motivo è inammissibile.

1.1. Questa Corte è ferma nel ritenere che, in tema di protezione internazionale, la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente deve essere svolta alla stregua dei criteri stabiliti nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (verifica dell’effettuazione di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; deduzione di un’idonea motivazione sull’assenza di riscontri oggettivi; non contraddittorietà delle dichiarazioni rispetto alla situazione del paese; presentazione tempestiva della domanda; attendibilità intrinseca), non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, e l’acquisizione delle informazioni sul contesto socio – politico del paese di rientro deve avvenire in correlazione con i motivi di persecuzione o di pericoli dedotti, sulla base delle fonti di informazione indicate nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ed in mancanza, o ad integrazione di esse, mediante l’acquisizione di altri canali informativi, dando conto delle ragioni della scelta (Sez. 6-1, n. 16202 del 24/09/2012, Rv. 623728-01).

Tuttavia, nell’ipotesi al vaglio, mentre il Tribunale ha diffusamente argomentato in ordine alle circostanze di fatto suscettibili di rendere del tutto generico ed inverosimile il racconto del richiedente – e ciò sia con riguardo alla vicenda dalla quale era originata la grave situazione di contrasto con i vicini, sia con riguardo alle scansioni della fuga dal proprio luogo d’origine rilievi formulati dal ricorrente in ordine alla denunciata violazione del richiamato protocollo valutativo si appalesano del tutto astratti ed assertivi. Donde gli stessi, lungi dall’illustrare in che cosa si sarebbe concretamente sostanziata l’errata applicazione della norma evocata, si risolvono al più in una mera istanza di rivisitazione della valutazione della credibilità del ricorrente. La quale, tuttavia, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in cassazione se non nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Sez. 1, n. 21142 del 07/08/2019, Rv. 654674-01; Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549-01): norma questa non evocata nell’articolazione del motivo.

2. Il secondo motivo è in parte inammissibile e in parte manifestamente infondato.

2.1. Secondo il diritto vivente, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831). Peraltro, la norma evocata deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

2.2. Al lume di tali autorevoli indicazioni direttive, deve evidenziarsi che il fatto riguardante il pericolo concreto corso dal ricorrente in ipotesi di suo rientro in Ghana – di essere ucciso dai danneggiati dall’incendio appiccato dal ricorrente agli scarti di vegetazione del suo campo, rimasti privi del risarcimento loro spettante -, documentato attraverso l'”e-mail” trasmessa dal legale incaricato di seguire la causa ivi in via di svolgimento, è stato, comunque, preso in considerazione dal Tribunale, ancorchè con esiti giudicati insoddisfacenti dal ricorrente.

2.3. Non può, poi, sostenersi che i fatti della provenienza del ricorrente dalla Libia, ove aveva soggiornato per più di un biennio, e della frequenza continuativa a corsi di alfabetizzazione in Italia siano decisivi ai fini della delibazione da compiersi circa la sussistenza dei requisiti per la concessione della protezione umanitaria, invero, negata in ragione della mancata allegazione da parte del ricorrente di qualsivoglia elemento atto ad attestare l’esistenza di una specifica ed individualizzata condizione di vulnerabilità dello straniero.

Peraltro, nessun dirimente rilievo dispiega, ai fini della prova del profilo dell’avvenuta integrazione sociale del richiedente in funzione del riconoscimento del presidio tutorio di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, la frequenza di un corso di alfabetizzazione, trattandosi di elemento comprovante soltanto l’intenzione del richiedente di porre le basi per una futura ed eventuale integrazione nel tessuto socio-lavorativo del Paese ospitante. Peraltro, quand’anche effettivamente conseguita, l’allegata integrazione è ben lungi dall’esaurire la piattaforma dei presupposti richiesti per il riconoscimento della protezione minore, ai cui fini è necessaria, secondo la più autorevole interpretazione di questa Corte regolatrice: “la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato” (Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062-02).

2.4. Ne viene che entrambe le declinate doglianze esulano dal perimetro di attuale censurabilità per cassazione dell’errore motivazionale.

3. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile. Nulla è dovuto a titolo di spese, in difetto di costituzione avversaria.

Il versamento del contributo previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, è dovuto ove ne ricorrano le condizioni.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Il versamento del contributo previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, è dovuto ove ne ricorrano le condizioni.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020

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