Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.14364 del 08/07/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso 168-2016 proposto da:

F.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO AIELLO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AUTO OLIMPICO S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona dei Liquidatori pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OTTAVIANO 66, presso lo studio dell’avvocato ORESTE PASCUCCI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3286/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/06/2015 R.G.N. 2615/2013.

RILEVATO

CHE:

1. F.L. conveniva in giudizio dinanzi al Giudice del lavoro del Tribunale di Roma la società Auto Olimpico s.r.l. per chiederne la condanna al pagamento della complessiva somma di Euro 56.178,00 a titolo di differenze retributive.

1.1. La convenuta si costituiva contestando la data inizio del rapporto e il diritto al superiore inquadramento. Deduceva che il ricorrente era stato retribuito correttamente in base al quinto livello, anche per la 13a e la 14a mensilità, e che nulla era dovuto per lavoro straordinario e festivo, non avendo mai il ricorrente lavorato nei giorni festivi. Contestava i conteggi di cui al ricorso.

2. Il Giudice adito riteneva corretto l’inquadramento attribuito dal datore di lavoro e l’inizio del rapporto dalla data della formale assunzione. Riteneva incontestato l’orario di lavoro dedotto del ricorso, con l’effettuazione di quattro ore di straordinario settimanale, e non provati il lavoro festivo, la mancata fruizione delle ferie e dei permessi. Condannava quindi la resistente a pagare la somma complessiva di Euro 36.201,32, quali differenze spettanti secondo i conteggi riformulati dal ricorrente alla stregua delle indicazioni fornite dal medesimo giudice.

3. La società Auto Olimpico proponeva appello deducendo il vizio di ultrapetizione per non avere il primo giudice considerato che la domanda del ricorrente si fondava essenzialmente sul diritto al superiore inquadramento. Lamentava inoltre che non era stato concesso un termine alla resistente per replicare ai nuovi conteggi depositati dal ricorrente. Concludeva per il rigetto del ricorso o, in subordine, per l’espletamento di una c.t.u. contabile.

4. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 3286 del 2015, accogliendo l’appello della Auto Olimpico s.r.l., in riforma della impugnata sentenza, rigettava integralmente la domanda, ritenendo fondata l’eccezione concernente il vizio di ultrapetizione.

4.1. La Corte di appello premetteva che nel ricorso introduttivo il F. aveva dedotto di avere lavorato per la società resistente dal marzo 1991, con regolarizzazione dal novembre 1991, al 30 ottobre 2009 con inquadramento del quinto livello del c.c.n.l. commercio; di avere svolto mansioni riconducibili al superiore inquadramento nel quarto livello; di non avere percepito la 13a mensilità; di avere percepito la 14a in misura non corretta; di avere lavorato nelle giornate festive senza percepire l’esatta retribuzione; di avere effettuato lavoro straordinario festivo non esattamente retribuito; che le ferie non erano state esattamente retribuite. Aveva quindi chiesto il riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato per il periodo menzionato nel ricorso, il diritto all’inquadramento nel quarto livello del c.c.n.l. commercio e la condanna della convenuta per i titoli suddetti al pagamento la somma rivendicata.

Premetteva altresì che il primo giudice aveva ritenuto non dimostrati la retrodatazione del rapporto di lavoro, il diritto al superiore inquadramento, l’esistenza di crediti per ferie, permessi, lavoro festivi, mentre per i residui titoli, corrispondenti al lavoro straordinario, alla 13a e alla 14a mensilità e a differenze stipendiali, aveva riconosciuto un credito per complessivi Euro 36.201,32.

4.2. Rispetto a tale ultima statuizione la Corte di appello riteneva fondata la censura della società appellante, poichè il decisum si fondava su un fatto costitutivo diverso da quello dedotto in giudizio e non ricompreso, neppure implicitamente, nel ricorso di primo grado.

Osservava che il ricorrente aveva posto a fondamento della propria domanda di condanna, oltre alla mancata regolarizzazione del rapporto fino alla data del 31 ottobre 1991 (capo sul quale si era formato il giudicato interno), una sola causa petendi, ossia l’errato inquadramento del quinto livello c.c.n.l. commercio in luogo della qualifica superiore di quarto livello, corrispondente alle mansioni concretamente espletate, e che dunque solo in relazione a tale causa petendi era stata prospettata la non corretta corresponsione della retribuzione mensile, della 13a e della 14a mensilità, dei compensi per il lavoro festivo e per il lavoro straordinario e per ferie. Precisava che il TFR era stato corrisposto secondo la durata del rapporto di lavoro formalizzato secondo l’inquadramento nel quinto livello.

4.3. Riteneva altresì che l’ulteriore deduzione del lavoratore – secondo cui il percepito risultante dalle buste paga prodotte non corrispondeva agli importi dovuti in base alle tabelle retributive dell’inquadramento in quinto livello e che lo straordinario feriale di cui agli importi erogati busta paga per lo stesso titolo, pari a 16 ore mensili, non corrispondeva all’orario concretamente svolto – integrava un’autonoma, diversa domanda che il medesimo ricorrente avrebbe dovuto proporre subordinatamente a quella principale e che non era stata proposta la richiesta di differenze retributive connesse all’erogazione trattamento retributivo non conforme alle tabelle salariali del A1" c.c.n.l. commercio o non corrispondenti all’orario di lavoro prestato.

5. Per la cassazione di tale sentenza F.L. ha proposto ricorso affidato a tre motivi. Ha resistito con controricorso Auto Olimpico s.r.l. in liquidazione, che preliminarmente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso in quanto notificato in data 18.12.2015 al procuratore costituito per il giudizio di appello, notificazione avvenuta in epoca posteriore alla data di cancellazione della società dal registro della imprese, avvenuta il 27.11.2015.

CONSIDERATO

CHE:

1. L’eccezione preliminare sollevata da parte resistente è infondata, trattandosi di evento non dichiarato o notificato alle altre parti e stante il principio di ultrattività del mandato alle liti, per cui è ammissibile la notificazione dell’impugnazione presso il procuratore costituito per il giudizio di appello ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1, senza neppure che rilevi la conoscenza aliunde di uno degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c. da parte del notificante (Cass. n. 20964 del 2018 e 26495 del 2014).

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1362 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

2.1. In particolare, assume che “la sentenza d’appello impugnata ha erroneamente ritenuto che la domanda del ricorrente non fosse fondata sui fatti seguenti: 1. che quanto percepito e risultante dalle buste paga prodotte non corrispondeva agli importi dovuti in base alle tabelle retributive per l’inquadramento nel quinto livello (ovvero quello effettivamente riconosciuto al lavoratore e non quello superiore richiesto): 2. che per lo straordinario feriale gli importi erogati in busta paga per straordinario, pari a 16 ore mensili, non corrispondeva all’orario concretamente svolto”.

2.2. Il ricorrente trascrive il contenuto di ricorso introduttivo ex art. 414 c.p.c., evidenziando che la rivendicazione testualmente era riferita anche alle differenze dovute “sulla base della vigente contrattazione collettiva di settore sopra richiamata applicabile alla fattispecie, le tabelle retributive e dell’indennità di contingenza, nonchè per le disposizioni di legge e se del caso anche in applicazione del disposto dell’art. 36 Cost., art. 2099 c.c. e art. 432 c.p.c….”.

2.3. Censura la sentenza per erronea interpretazione degli atti processuali delle parti, con riguardo ai criteri di ermeneutica contrattuale ed in particolare all’art. 1362 c.c., che valorizza l’intenzione delle parti e che, pur essendo dettato in materia di contratti, ha portata generale. In particolare, fa osservare come dai capitoli in fatto trascritti potesse rilevarsi: a) l’uso dell’avverbio “esattamente”, riferito a ciascuno dei titoli della rivendicazione, allo scopo di allegare il fatto che il trattamento ricevuto non corrispondeva a quello cui il dipendente aveva diritto; b) quanto al lavoro straordinario, l’indicazione analitica dell’orario di lavoro svolto, che portava ad una quantità di prestazione straordinaria certamente superiore alle 16 ore mensili retribuite.

2.4. Argomenta che, se la domanda fosse stata limitata al solo riconoscimento delle differenze retributive per svolgimento di mansioni superiori, non sarebbe stato allegato e chiesto di provare la mancata fruizione delle ferie e la consistenza oraria giornaliera della prestazione di lavoro, ma sarebbe stato depositato un calcolo meramente differenziale tra il percepito e quanto rivendicato per il superiore inquadramento.

3. Con il secondo motivo si denuncia nullità della sentenza per omessa pronuncia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), in quanto il giudice di appello, alla stregua dell’interpretazione accolta, aveva omesso di pronunciare sulla domanda esplicitamente formulata con il ricorso di primo grado, come precisamente rilevato con il primo motivo.

4. Con il terzo motivo si denuncia violazione falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), poichè il principio di corrispondenza fra chiesto pronunciato può ritenersi violato solo ove il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione. La Corte di appello aveva errato nell’applicare tale principio al caso di specie, ritenendo che tale principio fosse stato violato dal giudice di primo grado.

5. E’ da ritenere fondato il primo motivo, nel cui accoglimento resta assorbito l’esame dei restanti.

6. Nell’interpretazione degli atti processuali delle parti occorre fare riferimento ai criteri di ermeneutica di cui all’art. 1362 e segg. c.c., che valorizzano l’intenzione delle parti e che, pur essendo dettati in materia di contratti, hanno portata generale (Cass. n. 4205 del 2014). In tale caso la parte che censuri il significato attribuito dal giudice di merito è tenuto ad indicare nel ricorso, a pena d’inammissibilità, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici e il testo dell’atto processuale oggetto di erronea interpretazione (Cass. n. 6226 del 2014). Nell’esame e all’interpretazione degli atti processuali, tra cui le istanze e deduzioni delle parti, il giudice, non condizionato dalle formali parole utilizzate dalla parte, deve tener conto della situazione dedotta in causa e della volontà effettiva deducibile anche per implicito dalle eventuali precisazioni fornite nel corso del giudizio – nonchè delle finalità che la parte intende perseguire, e poichè per fondamentale principio logico la volontà è inscritta in ogni parte dell’atto, e per interpretare la domanda giudiziale si applicano l’art. 1362 c.c., comma 2 e art. 1363 c.c., dapprima deve esser valutato l’atto in ogni sua parte per ricostruire la volontà che è alla base di esso, e poi devono essere valutati la domanda nel suo complesso ed il comportamento della parte. (v. Cass. n. 8140 del 2004).

6.1. Nel caso in esame, l’odierno ricorrente ha innanzitutto assolto – come si evince dal tenore del primo motivo di ricorso in sintesi sopra riportato – gli oneri primari cui è condizionata l’ammissibilità del motivo di impugnazione, indicando – tra l’altro – i passi dell’atto introduttivo attraverso i quali si sarebbe potutorisalire alla effettiva volontà della parte. Ha poi evidenziato che dalla correlazione tra fatti allegati e rivendicazioni economiche poteva evincersi che era stato comunque censurato il divario tra quanto percepito in busta paga e quanto invece preteso per i singoli titoli. Ha pure fatto rilevare come alcuni dei titoli della rivendicazione avessero una propria specificità e non discendessero comunque dal riconoscimento della qualifica superiore.

7. E’ ben vero che la domanda di differenze retributive con riferimento ad una rivendicata qualifica superiore non è implicitamente comprensiva della domanda di liquidazione del trattamento economico corrispondente alla qualifica già riconosciuta dal datore di lavoro, essendo diversi i presupposti di fatto delle due domande, per cui il giudice di merito che rigetti la domanda di inquadramento superiore, ritenendo corretta la qualifica attribuita dal datore di lavoro, non è tenuto, in mancanza di esplicita domanda in tal senso, a liquidare le differenze retributive in relazione a tale ultima qualifica (cfr. Cass. 14006 del 2001, 1301 del 1997). Tuttavia, non risulta che la sentenza si sia attenuta ai canoni interpretativi sopra indicati laddove ha tratto, dall’assenza di una espressa richiesta subordinata, la conclusione che l’unica rivendicazione fosse (oltre alla retrodatazione del rapporto) quella del riconoscimento del superiore inquadramento, omettendo di verificare se i titoli indicati nell’atto, o anche solo alcuni di essi, per come articolati nell’atto introduttivo e nei conteggi allegati, non fossero unicamente riferibili alla causa petendi relativa al riconoscimento del superiore inquadramento e richiedessero invece un autonomo vaglio in caso di ritenuta infondatezza della domanda di inquadramento superiore.

8. La sentenza va dunque cassata per un nuovo esame del merito alla luce dei principi di cui al superiore punto 6. Si designa, quale giudice di rinvio, la Corte di appello di Roma in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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