Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.14376 del 08/07/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20031-2016 proposto da:

M.M.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIETRO MASCAGNI 142, presso lo studio dell’avvocato CHIARA MARCHESINI, rappresentata e difesa dall’avvocato SERGIO MARCHITTO;

– ricorrente –

contro

Z.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO EMILIO N. 7, presso lo Studio Legale Perifano – Di Giacomo Partners, rappresentato e difeso dall’Avvocato ESTER PERIFANO;

– POLIDIAGNOSTICA OFTALMOLOGICA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLO EMILIO N. 7, presso lo Studio Legale Perifano-Di Giacomo &

Partners, rappresentato e difeso dall’Avvocato LUIGI DIEGO PERIFANO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1266/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 10/03/2016 R.G.N. 1577/2012.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. con ricorso ex art. 414 c.p.c., M.M.F. adiva il Tribunale di Benevento per sentir accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con il Dott. Z.L. dal luglio 1993 al dicembre 2007, nonchè congiuntamente con il Centro Oftalmologico Sannita srl, per il periodo 30.6.99 – 21.10.2004, e con la Polidiagnostica Oftalmologica Srl, per il periodo 22.10.2004 – 31.12.2007, con la conseguente condanna dello Z. al pagamento, anche in solido con le altre convenute per i periodi di competenza di ciascuna società, della somma di Euro 73.247,59 a titolo di differenze retributive;

2. la Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 10 marzo 2016, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva ritenuto non dimostrata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti; esaminato il materiale istruttorio, ha “negato che vi siano prove sufficienti di subordinazione e ciò vuoi sotto il profilo dell’inesistenza di una concorde volontà negoziale in tal senso (neppure sotto forma di fatti concludenti), vuoi sotto quello relativo agli indici sintomatici della subordinazione desumibili dal concreto svolgersi del rapporto”;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la soccombente con 2 motivi, cui hanno resistito Z.L. e la Polidiagnostica Oftalmologica srl con distinti controricorsi, illustrati anche da memorie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso si denuncia: “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione delle norme di diritto in relazione all’art. 2094 c.c., in ordine all’accertamento della natura subordinata del rapporto intercorso, a partire dal dicembre 1993, tra M.M.F., ortottista, e il Dott. Z.L., oculista”, lamentando che i giudici del merito avrebbero trascurato alcuni elementi sintomatici dell’esistenza della subordinazione;

la medesima omissione circa “indici rivelatori di una possibile subordinazione” si lamenta con il secondo mezzo con cui si denuncia: “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione delle norme di diritto in relazione all’art. 2094 c.c., in ordine all’effettivo inserimento organico della Sig.ra M. nell’organizzazione professionale dello Z. e delle società al cui interno lo stesso ha prestato la propria attività”;

2. i motivi, congiuntamente esaminabili per connessione, non possono trovare accoglimento;

essi, nonostante l’invocazione formale di violazione o falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., investono l’accertamento in fatto compiuto dai giudici del merito in ordine alla ritenuta sussistenza della subordinazione circa il rapporto lavorativo della M.;

orbene, come noto, nell’ambito delle controversie qualificatorie in cui occorre stabilire se certe prestazioni lavorative siano rese in regime di subordinazione oppure al di fuori del parametro normativo di cui all’art. 2094 c.c., la valutazione delle risultanze processuali che inducono il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nello schema contrattuale del lavoro subordinato o meno costituisce accertamento di fatto censurabile in Cassazione, secondo un pluridecennale insegnamento di questa Corte (tra molte, nel corso del tempo, v. Cass. n. 1598 del 1971; Cass. n. 3011 del 1985; Cass. n. 6469 del 1993; Cass. n. 2622 del 2004; Cass. n. 23455 del 2009; Cass. n. 9808 del 2011), solo per la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre può essere sindacata nei limiti segnati dal dell’art. 360 c.p.c., n. 5 tempo per tempo vigente, la scelta degli elementi di fatto cui attribuire, da soli o in varia combinazione tra loro, rilevanza qualificatoria (cfr., più di recente, Cass. n. 11646 del 2018 e Cass. n. 13202 del 2019);

invece parte ricorrente, nel motivo in esame, prospetta errores in iudicando, ma il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione posta dal giudice a fondamento della decisione, per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma, della cui esatta interpretazione non si controverte (in caso positivo vertendosi in controversia sulla “lettura” della norma stessa), non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata “male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007); sicchè il processo di sussunzione, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata; al contrario del sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che invece postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti, come è nel caso che ci occupa;

in definitiva i motivi di ricorso sollecitano questa Corte di legittimità ad una inammissibile rivalutazione del materiale probatorio complessivamente valutato, con esiti conformi, dai giudici del merito al cui dominio esclusivo compete l’apprezzamento dei fatti;

3. conclusivamente il ricorso va respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 3.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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