LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2331/2019 proposto da:
D.M.S., rappresentato e difeso dall’avv. Stefania Santili (Pec: scis.milano,pecavvocati.it) giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentato ex lege;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 07/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/02/2020 dal cons. TERRUSI FRANCESCO.
RILEVATO IN FATTO
che:
D.M.S., originario della Guinea Conakry, ricorre per cassazione, con tre motivi, contro il decreto del tribunale di Milano che ne ha respinto la domanda di protezione internazionale;
il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.
CONSIDERATO IN FATTO
che:
1. – col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 116 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e seg., il D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, per avere il tribunale mancato di svolgere l’esame comparativo richiesto ai fini della valutazione di credibilità personale;
il motivo è inammissibile poichè quello relativo al sindacato sulla credibilità personale del richiedente è un giudizio di fatto, dal tribunale nella specie motivato con riferimenti alla genericità e incoerenza della versione fornita a proposito dell’aggressione che sarebbe stata subita dalla sorella del richiedente a opera dei componenti di un’avversa famiglia del proprio villaggio; aggressione che avrebbe generato una reazione difensiva omicida che sarebbe da porre a fondamento del timore di subire conseguenti atti di vendetta;
tale giudizio attiene a una vicenda di vita privata e non implica errori di diritto, cosicchè non è sindacabile in questa sede di legittimità;
2. – col secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione degli art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., e la conseguente nullità del provvedimento per motivazione apparente in ordine alla domanda di protezione sussidiaria;
il motivo è inammissibile risultando la motivazione del decreto compiutamente svolta, con puntuali riferimenti alle fonti di conoscenza utilizzate; anche in questo caso l’esclusione del fondamento della domanda di protezione è stata ritenuta con corredo di accertamenti di fatto, non sindacabili in questa sede;
3. – col terzo motivo il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 132 c.p.c. e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e art. 5 del t.u. imm., in quanto la decisione sarebbe affetta da motivazione apparente e da omesso esame di fatti decisivi in relazione al diniego di protezione umanitaria;
anche il terzo motivo è inammissibile;
come questa Corte ha avuto modo di osservare (v. Cass. n. 4455-18, Cass. n. 17072-18 e da ultimo Cass. Sez. U n. 29549-19), la natura residuale e atipica della protezione umanitaria (secondo il regime rilevante pro tempore) implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di una valutazione autonoma, da eseguire caso per caso, rispetto alle altre forme tipiche di protezione internazionale;
al richiedente si impone in tale prospettiva di allegare in giudizio fatti specifici e sintomatici, diversi da quelli posti a fondamento delle altre domande di protezione cd. “maggiore” (v. Cass. n. 21123-19);
dal decreto emerge che, rigettate le deduzioni afferenti le protezioni “maggiori”, a sostegno della domanda di protezione umanitaria erano state allegate, nel solco di quanto richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 4455-18) due ulteriori “cause di inclusione”, potenzialmente rilevanti ai fini specifici: (a) la situazione di trauma vissuta dal ricorrente a proposito della situazione familiare nel paese di origine, egli essendosi affermato orfano e privo di legami attuali con componenti della famiglia; (b) la condizione di integrazione sociale in Italia in base al percorso intrapreso anche nell’ambito del volontariato; il tribunale ha escluso la rilevanza di entrambe le anzidette postulate cause di inclusione: (aa) la prima, poichè assorbita dalla valutazione di non credibilità della vicenda personale narrata a fondamento delle varie domande; (bb) la seconda, in quanto da sola insufficiente, visto che nessuna concreta forma di autonomia nell’inserimento sociale era stata evidenziata;
il ricorso, nel censurare la decisione per questa parte, omette di rapportarsi con la retta considerazione del tribunale che, una volta stabilita la non credibilità del racconto posto a base della decisione di espatrio, nessun peso può essere in sè attribuito ad altri elementi correlabili alla ridetta situazione personale, poichè ogni eventuale termine di comparazione a ciò associato – rappresentato cioè dalla situazione personale vissuta nel paese di origine – è da ritenere definitivamente minato dalla valutazione di non affidabilità;
in sostanza, la non credibilità del racconto inficiava – tale è il rilievo del tribunale, logico e non contenente errori di diritto – anche il profilo relativo alla situazione familiare, così rendendo a sua volta non sufficientemente credibile che il richiedente avesse perso la possibilità di fare affidamento su un contesto familiare nel proprio paese;
la motivazione ben evidenzia la ratio decidendi e l’attuale terzo motivo con essa si infrange;
peraltro il tribunale ha anche messo in risalto come il richiedente, per quanto volenteroso nell’intraprendere percorsi di inserimento, non avesse ottenuto in Italia un apprezzabile livello di integrazione o di autonomia lavorativa e sociale; si tratta di una valutazione in fatto, motivata e come tale insindacabile in questa sede, siccome pienamente conforme all’insegnamento da ultimo ribadito dalle sezioni unite della Corte: “in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato” (Cass. Sez. U n. 29459-19).
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della prima sezione civile, il 4 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020