Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.14494 del 09/07/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2658-2019 proposto da:

GENERALI ITALIA SPA *****, in persona del procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE, 38, presso lo studio dell’avvocato SCAPPATICCI MARIA LUCIA, rappresentata e difesa dall’avvocato CAMPISE SERGIO;

– ricorrente –

contro

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FERRATELLA IN LATERANO, 33, presso lo studio dell’avvocato CONSOLI FRANCO, rappresentato e difeso dall’avvocato GALLO ANTONIETTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2203/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata l’11/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PELLECCHIA ANTONELLA.

RILEVATO

Che:

1. Nel 2008, C.D. conveniva in giudizio Ina Assitalia s.p.a. in qualità di impresa designata per la Regione Calabaria per la gestione del Fondo di Garanzia Vittime della Strada – al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti a seguito del sinistro stradale avvenuto in data 03/04/2005.

Parte attrice assumeva che mentre era alla guida dell’autovettura, di proprietà di P.P., percorrendo la SS 19, direzione Cosenza, incrociava un’autovettura non indentificata proveniente dall’opposto senso di marcia con andamento a zig zag, ad alta velocità e con abbaglianti accesi. Pertanto il C. per evitare l’impatto sterzava fortemente verso sinistra fino ad impattare, dapprima con un bidone della spazzatura, e poi contro un muro, finendo la sua corsa in un prato a ridosso della sede stradale. Per effetto del sinistro, C. e l’autovettura subivano ingenti danni.

La convenuta assicurazione si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della pretesa attorea e, in subordine, il riconoscimento di un concorso di colpa.

Il Tribunale di Cosenza, con sentenza n. 1221/2014 del 20.6.2014, accertava l’esclusiva responsabilità del conducente del veicolo non identificato e, per l’effetto, condannava il fondo di Garanzia per le Vittime della Strada al pagamento della somma di Euro 913.331,61 oltre gli accessori e spese di giudizio.

Avverso tale pronuncia, la Generali Italia s.p.a., già Ina Assitalia s.p.a., interponeva gravame, insistendo sul riconoscimento del concorso di colpa, nella misura del 50%, a carico di ciascuno dei conducenti dei veicoli. Inoltre chiedeva che venisse accertata l’illegittima liquidazione dei danni in quanto oltre il massimale di legge.

2. La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza n. 2203/2017 del 11/12/2017, rigettava il ricorso, ed in parziale riforma della sentenza di prima grado, condannava la Generale Italia s.p.a. al pagamento delle ulteriori somme dovute a titolo di risarcimento danni per mala gesti.

La Corte confermava la sentenza impugnata nella parte in cui riteneva come unico responsabile, nella causazione del sinistro, il conducente dall’autovettura rimasta sconosciuta per l’imprudente condotta di guida, mentre, al contrario, riconosceva che il C. procedeva ad una velocità commisurata allo stato dei luoghi, costretto ad effettuare una manovra evasiva andando a sbandare contro un muro di delimitazione della strada.

Il Giudice di seconde cure ha ritenuto che seppure il Fondo di Garanzia risponde nei limiti del massimale, D.lgs 7 settembre 2005, n. 209, ex artt. 128 e 283, la Compagnia assicuratrice, nel caso di specie, era incorsa in mala gestio, avendo messo a disposizione del danneggiato l’importo complessivo liquidando soltanto a distanza di molti anni dalla data del sinistro.

3. Generali Italia s.p.a. ricorre in cassazione, sulla base di due motivi. C.D. resiste con controricorso.

CONSIDERATO

Che:

4.1. Con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2054 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, Oggetto di discussione tra le parti”.

La Corte avrebbe omesso di esaminare sia la prova testimoniale del teste R.E. sia la documentazione relativa alla comunicazione della notizia di reato resa ai Carabinieri. Tali prove, ove esaminate, avrebbero portato ad una diversa ricostruzione del sinistro ed avrebbero provato il concorso di colpa del C..

Il motivo è inammissibile innanzitutto perchè a prescindere dalla sua veste formale, esso è volto ad ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti processuali limitandosi il ricorrente ad illustrare tesi alternative rispetto a quelle seguite dal Giudice di merito. Questa Corte, in quanto giudice di legittimità, non ha il potere di compiere una rivalutazione dei fatti e degli atti processuali nè un riesame delle prove. Attività, quella richiesta da parte ricorrente, che imporrebbe il controllo della motivazione della sentenza oggetto di impugnazione e che, pertanto, sarebbe contraria ai principi statuiti da questa Corte a Sezioni Unite con le sentenze gemelle n. 8053 e n. 8054 del 2014.

Si rileva, inoltre, che il Giudice del merito ha il potere di compiere una valutazione discrezionale delle prove acquisite.

Inoltre si rammenta che in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 11892 del 2016, ripresa da Cass., Sez. Un. 16598 del 2016). Quindi, il motivo si risolve in una sollecitazione alla rivalutazione della quaestio facti.

Nella motivazione redatta dalla Corte di Appello non si rinvengono vizi logico giuridici idonei ad inficiare la validità della sentenza e tali da richiedere un sindacato in sede di legittimità sul giudizio dalla stessa emesso.

Si ricorda, infine, che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nel caso in cui il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione dal giudice anche se la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. n. 8053/2014).

La Corte di cassazione ha più volte affermato che il vizio di motivazione deducibile con il ricorso ex art. 360 c.p.c., n. 5, non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato al giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte, essendo riservati esclusivamente al Giudicante l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e la scelta fra le risultanze istruttorie ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, con l’unico limite di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento od a confutare ogni deduzione difensiva (Cass. 1554/2004; 129/2004; 16034/2002). Al riguardo, si ricorda il principio affermato dalle Sezioni Unite secondo cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5) “deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (cfr. Cass. civ., Sez. Unite, 22/09/2014, n. 19881).

4.2. Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 283 in combinato disposto con il D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 128 – superamento del massimale di legge; Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 145 e 148 – Erroneo riconoscimento di inala,gestio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Ritiene Generali che sia il Tribunale che la Corte d’appello avrebbero violato il D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 283 e 128 laddove l’hanno condannata a corrispondere al C. somme che superavano il massimale di legge. In particolare, la Corte territoriale, adducendo una inala gestio della Compagnia, avrebbe violato altresì il principio iura novit curia in quando il danneggiato avrebbe dovuto farla valere in primo grado. Pertanto, la domanda sarebbe stata formulata tardivamente, dunque soggetta alle ordinarie preclusioni processuali ex art. 345 c.p.c..

Anche il secondo motivo è inammissibile.

In sostanza il ricorrente lamenta la tardività della domanda da parte del danneggiato intesa a far rilevare la mala gestio dell’impresa assicuratrice poichè fatta valere solo in secondo grado. Sul punto ha correttamente risposto la Corte d’appello di Catanzaro, la quale a pag. 5 della sentenza riporta correttamente la ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte nel ritenere che “in caso di responsabilità civile per circolazione dei veicoli, la domanda di condanna dell’assicuratore al risarcimento del danno per “male gestio” c.d. impropria deve ritenersi implicitamente formulata tutte le volte in cui la vittima abbia domandato la condanna al pagamento di interessi e rivalutazione, anche senza riferimento al superamento del massimale o alla condanna renitente dell’assicuratore. Ne consegue che non costituisce domanda nuova quella con cui in appello i danneggiati chiedono la condanna dell’assicuratore al pagamento della differenza tra danno liquidato e superamento del massimale di polizza, che va intesa quale riproposizione della domanda originaria nei limiti del riconoscimento di interessi moratori e rivalutazione oltre il massimale di legge” (Cass. 27.6.2014, n. 14637).

5. In conclusione, il ricorso deve essere dichiara inammissibile. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 8.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-qualer, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020

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