Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.14769 del 10/07/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6509/2019 proposto da:

M.A.K., elettivamente domiciliato presso l’indirizzo di posta elettronica antonino.novello.pec.ordineavvocaticatania.it rappresentato e difeso dall’avv. A. Novello, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, *****;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2146/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 29/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 10/01/2020 da Dott. SOLAINI LUCA;

udito l’Avvocato;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE IGNAZIO.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Palermo ha respinto il gravame proposto da M.A.K. (alias A.M.), cittadino del *****, avverso l’ordinanza del tribunale di Palermo che confermando il provvedimento della competente Commissione territoriale, aveva negato al richiedente il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria.

Il ricorrente ha riferito che il padre fa parte del partito ***** e che, a causa dei problemi che quest’ultimo, nell’aprile 2012, ha avuto con il partito avversario *****, lui e la sua famiglia sono stati costretti a lasciare il suo villaggio e girare per il Bangladesh. Ad un certo momento, il padre decise che l’appellante doveva andare all’estero e lo mandò in Libia per timore che gli appartenenti al partito ***** lo potessero uccidere anche se il ricorrente ha dichiarato di non fare politica e di non sapere riferire nulla. Il richiedente ha inoltre affermato che la situazione dei familiari (che a suo dire avevano i suoi stessi problemi) si è normalizzata ed adesso stanno tutti bene.

Contro la sentenza della medesima Corte d’Appello è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese scritte.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente censura la decisione della Corte d’Appello: (i) sotto un primo profilo, per violazione di legge, in particolare, per violazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, perchè il Tribunale (rectius la Corte d’Appello) non aveva applicato correttamente le norme sull’onere della prova attenuato e sulla valutazione di credibilità del richiedente; (ii) su un secondo profilo, per violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in quanto il Tribunale (rectius la Corte d’Appello) non aveva riconosciuto i presupposti della protezione umanitaria, nonchè per omesso esame di un fatto decisivo, consistente nella inesistenza di un’adeguata protezione da parte della polizia locale; (iii) sotto un terzo profilo, per violazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, per non avere il tribunale (rectius la Corte d’appello) ritenuto sussistenti i presupposti, al fine del riconoscimento della protezione umanitaria, alla luce della vicenda personale del richiedente.

Il primo motivo è infondato, in quanto la Corte d’appello ha rispettato i parametri legali nella valutazione della credibilità soggettiva del richiedente che sostanzialmente è stato reputato credibile, nonostante la vaghezza e genericità di diversi riferimenti (v. pp. 4-5 della sentenza impugnata), infatti, la Corte d’Appello ha ritenuto che la vicenda narrata, nella quale il ricorrente dichiara di non interessarsi di politica bengalese – e nulla sa riferire al riguardo e dichiara pure che i familiari non corrono più pericoli dovuti alle lotte politiche esistenti in Bangladesh -, è fuori dal perimetro normativo della protezione invocata.

Il secondo motivo è inammissibile, perchè solleva censure di merito all’accertamento di fatto della Corte territoriale, in quanto, contesta le fonti informative consultate in termini di mero dissenso.

Il terzo motivo è infondato, in quanto la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, per verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti fondamentali (Cass. n. 4455/18), è stata effettuata dalla Corte d’appello che ha accertato, con giudizio di fatto, l’insussistenza di situazioni di vulnerabilità meritevoli di tale protezione, nè la giovane età al momento dell’ingresso in Italia, e lo svolgimento di attività lavorativa valgono ad integrare i parametri dell’eccezionalità e della meritevolezza richiesti dalla legge, per la concessione di tale forma di protezione.

La mancata predisposizione di difese scritte da parte dell’amministrazione statale esonera il collegio dal provvedere sulle spese.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020

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