LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28888-2014 proposto da:
A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA IPPOLITO NIEVO 61, presso lo studio dell’avvocato ENNIO MAZZOCCO, rappresentata e difesa dall’avvocato DOMENICO DE ANGELIS;
– ricorrente –
contro
ASREM AZIENDA SANITARIA REGIONALE DEL MOLISE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBALONGA 7, presso lo studio dell’avvocato CLEMENTINO PALMIERO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI DE NOTARIIS;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 98/2014 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 03/06/2014, R.G.N. 350/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/02/2020 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ Stefano, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza in data 3 giugno 2014 la Corte d’appello di Campobasso accoglie l’appello dell’Azienda sanitaria regionale del Molise (d’ora in poi: ASREM) avverso la sentenza n. 142/2011 del Tribunale di Larino e, per l’effetto, riforma tale sentenza e rigetta il ricorso proposto da A.M. per il riconoscimento ai fini economici delle mansioni superiori svolte alle dipendenze della ASREM.
2. Alla suddetta conclusione la Corte d’appello perviene in base al principale argomento secondo cui dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5, si evincerebbe inequivocabilmente che nelle ipotesi ivi contemplate il diritto al trattamento economico corrispondente alla qualifica superiore richiede in ogni caso un provvedimento formale di assegnazione alle mansioni superiori, anche se illegittimo, nullo o annullabile, fattispecie molto diversa da quella della mancanza di un simile atto amministrativo.
La Corte territoriale ritiene, quindi, necessario un atto formale di assegnazione per il quale si richiede la forma scritta ad substantiam e che, nella specie, manca.
2. Il ricorso di A.M. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, l’ASREM.
3. Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I – Sintesi dei motivi di ricorso.
1. Il ricorso è articolato in due motivi.
1.1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 nonchè dell’art. 28 del CCNL Comparto Sanità 1998-2001.
1.2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, contraddittoria motivazione su un punto determinante della controversia.
2. Si sottolinea che la ricorrente ha per molto tempo svolto mansioni superiori alla propria qualifica e che ne ha fornito la prova anche documentale (depositando un atto che attesta lo svolgimento delle mansioni superiori proveniente dal competente dirigente dell’Azienda), maturando così il diritto a percepire le corrispondenti differenze retributive, come stabilito dal primo Giudice.
Viceversa devono considerarsi infondate le censure della ASREM che in entrambi i gradi del giudizio di merito sono state basate sul richiamo del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, comma 6, nel testo, sostituito dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25 e successivamente modificato dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15 ora riprodotto nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 nonchè dell’art. 28 del CCNL cit. per sostenere la necessità della vacanza del posto e del provvedimento formale di assegnazione.
Non è quindi condivisibile la statuizione della Corte d’appello secondo cui per l’attribuzione delle richieste differenze retributive sarebbe necessario un atto formale di assegnazione per il quale si richiede la forma scritta ad substantiam, nella specie mancante.
II – Esame delle censure.
3. L’esame delle censure porta alla dichiarazione di inammissibilità del secondo motivo e all’accoglimento del primo motivo, per le ragioni di seguito esposte.
4. Preliminarmente va dichiarato inammissibile il secondo motivo in quanto la censura con esso proposta è formulata sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione, benchè il vizio della motivazione non costituisca più ragione cassatoria a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis (Cass. 5 luglio 2016, n. 13641).
In base a tale ultima disposizione, l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, quale risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, sicchè la ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia meramente apparente, oppure sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207). Evenienze che qui non si verificano.
5. Il primo motivo deve, invece, essere accolto, dandosi continuità ai consolidati indirizzi interpretativi di questa Corte, secondo cui:
a) “in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscere nella misura indicata nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, nè all’operatività del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost.” (vedi, per tutte: Cass. 18 giugno 2010, n. 14775; Cass. 7 agosto 2013, n. 18808; Cass. 24 gennaio 2019, n. 2102);
b) “il diritto a percepire la retribuzione commisurata allo svolgimento, di fatto, di mansioni proprie di una qualifica superiore a quella di inquadramento formale, D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 52, comma 5, non è condizionato alla legittimità, nè all’esistenza di un provvedimento del superiore gerarchico, e trova un unico limite nei casi in cui l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento” (Cass. 29 novembre 2016, n. 24266).
6. Il Collegio condivide tale orientamento e le motivazioni delle anzidette decisioni, rinviando, in particolare, ex art. 118 disp. att. c.p.c. alle motivazioni delle richiamate Cass. n. 2102 del 2019 e di Cass. n. 24266 del 2016.
7. La Corte d’appello non si è uniformata ai su riportati principi e sovrapponendo l’ipotesi di acquisizione di una qualifica superiore per effetto dello svolgimento di fatto delle relative mansioni con quella del solo riconoscimento della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori di fatto svolte – come si desume richiamo di Cass. SU 11 dicembre 2007, n. 25837 effettuato in modo improprio – è giunta alla conclusione di negare le anzidette differenze retributive, senza neppure descrivere in modo esauriente la fattispecie sub judice – in contrasto con l’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, – il cui svolgimento, peraltro, è pacifico fra le parti.
III – Conclusioni.
8. In sintesi, il secondo motivo di ricorso va dichiarato inammissibile, mentre il primo deve essere accolto. La sentenza impugnata va, quindi, cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Campobasso, in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il secondo motivo e accoglie il primo motivo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Campobasso, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 11 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020