Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.14817 del 10/07/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8294-2014 proposto da:

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO e ANTONINOSGROI;

– ricorrente –

contro

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI BATTISTA VICO 1, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO CARLINO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1369/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/03/2013, R.G.N. 9664/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del.03/03/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANTONINO SGROI;

udito l’Avvocato STEFANO PROSPERI MANGILI per delega verbale avvocato ROBERTO CARLINO.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1369/2013 la Corte di appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado di accoglimento della domanda di C.L. intesa al riconoscimento dell’anzianità contributiva di 52 settimane annue in relazione al periodo 1995/2000 in cui aveva lavorato come assistente di volo in part time verticale ciclico.

1.1. Ha ritenuto il giudice di appello che la disciplina di riferimento – L. n. 638 del 1983, art. 7 – ove interpretata, come preteso dall’INPS, nel senso che l’anzianità contributiva utile ai fini di determinazione della data di acquisizione del diritto a pensione dovesse essere calcolata diversamente per il lavoratore a tempo pieno e per il lavoratore part time con esclusione, per quest’ultimo, dei periodi non lavorati, si poneva in contrasto con il principio di non discriminazione sancito dalla Direttiva n. 97/81/CE ed in particolare dalla clausola n. 4 dell’allegato accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, risultando il differente trattamento riservato al lavoratore part time privo di oggettive ragioni giustificative in quanto ancorato esclusivamente alla specifica tipologia di contratto di lavoro subordinato adottata.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso I’INPS sulla base di un unico articolato motivo; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso I’INPS deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 61 del 2000, del D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 11, convertito con modificazioni dalla L. n. 638 del 1984 e della L. n. 638 del 1983, art. 7, comma 1, nonchè omessa, insufficiente, ovvero contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. Censura la decisione di secondo grado per avere fondato la conferma della statuizione di accoglimento della originaria domanda sulle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 61 del 2000 cit. (con il quale era stata data attuazione alla direttiva 97/81/CE relativa all’accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES) che assume ratione temporis non applicabile alla concreta fattispecie per essere i periodi di inattività tutti ricadenti in epoca antecedente alla relativa entrata in vigore; in ogni caso, il D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 9, unico articolo cit., disciplinante il profilo previdenziale, prevedeva che il computo dell’anzianità contributiva dovesse essere effettuato in proporzione al concreto orario di lavoro osservato.

Sulla premessa che la disciplina regolante ratione temporis la concreta fattispecie era quella dettata dal D.L. n. 726 del 1984, art. 5 cit. conv. in L. n. 863 del 1984 cit. espressamente abrogato dal D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 11 parte ricorrente sostiene che la parità di trattamento fra periodi di lavoro a tempo pieno e periodi a tempo parziale, alla stregua di tale disciplina, era garantita in relazione alla determinazione dell’importo della pensione “assicurando il computo dell’intera anzianità contributiva nel caso di rapporto a tempo pieno e assicurando il computo dell’anzianità contributiva nella misura proporzionale all’orario effettivamente svolto nel caso di rapporto di lavoro a tempo parziale”.

2. Il motivo deve essere respinto in continuità di condivisibili precedenti di questa Corte.

2.1. Secondo il consolidato orientamento del giudice di legittimità, (Cass. 23/10/2018, n. 26824; Cass. 10/04/2018 n. 8772; Cass. 29/04/2016, n. 8565), il D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 11, (in forza del quale ai fini della determinazione del trattamento di pensione l’anzianità contributiva “inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale” va calcolata “proporzionalmente all’orario effettivamente svolto”) va inteso, sia per formulazione della disciplina, sia (Cass. 02/12/2015, n. 24532), sia per ragioni di conformità rispetto alla normativa Eurounitaria (come interpretata dalla CGUE, 10 giugno 2010 cause riunite C-395/08 e C-396/08) sia anche per ragioni di parità di trattamento proprie già del diritto interno (Cass. 06/07/ 2017, n. 16677), nel senso che l’ammontare dei contributi versati ai sensi del D.L. 463 del 1983, art. 7 (o poi sulla base delle successive ed identiche previsioni di cui al D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 9, comma 4 e di cui al D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 11, comma 4), debba essere riproporzionato sull’intero anno cui i contributi stessi ed il rapporto si riferiscono, non potendosi quindi escludere dal calcolo dell’anzianità contributiva utile per acquisire il diritto alla pensione nei confronti dei lavoratori con rapporto a tempo parziale c.d. verticale ciclico, i periodi non lavorati nell’ambito del programma negoziale lavorativo concordato con il datore di lavoro.

2.2. In tale contesto, come puntualizzato da Cass. 06/07/2017 n. 16677 (in motivazione), il riferimento al principio di parità di trattamento tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno derivato dal diritto comunitario non implica che la materia in esame sia considerata direttamente assoggettata alla disciplina cui alla direttiva n. 97/81/CE (che anzi la Corte di Giustizia non manca di chiarire che quest’ultima concerne esclusivamente “le pensioni che dipendono da un rapporto di lavoro tra lavoratore e datore di lavoro, ad esclusione delle pensioni legali di previdenza sociale”: cfr. CGUE, 10.6.2010, Bruno et al., p. 42), ma assume rilievo nel senso di ricavare (anche) dalla disciplina comunitaria una conferma di quel principio di parità di trattamento tra lavoratori a tempo pieno e a tempo parziale già immanente nell’ordinamento interno ai fini previdenziali.

3. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto.

4. Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.

5. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori, come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020

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