LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14537/2019 proposto da:
D.S., elettivamente domiciliato in Fermo, via Ognissanti n. 13, presso lo studio dell’avv. Antonella Natale, che lo rappresenta e difende, come da delega in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2260/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 23/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2020 dal Cons. ALDO ANGELO DOLMETTA.
FATTI DI CAUSA
1.- D.S., proveniente dal Gambia, ha proposto ricorso avanti al Tribunale di Ancona avverso il provvedimento della Commissione territoriale di questa città, di diniego del riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato; protezione sussidiaria) e pure di diniego del riconoscimento della protezione umanitaria.
Con ordinanza emessa in data 24 settembre 2016, il Tribunale ha rigettato il ricorso.
2.- Il richiedente ha proposto ricorso avanti alla Corte di Appello di Ancona. Che lo ha respinto con sentenza depositata in data 23 ottobre 2018.
Ha in particolare ritenuto la Corte territoriale che le ragioni addotte dal richiedente “non inverano i requisiti dell’essere perseguitato per i motivi” attinenti al diritto di rifugio, riguardano “eventualmente le altre due forme di protezione”. In relazione al tema della protezione sussidiaria, la sentenza ha, poi, rilevato, sulla scorta del rapporto del 2018 di Amnesty international, che le “condizioni carcerarie attuali” del Gambia “non sono connotate da trattamenti degradanti”; e, basandosi sul sito “Viaggiare sicuri”, pure che “la situazione generale del Gambia non è connotata da quelle criticità che giustificherebbero quanto richiesto”.
In punto di protezione umanitaria, inoltre, la sentenza ha osservato che “non sono state specificamente rappresentate, nè possono ritenersi dimostrate specifiche situazioni soggettive tali da giustificare la concessione, in quanto l’istante non ha allegato… di rientrare in categorie soggettive in relazione alle quali siano ravvisabili lesioni di diritti umani di particolare entità”.
3.- Avverso questo provvedimento ha presentato ricorso D.S., proponendo due motivi di cassazione.
Il Ministero resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.- Il ricorrente censura la decisione della Corte territoriale: (i) col primo motivo, per “motivazione apparente circa un fatto controverso e decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. b”; (ii) col secondo motivo, per “violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6”.
5.- Col primo motivo di ricorso, il ricorrente assume che il giudice del merito ha trascurato di “valutare gli episodi di violenza – peraltro, provenienti dalle autorità di polizia gambiane – di cui il sig. S. è stato vittima”, come pure la situazione generale del Gambia. Gli “episodi di violenza” appaiono “sufficientemente gravi da rappresentare una violazione dei diritti umani”.
6.- Il motivo è inammissibile.
Di là della constatazione che la Corte territoriale ha pure valutato la situazione politica del Gambia (cfr. penultimo capoverso del n. 2), è infatti da rilevare che il ricorrente si limitare a enunciare la sussistenza di “episodi di violenza” che assume compiuti dalla polizia gambiana a suo danno. Non vengono, cioè, riferiti i dati specifici e concreti degli assunti atti: soprattutto, non vengono riportati i termini in cui i medesimi sarebbero stati introdotti nel contesto del giudizio del merito; nè gli atti in cui ciò sarebbe avvenuto.
Il motivo difetta, pertanto, di specificità.
7.- Con secondo motivo, il ricorrente assume che “le torture subite in carcere integrano un atto persecutorio” e che tale “condizione di pericolosità, al quale il ricorrente verrebbe esposto in caso di rimpatrio forzato”, lo avrebbero reso meritevole dell’autorizzazione al rilascio del permesso di soggiorno, anche in ragione del “significativo percorso di inclusione sociale intrapreso”.
8.- Il motivo non può essere accolto.
Lo stesso infatti si connota per associare il dato dell’integrazione sociale a una assunta violazione dei diritti umani nel Paese di origine: violazione, peraltro, di cui la sentenza della Corte ha disconosciuto la sussistenza.
Va dunque rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il peso che il raggiunto livello di integrazione sociale possiede per il riconoscimento della protezione umanitaria deve comunque confrontarsi con “una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine” (Cass., 23 febbraio 2018, n. 4455).
9.- In conclusione, il ricorso è inammissibile.
Le spese del giudizio seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.
PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 2.100.00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre a spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge. Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 27 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2020