Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.14845 del 13/07/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 4353/2017 proposto da:

L.L., quale titolare dell’omonima impresa individuale, G.L. e D.S.P., elettivamente domiciliati in Roma, via Buccari n. 11, presso lo studio dell’Avv. Pierluigi Tiburzi, rappresentati e difesi dall’Avv. Marco Paolo Tomasi giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4557/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA LOMBARDIA, depositata l’8 settembre 2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 aprile 2019 dal Cons. ROBERTO MUCCI.

CONSIDERATO

che:

1. la CTR della Lombardia ha rigettato il gravame interposto da L.L., quale titolare dell’omonima impresa individuale, G.L. e D.S.P., quali autori delle violazioni contestate, avverso la sentenza della CTP di Sondrio di rigetto del ricorso dei predetti contro i provvedimenti di irrogazione delle sanzioni a seguito dell’accertamento, a seguito dei controlli effettuati dalla tenenza della Guardia di Finanza di ***** e in relazione al periodo 2009-2012, dei maggiori diritti per accise e IVA all’importazione di carburante dal territorio extra-doganale di Livigno eccedente la franchigia limitata al carburante contenuto nei “serbatoi normali” dei veicoli commerciali del Reg. del Consiglio 16 novembre 2009, n. 1186/2009/CE, ex art. 107, sul regime comunitario delle franchigie doganali;

2. ha ritenuto la CTR che: a) il carburante in questione introdotto in Italia non ha assolto l’accisa e l’IVA poichè proveniente da territorio extradoganale (il Comune di Livigno) il Reg. n. 2193/92/CE, ex art. 3; b) conseguentemente, non può farsi riferimento alle franchigie doganali disciplinate dal Reg. n. 1186/2009/CE, e in particolare all’art. 107 ss., essendo la definizione di serbatoio normale diversa da quella indicata nella Dir. n. 2003/96/CE, art. 24, par. 2, come interpretato dalla sentenza della Corte di Giustizia 10 settembre 2014, in causa C-152/13, nel quadro della fiscalità sui prodotti energetici e dell’elettricità; c) secondo il detto regolamento i serbatoi normali sono quelli fissati in modo stabile dal costruttore su tutti gli autoveicoli dello stesso tipo del veicolo considerato; d) l’art. 107 cit. prevede limitazioni alle franchigie, mentre l’art. 110, detta severe disposizioni circa l’utilizzo dei carburanti ammessi in franchigia, sicchè per gli autotrasportatori professionali non può trovare applicazione il principio di buona fede della L. 27 luglio 2000, n. 212, ex art. 10, comma 2;

3. avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione L.L., G.L. e D.S.P., nelle rispettive dette qualità, affidato a quattro motivi, cui replica l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con controricorso.

RITENUTO

che:

4. con il primo motivo di ricorso si denuncia nullità della sentenza e, in subordine, violazione e falsa applicazione del Reg. n. 1186/2009/CE, art. 107: la sentenza impugnata si paleserebbe contraddittoria quanto all’applicabilità, nella specie, dell’art. 107 cit., il quale comunque andrebbe interpretato nel senso che deve “considerarsi normale ogni serbatoio che possa essere montato su un automezzo nei limiti previsti dalla legge. (…) il discrimine posto dalla norma rispetto alla normalità del serbatoio non è costituito dalla fase di omologazione del veicolo” (p. 11 del ricorso);

4.1. la doglianza deve essere complessivamente rigettata poichè in parte inammissibile e in parte infondata;

4.2. è inammissibile nella sua prima parte laddove, al di là della formale intestazione, prospetta in sostanza un vizio motivazionale: il mezzo non risulta infatti in linea con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (applicabile nella specie) ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), (conv., con modif., dalla L. 7 agosto 2012, n. 134), anche con riferimento, peraltro, all’impugnazione delle sentenze emesse dalle Commissioni Tributarie Regionali (per l’applicabilità della modifica di cui innanzi anche all’impugnazione di tali pronunce si v. Sez. U., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054);

4.3. il legislatore, come chiarito da questa Corte anche a Sezioni Unite, tramite il nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Sez. U., n. 8053/2014 cit. e, da ultimo, Sez. 2, 29 ottobre 2018, n. 27415); quanto al vizio di omessa motivazione, la detta riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, è in particolare interpretata da questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U., nn. 8053 e 8054/2014 citt., e successive conformi, tra le quali anche Sez. 3, 12 ottobre 2017, n. 23940, secondo cui non sono più ammissibili mere censure di contraddittorietà ed insufficienza motivazionale, ma solo quelle deducenti violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e quindi causa di nullità della sentenza, e Sez. 6-3, 25 settembre 2018, n. 22598, che riconduce il vizio in oggetto ad una nullità processuale denunciabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4);

4.4. quanto testè osservato evidenzia l’inammissibilità della doglianza poichè prospettata in termini di mera contraddittorietà di taluni profili della motivazione, peraltro neanche tale da rendere l’apparato motivazionale della sentenza impugnata al di sotto del “minimo costituzionale”;

4.5. il mezzo è altresì infondato quanto all’interpretazione della nozione di “serbatoio normale”, secondo l’indirizzo già espresso dalla Sezione in casi analoghi;

4.6. il Reg. n. 1186/2009/CE, art. 107, par. 1, lett. a), prevede che “Fatti salvi gli artt. 108, 109 e 110, sono ammessi in franchigia dai dazi all’importazione: a) il carburante contenuto nei serbatoi normali: – degli autoveicoli da turismo, degli autoveicoli commerciali e dei motocicli, – dei contenitori per usi speciali, che entrano nel territorio doganale della Comunità”; il successivo par. 2, lett. c), prevede che “Ai sensi del paragrafo 1, si intende: (…) c) per “serbatoi normali”: – i serbatoi che sono fissati in modo stabile dal costruttore su tutti gli autoveicoli dello stesso tipo del veicolo considerato e la cui sistemazione permanente consente l’utilizzazione diretta del carburante, sia per la trazione dei veicoli sia, all’occorrenza, per il funzionamento, durante il trasporto, dei sistemi di refrigerazione e degli altri sistemi; – i serbatoi di gas installati su veicoli a motore che consentono l’uso diretto del gas come carburante nonchè i serbatoi adattati agli altri sistemi di cui possono essere dotati i veicoli; – i serbatoi che sono fissati in modo stabile dal costruttore su tutti i contenitori dello stesso tipo del contenitore considerato e la cui sistemazione permanente consente l’utilizzazione diretta del carburante per il funzionamento, durante il trasporto, dei sistemi di refrigerazione e degli altri sistemi di cui sono dotati i contenitori per usi speciali”;

4.7. quanto all’interpretazione di tali norme e, in particolare, della nozione di “serbatoio normale”, analoga questione si pose con riferimento al Reg. n. 918/83/CEE, art. 112, n. 2, lett. c), come modificato dal Reg. n. 1315/88/CEE, (di cui il Reg. n. 1186/2009/CE, rappresenta, stando al relativo considerando n. 1, la codificazione) e fu così risolta dalla sentenza della Corte di Giustizia 3 dicembre 1998, in causa C-247/97, Schoonbroodt nei termini che seguono: “(…) quando emana norme che concedono sospensioni di dazi doganali, il Consiglio deve tener conto delle esigenze della certezza del diritto e delle difficoltà alle quali devono far fronte le amministrazioni doganali nazionali (sentenza 18 marzo 1986, causa 58/85, Ethicon, Racc. pag. 1131, punto 12). Ne consegue che siffatte disposizioni devono essere interpretate restrittivamente, conformemente alla loro formulazione, sicchè non possono essere applicate, in contrasto con il loro tenore letterale, a prodotti che non sono da esse menzionati (sentenza 12 dicembre 1996, cause riunite da C-47/95 a C-50/95, C-60/95, C81/95, C-92/95 e C-148/95, Olasagasti e a., Racc. pag. 1-6579, punto 20). (…) la formulazione della definizione di “serbatoi normali” figurante (…) al Reg. n. 918 del 1983, art. 112, n. 2, lett. c), come modificato dal Reg. n. 1315 del 1988, (…) è chiara. Per costituire oggetto di una siffatta qualifica, tali serbatoi devono essere, in particolare, fissati dal costruttore e su tutti i veicoli o contenitori del medesimo tipo”;

4.8. orbene, non v’è motivo, ad avviso del collegio, per discostarsi da tali principi che vanno dunque confermati anche in relazione all’interpretazione dell’art. 107 cit.;

4.9. per completezza va precisato che una diversa conclusione non potrebbe essere sostenuta mercè il richiamo – non pertinente – alla successiva sentenza della Corte di Giustizia, 10 settembre 2014, in causa C-152/13, Holger Forstmann Transporte: tale decisione ha chiarito, in merito alla nozione di “serbatoi normali” di cui alla Dir. del Consiglio 27 ottobre 2003, n. 2003/96/CE, art. 24, par. 2, primo trattino, (che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità), che la nozione deve essere interpretata nel senso di non escludere i serbatoi installati permanentemente sugli autoveicoli commerciali e destinati a rifornirli direttamente di carburante che siano stati montati da una persona diversa dal costruttore, purchè detti serbatoi consentano l’utilizzazione diretta del carburante sia per la trazione di tali veicoli che, all’occorrenza, per il funzionamento, durante il trasporto, dei sistemi di refrigerazione o di altri sistemi;

4.10. i detti principi, e in particolare l’interpretazione meno restrittiva di cui innanzi, non sono infatti applicabili al diverso campo dei dazi doganali: come si legge ai parr. 33 e 34 della motivazione, “33. (…) tale conclusione non è in contrasto con la sentenza Schoonbroodt (…). Si deve ricordare, infatti, a tale riguardo, che nel procedimento che ha dato origine a detta sentenza, la Corte interpretava non già una disposizione di una direttiva relativa alla tassazione dei prodotti energetici nell’ambito del mercato interno, quale la Dir. n. 96 del 2003, art. 24, bensì, attraverso la legislazione belga in esame, una disposizione del Reg. n. 918 del 1983, in materia doganale. Orbene, tali testi perseguono obiettivi diversi (v., in tal senso, sentenza Meiland Azewijn, (…), punto 40). 34. Inoltre, se è vero che la Corte ha affermato, al punto 20 della sentenza Schoonbroodt (…), che “le definizioni della nozione di “serbatoi normali” fornite nelle varie disposizioni che possono rivelarsi pertinenti non presentano divergenze significative nel contesto della fattispecie di cui alla causa a qua”, tuttavia l’argomentazione della Corte in quest’ultima sentenza si fonda sulla sua giurisprudenza in materia doganale e non sulla finalità di una disposizione adottata nell’ambito del mercato interno”;

5. con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3,53 e 97 Cost., nonchè della L. n. 212 del 2000, art. 10: il provvedimento sanzionatorio sarebbe illegittimo poichè emesso in violazione dei precetti costituzionali di ragionevolezza e capacità contributiva, nonchè del principio di affidamento di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, non applicato dalla CTR nonostante il contribuente non avesse ricevuto rilievi per l’intero periodo contestato da parte della Guardia di Finanza, così maturando la convinzione di operare correttamente, convinzione del resto rafforzata dal ritardo con cui l’amministrazione ha provveduto ad effettuare i controlli poi sfociati nell’avviso di accertamento;

5.1. il mezzo è infondato;

5.2. esso infatti collide con consolidati principi – cui il collegio intende dare seguito – quali quelli per cui: i) il legittimo affidamento del contribuente comporta, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10, commi 1 e 2, l’esclusione degli aspetti sanzionatori, risarcitori ed accessori conseguenti all’inadempimento colpevole dell’obbligazione tributaria, ma non incide sulla debenza del tributo, che prescinde del tutto dalle intenzioni manifestate dalle parti del rapporto fiscale, dipendendo esclusivamente dall’obiettiva realizzazione dei presupposti impositivi (Sez. 5, 18 maggio 2016, n. 10195; Sez. 5, 9 gennaio 2019, n. 370); ii) qualora la mancata riscossione dei diritti doganali sia dovuta ad un’erronea determinazione delle autorità competenti, non percettibile da parte dell’operatore, deve trovare applicazione, in conformità ad un orientamento consolidato nella giurisprudenza comunitaria, il principio di affidamento desumibile dal Reg. del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697/79/CEE, art. 5, n. 2, e dal Reg. del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913/92/CEE, art. 220, par. 2, lett. b), norme che precludono all’amministrazione il recupero dei diritti doganali non riscossi, qualora il debitore abbia agito in buona fede, avendo osservato tutte le disposizioni vigenti materia tributaria per la dichiarazione in dogana: sempre, però, che il comportamento dell’autorità non sia stato – come nella specie – meramente passivo, ma abbia assunto un profilo attivo (Sez. 5, 18 giugno 2010, n. 14812); iii) se la L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, esclude l’irrogazione delle sanzioni qualora la condotta del contribuente sia stata posta in essere “a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori della amministrazione stessa”, è pur vero che “il termine attribuito alla potestà accertativa della Amministrazione finanziaria non (può) ingenerare, fino alla scadenza, alcun affidamento – tanto meno incolpevole – sulla correttezza della condotta, nel caso di specie omissiva, del contribuente” (Sez. 5, 1 giugno 2012, n. 8825, in motivazione, punto 5.2., ultimo cpv.);

6. con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5: secondo i ricorrenti, la sentenza impugnata non spenderebbe alcuna argomentazione in merito all’esistenza, nella specie, dell’elemento soggettivo, nonostante lo specifico motivo di appello da essi proposto, essendosi la CTR limitata a ritenere non sussistente la buona fede del contribuente della L. n. 212 cit., ex art. 10, comma 2, senza spendere alcuna argomentazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo (colpa) dei ricorrenti;

6.1. il mezzo è inammissibile;

6.2. in disparte la considerazione che la censura, pur denunciando un’omessa pronuncia, viene rubricata con riferimento alla violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, la relativa deduzione risulta affatto generica: parte ricorrente si limita infatti a richiamare il proprio atto di appello senza riportare – contro il principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione – nei loro esatti termini e non genericamente, ovvero per riassunto del loro contenuto, i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio e quelli dell’atto d’appello con cui le censure sono state formulate, onde consentire a questa Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale (indirizzo consolidato: fra le tante, Sez. L, 8 giugno 2016, n. 11738; Sez. 5, 30 settembre 2015, n. 19410);

6.3. nel resto, la doglianza risulta palesemente segnata dal fraintendimento della portata precettiva della norma invocata, laddove critica la CTR per non aver argomentato l’insussistenza della colpa: invero, ai sensi dell’art. 5 cit., ai fini dell’affermazione di responsabilità del contribuente è sufficiente una condotta cosciente e volontaria, senza che occorra, da parte dell’amministrazione finanziaria, la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento), atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, il quale è pertanto onerato della prova dell’assoluta assenza della colpa (Sez. 5, 13 settembre 2018, n. 22329 ed altre conformi);

7. infine, con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, “circa la sussistenza dell’incertezza oggettiva della norma” essendo incerto l’esatto ambito applicativo del Reg. n. 1186/2009/CE, art. 107, suscettibile di interpretazioni divergenti;

7.1. nemmeno questa censura merita accoglimento;

7.2. anche a prescindere dalla sua non corretta confezione analogamente a quanto osservato in esordio del punto 6.2 che precede -, la doglianza non si confronta con i consolidati principi in tema di incertezza della legge tributaria, secondo il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, comma 1, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, e della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3;

7.3. sull’interpretazione di tale complesso disciplinare questa Corte (tra le altre, Sez. 5, 13 luglio 2018, n. 18718) ha infatti ribadito – con costante indirizzo cui il collegio intende dare continuità – che l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, “richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione” (cfr. anche Sez. 5, 28 novembre 2007, n. 24670; Sez. 5, 16 febbraio 2012, n. 2192; Sez. 5, 26 ottobre 2012, n. 18434; Sez. 5, 11 febbraio 2013, n. 3245; Sez. 5, 22 febbraio 2013, n. 4522; Sez. 5, 23 novembre 2016, n. 23845; Sez. 5, 1 febbraio 2019, n. 3108); in altre parole, una siffatta incertezza normativa oggettiva tributaria “è la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito”, quindi in senso oggettivo (con conseguente esclusione di “qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali” atteso che “l’incertezza normativa, in quanto esiste in sè, opera nei confronti di tutti”): l’incertezza normativa oggettiva, pertanto, “non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria” (Sez. 5, 11 settembre 2009, n. 19638); inoltre, trattandosi di un’esimente prevista dalla legge a favore del contribuente, su quest’ultimo grava l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione (incertezza inevitabile sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della disposizione tributaria), qualora effettivamente esistenti, secondo le regole generali in materia di onere della prova (Sez. 5, 7 dicembre 2017, n. 29368; Sez. 5, 14 gennaio 2015, n. 440);

7.4. ulteriori specificazioni del concetto risultano da Sez. 5, 13 giugno 2018, n. 15452: “In tema di sanzioni amministrative tributarie, l’incertezza normativa oggettiva – che deve essere distinta dalla ignoranza incolpevole del diritto, come si evince dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, – è caratterizzata dalla impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può essere desunta da alcuni “indici”, quali, ad esempio: 1) la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative; 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente”;

7.5. il fondamento degli enunciati che precedono è di tutta evidenza: la valutazione in ordine alla sussistenza dell’esimente in parola non può essere lasciata al mero apprezzamento soggettivo, esigendo invece essa lo scrutinio dell’incertezza normativa in termini rigorosamente oggettivi e in stretta attinenza alle specifiche allegazioni del contribuente, ciò che radicalmente difetta nella specie;

8. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e le spese del giudizio di cassazione liquidate secondo soccombenza, come in dispositivo; doppio contributo unificato a carico di parte ricorrente, sussistendone i presupposti di legge.

PQM

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2020

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