Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.14915 del 13/07/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 20862/2018 proposto da:

I.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Lucio Terenzio ed elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio dell’Avv. Maria Chiara Morabito, giusta procura speciale rilasciata in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

T.S., rappresentato e difeso, sia congiuntamente che disgiuntamente, dagli Avv.ti. Maria Rita Fiorelli, Flavio Buchicchio e Luisa Gobbi e presso quest’ultima elettivamente domiciliato in Roma, in forza di procura alle liti estesa in calce al controricorso.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di L’Aquila, n. 1064/2017 pubblicata il 14 giugno 2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/07/2020 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

FATTI DI CAUSA

1. T.S. ha convenuto in giudizio I.A. per il riconoscimento del rapporto di filiazione naturale, con conseguente dichiarazione dello status di figlio nei confronti dello I..

2. Il Tribunale ha accolto la domanda, all’esito delle acquisizioni documentali e della prova testimoniale e in considerazione del rifiuto dello I. di sottoporsi all’esame del DNA.

3. I.A. ha proposto gravame eccependo la nullità del giudizio per violazione dell’art. 70 c.p.c., comma 3, e ha contestato tutte le prove assunte nel giudizio e l’errata interpretazione del giudice di primo grado del rifiuto ritenuto ingiustificato.

4. La Corte di appello adita ha rigettato l’eccezione di nullità del giudizio di primo grado e ha confermato la sentenza impugnata, condannando la parte appellante alle spese del grado.

5. I.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

6. T.S. ha proposto controricorso.

7. Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo I.A. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 70 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, affermando la nullità della sentenza di primo grado per il mancato intervento in causa del P.M. a causa dell’omessa citazione dello stesso da parte del T. con l’atto introduttivo.

1.1 Il motivo è inammissibile.

Invero, in tema di ricorso per cassazione è necessario che venga contestata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata (Cass., 14 febbraio 2012, n. 2091; Cass., 10 agosto 2017, n. 19989).

Inoltre, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che nell’ipotesi in cui la sentenza impugnata sia basata su plurime e distinte “rationes decidendi”, ciascuna di per sè sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, sussiste l’onere del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso (Cass., 18 aprile 2019, n. 10815).

Nel caso in esame, la motivazione della sentenza è sorretta da una duplice ratio decidendi:

a) non si tratta di nullità insanabile poichè l’omissione della parte attiene all’art. 70 c.p.c., comma 1, n. 3, e non al n. 1), unico caso di vizio radicale;

b) in ogni caso il PM ha avuto notizia del procedimento intentato dal figlio naturale poichè al PM è stato comunicato il decreto di ammissibilità dell’azione di accertamento della paternità.

Più in particolare, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione del principio affermato da questa Corte secondo cui soltanto l’intervento del P.M., il quale è titolare anche del relativo potere di azione, rientra nell’ipotesi di cui all’art. 70 c.p.c., comma 1, n. 1, che è norma attinente alla disciplina del contraddittorio e dà luogo ad un litisconsorzio necessario, con la conseguenza che la mancata partecipazione del P.M. al giudizio di primo grado ne determina la nullità; mentre l’intervento del P.M. sussumibile nelle ipotesi di cui all’art. 70 c.p.c., comma 1, nn. 2, 3 e 5 che sono estranee alla disciplina dell’esercizio dell’azione di cui il principio del contraddittorio è uno degli aspetti fondamentali, non è causa di nullità del giudizio (Cass., Sez. U., 18 gennaio 2017, n. 1093).

Con l’ulteriore corollario che nelle cause in cui è previsto soltanto l’intervento del P.M. (art. 70 c.p.c., comma 1, nn. 2, 3 e 5) e non anche l’esperibilità dell’azione da parte di tale organo, per non essere ad esso attribuito il relativo potere di iniziativa giudiziaria (art. 70 c.p.c., comma 1, n. 1), la mancata partecipazione del P.M. medesimo al giudizio di primo grado ne determina la nullità ai sensi dell’art. 158 c.p.c., con la conseguenza che, se tale nullità è denunciata in appello in base all’art. 161 c.p.c., non può il giudice del gravame rimettere gli atti al primo giudice in forza dell’art. 354 c.p.c., comma 1, ma, dichiarata detta nullità, deve, ai sensi del citato art. 354, u.c. decidere la causa nel merito dopo aver disposto che al giudizio di impugnazione partecipi il P.M. (Cass., 22 luglio 2009, n. 17161).

Ciò senza sottacere, come già detto, dell’ulteriore ragione del decidere, non censurata, che emerge dalla lettura del provvedimento impugnato, che, nel caso di specie, era stato comunicato al P.M. il decreto di ammissibilità dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità dello I..

2. Il secondo motivo (con il quale I.A. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 chiedendo la riforma della statuizione sulle spese in conseguenza dell’accoglimento dell’eccezione di nullità della sentenza di primo grado) deve ritenersi assorbito in ragione della ritenuta infondatezza del primo motivo.

3. Con il terzo motivo I.A. lamenta l’omesso esame di un fatto storico decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 6, rappresentato dal profilo di incompetenza del perito incaricato a svolgere la delicata indagine genetica.

3.1 Il motivo è inammissibile.

La censura, nei termini in cui è formulata, si risolve nella richiesta di una rivalutazione dei fatti già oggetto del sindacato del giudice di merito (e specificamente del rifiuto del ricorrente di sottoporsi all’esame del DNA) e nella sollecitazione ad un nuovo esame delle risultanze istruttorie, inammissibile in questa sede, spettando al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove e scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione e dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass., 26 marzo 2010, n. 7394).

Ed invero, l’art. 360 c.p.c., comma 1, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito dalla L. n. 13 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ovvero che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415).

Ne consegue che il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il dato testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, il “come” e “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico sia stato comunque preso in esame, anche se la sentenza non abbia dato atto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).

In definitiva la censura sopra descritta è volta a sollecitare una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito sulla base delle risultanze istruttorie acquisite al processo che è inammissibile in questa sede.

Anche di recente questa Corte ha affermato il principio che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476).

4. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

5. Va disposta, in ultimo, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Dispone, per l’ipotesi di diffusione dei presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2020

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