LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero 26081 del ruolo generale dell’anno 2015, proposto da:
L.F.V., rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. Sergio di Serafino, col quale elettivamente si domicilia in Roma, alla via Ottaviano, n. 42, presso lo studio dell’avv. Bruno Lo Giudice;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate
– intimata –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata in data 14 aprile 2015, n. 3429/28/15;
udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 26 novembre 2019 dal consigliere Angelina-Maria Perrino;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale de Renzis Luisa, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA.
Si legge nella narrativa della sentenza impugnata che l’Agenzia delle entrate rettificò i ricavi del contribuente facendo leva sugli studi di settore applicabili in relazione all’anno 2007 e recuperò maggiore materia imponibile ai fini dell’iva, dell’irpef e dell’irap.
l.F.V. impugnò il relativo avviso di accertamento, senza successo in primo grado.
La Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato il successivo appello. Ha sul punto osservato che il contribuente, non aderendo al contraddittorio che comunque era stato promosso, non ha smentito le incongruenze emerse e, in particolare, la durata delle scorte, comunque superiore a quella che si registra in media per imprese del medesimo settore, unitamente al significativo incremento delle rimanenze; sicchè ha ravvisato presunzioni gravi, precise e concordanti a sostegno della pretesa impositiva.
Contro questa sentenza propone ricorso il contribuente per ottenerne la cassazione, che articola in quattro motivi, cui l’Agenzia non replica con difese scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE.
1.- Inammissibile è il primo motivo del ricorso, col quale il contribuente lamenta l’insufficiente e omessa motivazione in ordine al fatto costituito dalla regolarità dell’invito al contraddittorio inviato dall’Agenzia, sia perchè il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al regime del quale è soggetta ratione temporis l’impugnazione della sentenza in questione, inibisce il vaglio di sufficienza della motivazione, sia perchè col motivo in esame si censura in realtà l’insufficienza della motivazione in diritto, di per sè estranea rispetto ai confini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
2.- Infondato è il secondo motivo di ricorso, col quale il contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, là dove il giudice d’appello ha trascurato che gli studi di settore costituiscono una presunzione semplice.
Consolidato è l’orientamento di questa Corte (Cass., sez. un., nn. 26635, 26636, 26637 e 26638/09), secondo cui il procedimento di accertamento standardizzato trova il proprio punto centrale nell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, che consente l’adeguamento degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, determinando il passaggio dalla fase statica (gli standard come frutto dell’elaborazione statistica) alla fase dinamica dell’accertamento (l’applicazione degli standard al singolo destinatario dell’attività accertativa).
2.1.- L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa: in tal caso, però, egli ne assume le conseguenze, in quando l’ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standard, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (Cass. 12 aprile 2017, n. 9484).
E, nel caso in esame, in ordine all’attivazione del contraddittorio procedimentale v’è accertamento di fatto nella sentenza impugnata ormai irretrattabile.
3.- Il metodo di accertamento in questione ha d’altronde superato il vaglio della giurisprudenza unionale, la quale ha stabilito stabilito che la Dir. 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, nonchè i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che consenta all’Amministrazione finanziaria, a fronte di gravi divergenze tra i redditi dichiarati ed i redditi stimati sulla base di studi di settore, di ricorrere ad un metodo induttivo, basato sugli studi di settore stessi, al fine di accertare il volume d’affari realizzato dal contribuente e procedere, di conseguenza, a rettifica fiscale con imposizione di una maggiorazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), a condizione che tale normativa e la sua applicazione permettano al contribuente stesso, nel rispetto dei principi di neutralità fiscale, di proporzionalità nonchè del diritto di difesa, di contestare, sulla base di tutte le prove contrarie di cui disponga, le risultanze derivanti da tale metodo e di esercitare il proprio diritto alla detrazione dell’imposta ai sensi delle disposizioni contenute nel titolo X della Dir. 2006/112, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare (Corte giust. 21 novembre 2018, causa C-648/16, Fontana; ne fanno applicazione, da ultimo, Cass. 29 marzo 2019, n. 8854; 22 maggio 2019, n. 13769 e 18 settembre 2019, n. 23252).
4.- Le considerazioni che precedono determinano l’assorbimento del terzo motivo di ricorso, col quale il contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, là dove l’Agenzia non ha confrontato e supportato il risultato dato dall’applicazione dello studio di settore con presunzioni gravi, precise e concordanti, nonchè del quarto motivo, col quale il ricorrente si duole della violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, perchè il giudice d’appello ha indicato le ragioni che supportano i calcoli compiuti.
5.- Il ricorso va quindi rigettato.
Nulla per le spese, in mancanza di attività difensive.
Sussistono i presupposti processuali per l’applicazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, del raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2020