Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.15016 del 15/07/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24007/2012 R.G. proposto da:

Mondial Import s.r.l. (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Orrico Giorgio e Blasi Sergio, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Roma via Duilio 13;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate (C.F. *****), in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 49/15/2012 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, sezione staccata di Verona, depositata il giorno 12 marzo 2012.

Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2020 dal Consigliere Fichera Giuseppe.

FATTI DI CAUSA

Mondial Import s.r.l. impugnò l’avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate, con il quale vennero ripresi a tassazione maggiori redditi ai fini IRES, IRAP ed IVA, per l’anno di imposta 2004.

Il ricorso venne integralmente accolto in primo grado; proposto appello dall’Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, sezione staccata di Verona, con sentenza depositata il giorno 12 marzo 2012, lo accolse parzialmente, rideterminando i maggiori redditi d’impresa tratti dalla contribuente.

Avverso la detta sentenza, Mondial Import s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Mondial Import s.r.l. ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo deduce Mondial Import s.r.l. la violazione dell’art. 10 della L. 14 maggio 1998, n. 146, avendo la commissione tributaria regionale ritenuto applicabile lo studio di settore per l’accertamento impugnato, nonostante la contribuente rientrasse nell’ambito delle imprese c.d. “multiattive”, come tali sottratte alla ridetta disciplina.

1.2. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse al suo accoglimento, poichè dalla motivazione della sentenza impugnata emerge chiaramente che il giudice di merito ha escluso la rilevanza delle risultanze dei c.d. studi di settore, come introdotti dalla L. n. 146 del 1998, ai fini della decisione.

2. Con il secondo motivo lamenta la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56 e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, poichè il giudice di merito ha ritenuto che l’accertamento fosse legittimo ancorchè non potesse fondarsi sugli studi di settore, bensì su altri elementi indiziari.

3. Con il terzo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, avendo il giudice d’appello, d’ufficio, accertato il maggiore reddito della contribuente, modificando in corso di giudizio il metodo di accertamento utilizzato dall’Amministrazione finanziarla.

3.1. I due motivi, connessi per il comune oggetto, possono essere trattati congiuntamente e sono entrambi infondati.

Va premesso che secondo il costante orientamento di questa Corte, il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio.

Ne consegue che il giudice tributario, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale e non meramente formali, è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (tra le tante, Cass. 30/10/2018, n. 27560; Cass. 15/10/2018, n. 25629; Cass. 28/06/2016, n. 13294; Cass. 28/11/2014, n. 25317; Cass. 19/09/2014, n. 19750).

3.2. A differenza di quanto affermato dalla ricorrente, inoltre, va ricordato che l’avviso di accertamento impugnato non si fondava esclusivamente sull’applicazione dei c.d. studi di settore ex lege n. 146 del 1998, avendo l’Amministrazione finanziaria espressamente invocato – tra gli altri – taluni elementi indiziari discendenti dai versamenti in conto capitale effettuati dai soci nel corso dell’anno 2004, per importi del tutto ingiustificati, tenuto conto dei redditi percepiti dai medesimi per le annualità comprese tra il 2000 e il 2004.

Dunque, la commissione tributaria regionale non ha operato alcuna valutazione d’ufficio degli indizi posti a fondamento della ripresa a tassazione, nè può dirsi che abbia modificato nel corso del giudizio il metodo di accertamento utilizzato dall’amministrazione, avendo il giudice di merito semplicemente ritenuto che il maggior reddito percepito dalla contribuente nell’esercizio preso in considerazione, dovesse essere rideterminato in misura diversa rispetto a quanto risultante nell’avviso impugnato.

3.3. Inammissibili, poi, si mostrano le ulteriori censure mosse dalla ricorrente, in ordine alla corretta valutazione degli elementi indiziari posti a fondamento operata dalla commissione tributaria regionale per ritenere legittimo l’avviso impugnato, trattandosi qui chiaramente di un accertamento in fatto, non sindacabile in sede di legittimità.

4. Con il quarto motivo si duole della violazione della L. 14 maggio 1998, n. 146, art. 10, atteso che nessun contraddittorio preventivo era stato instaurato tra l’amministrazione e la contribuente, prima dell’adozione dell’avviso di accertamento impugnato.

4.1. Il motivo è manifestamente infondato, avendo accertato il giudice di merito che il contraddittorio endoprocedimentale era stato correttamente instaurato dall’amministrazione, restando poi del tutto irrilevante la circostanza – di cui invero si duole nella sostanza la ricorrente – che al “mero scambio di relazioni e memorie” tra le parti, non abbia fatto seguito alcun approfondimento istruttorio da parte dell’ufficio.

5. Con il quinto motivo allega di nuovo la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, nonchè dell’art. 112 c.p.c., atteso che il giudice di appello non ha esaminato le ulteriori doglianze formulate dalla contribuente nel ricorso introduttivo, già ritenute assorbiti dal giudice di primo grado.

5.1. Il motivo è inammissibile, per difetto di interesse al suo accoglimento.

E’ vero infatti che la sentenza impugnata non si è occupata delle eccezioni formulate in seno alle controdeduzioni depositate dall’appellato innanzi al giudice di secondo grado; ma ciò per la decisiva considerazione che tale pronuncia ha ritenuto fondato l’avviso di accertamento, valorizzando un unico elemento indiziario – i considerevoli versamenti effettuati dai due soci in conto capitale -, ritenuto di per sè sufficiente e trascurando del tutto i restanti elementi indiziari, pure addotti dall’Amministrazione, oggetto appunto delle doglianze avanzate dalla contribuente non esaminati dalla commissione tributaria regionale.

3. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Respinge il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, liquidate in complessivi Euro 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2020

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