LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12399-2018 proposto da:
CELENTANO MOTO SAS, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LAURO, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO ESPOSITO;
– ricorrente –
contro
E.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OFANTO 18, presso lo studio dell’avvocato PIETRO SCIUME’, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO ATTANASIO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 398/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 25/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO TERRUSI.
RILEVATO
che:
la corte d’appello di Napoli, con sentenza in data 25-12018, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta dalla Celentano Moto di A.C. s.a.s., diretta a far valere la nullità del lodo arbitrale reso il 1 aprile 2015, in relazione alla controversia insorta con E.G., avente a oggetto una domanda di risoluzione di una “convenzione transattiva e concessione in occupazione temporanea” di un immobile;
la corte d’appello ha ritenuto l’impugnazione inammissibile sotto un duplice profilo: (a) perchè priva di specificità, non essendo stato indicato il motivo di nullità del lodo riferibile alle varie fattispecie di cui all’art. 829 c.p.c., visto che nell’atto erano state semplicemente esposte le norme di diritto asseritamente violate; (b) perchè inibita dal fatto di non avere le parti previsto la possibilità di far valere eventuali errori in iudicando degli arbitri, “stante l’inapplicabilità al caso di specie del disposto di cui all’art. 829 c.p.c., comma 3”;
la società ha proposto ricorso per cassazione in cinque motivi;
l’intimata ha replicato con controricorso.
CONSIDERATO
che:
col primo mezzo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., comma 3, poichè era stata specificamente dedotta, dinanzi alla corte territoriale, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione agli artt. 228 e 230 stesso codice e art. 2730 c.c., con analitica argomentazione del fondamento delle riferite censure;
il mezzo è inammissibile per difetto di autosufficienza;
questa Corte ha da tempo chiarito che ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, egli ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto al giudice d’appello: non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria a evidenziarne la pretesa specificità (v. Cass. n. 24205-06, Cass. n. 22880-17 e molte altre);
l’affermazione, per quanto formulata in relazione all’appello, vale anche, per identità di ratio, ove sia dalla corte d’appello dichiarata l’inammissibilità dell’impugnazione del lodo arbitrale come conseguenza della non specificità delle censure rivolte agli arbitri; invero l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito (id est, il giudizio di impugnazione del lodo), riconosciuto a questa Corte ove sia denunciato un errore su norma processuale (tale è l’art. 829 c.p.c., e tali sono pure gli artt. 115 e 116, richiamati dalla ricorrente), presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura (v. in generale Cass. Sez. U 12), nel caso di specie la ricorrente ha mancato di riportare, nel ricorso per cassazione, i tratti salienti dell’impugnazione a suo tempo proposta nei confronti della decisione arbitrale; e tanto è dirimente, poichè determina l’inammissibilità del primo motivo di ricorso e il conseguente consolidamento della corrispondente prima ratio decidendi, in forza della quale l’impugnata sentenza ha dichiarato l’inammissibilità del gravame;
tutti i restanti motivi – tesi a denunziare la violazione o falsa applicazione degli artt. 816,822 e 829 c.p.c., art. 24 Cost., artt. 1362 e 1364 c.c., artt. 112 e 116 c.p.c., nonchè a sostenere l’illegittimità costituzionale dell’art. 822 c.p.c., nella parte in cui non prevede la possibilità di impugnare il lodo arbitrale indipendentemente dalla previsione contrattuale divengono per conseguenza inammissibili per difetto di interesse; difatti, ove la decisione di merito si fondi (come nella specie) su di una pluralità di ragioni tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse a una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre – in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre alla cassazione della decisione stessa (v. Cass. n. 2108-12, Cass. Sez. U n. 7931-13, Cass. n. 4293-16 e altre);
le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in 3.600,00 EUR, di cui 100,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale massima di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 giugno 2020.
Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2020
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