Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.16 del 03/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17469/2015 R.G. proposto da:

FIN DECOR s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, S.F., rappresentata e difesa dall’Avv. Andrea Trinchera, con domicilio eletto in Roma, presso l’Avv. Andrea Cau, via Maria Adelaide n. 8;

– ricorrente –

contro

C. e FIGLI & C. s.n.c., in persona del socio amministratore, C.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Roberta Di Maggio del foro di Torino e dall’Avv. Massimiliano Silvetti, con domicilio eletto in Roma, Lungotevere dei Mellini n. 7;

– controricorrente –

avverso la sentenza resa dalla Corte di Appello di Torino n. 67/2015 pubblicata il 15 gennaio 2015;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 aprile 2019 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO Ritenuto che:

– il Tribunale di Torino, con ordinanza n. 4362 del 14 ottobre 2011, accoglieva la domanda in manleva della ditta appaltante Fin Decor s.r.l. nei confronti della subappaltatrice C. e Figli & C. s.n.c. di condanna al pagamento della somma di Euro 4.590,00 per essere stata condannata, in altro giudizio introdotto dal Condominio sito in *****, al pagamento del minor valore dell’opera, oltre all’eliminazione dei vizi riscontrati;

– in virtù di rituale appello interposto dalla C. e Figli & C. s.n.c., la Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 67/2015, accoglieva il gravame e, in riforma dell’ordinanza appellata, respingeva la domanda proposta da Fin Decor s.r.l. nei confronti di C. e Figli & C. s.n.c. per il principio del “ne bis in idem”, giacchè tra le medesime parti era già intervenuta pronuncia in ordine alla domanda di manleva formulata dalla Fin Decor nel giudizio introdotto dal Condominio e conclusosi con la sentenza del Tribunale di Torino n. 7076/2008;

– per la cassazione del provvedimento della Corte di appello di Torino ricorre la Fin Decor s.r.l. sulla base di unico motivo, illustrato anche da memoria;

– la C. e Figli & C. s.n.c. resiste con controricorso.

Atteso che:

– è preliminare rilevare che ai fini dell’ammissibilità del ricorso per Cassazione non costituisce condizione necessaria la corretta menzione dell’ipotesi appropriata tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, purchè si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia. Con la conseguenza che è ammissibile il ricorso per cassazione che lamenti la violazione di una norma processuale, ancorchè la censura sia prospettata sotto il profilo della violazione di norma sostanziale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, anzichè sotto il profilo dell'”error in procedendo”, di cui al citato art. 360, n. 4 (Cass. 6 ottobre 2017 n. 23381; Cass. 21 gennaio 2013 n. 1370). Del resto, nella specie il ricorrente correttamente deduce la violazione dell’art. 2909 c.c. non emergendo alcuna omissione nella valutazione del giudice ma un erroneo inquadramento;

-. passando al merito del ricorso, con l’unico motivo la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il giudice del gravame erroneamente considerato l’identità fra la domanda proposta da Fin Decor nel presente giudizio e quella formulata in precedente giudizio intercorso tra le medesime parti.

La censura è manifestamente infondata.

Come correttamente ricostruita la vicenda dalla Corte territoriale, il precedente giudizio, intercorso tra le medesime parti processuali, oltre che nei confronti del Condominio committente, originario attore, conclusosi con sentenza n. 7076/2008, dopo aver accertato che le opere eseguite dalla C. erano affette da vizi imputabili alla subappaltatrice ed aver condannato la Fin Decor ad eseguire i lavori descritti dal c.t.u. per eliminare i difetti riscontrati, disponeva altresì la condanna del subappaltatore a manlevare la Fin Decor limitatamente al minor valore dell’opera ed alle spese di lite. Detta statuizione non risulta essere stata oggetto di impugnazione da parte dell’odierna ricorrente. A fronte di ciò a nulla vale la dedotta offerta da parte della C. di eseguire spontaneamente tali lavori, non essendovi comunque obbligata.

E’ pacifico in giurisprudenza il principio di diritto in base al quale l’autorità del giudicato copre sia il dedotto sia il deducibile, cioè non soltanto le ragioni giuridiche fatte espressamente valere, in via di azione o in via di eccezione, nel medesimo giudizio (giudicato esplicito), ma anche tutte quelle altre che, seppure non specificamente dedotte o enunciate, costituiscano, tuttavia, premesse necessarie della pretesa e dell’accertamento relativo, in quanto si pongono come precedenti logici essenziali e indefettibili della decisione (giudicato implicito). Pertanto, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano per oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento compiuto circa una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituenti indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, precludono il riesame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo ed il “petitum” del primo (Cass. 26 febbraio 2019 n. 5486).

Orbene, l’evenienza descritta è quella verificatasi nel caso di specie. Sulla base del dispositivo pronunciato dalla Corte di merito, infatti, la C. non aveva alcun obbligo di eliminare i vizi e, d’altro lato, l’odierna ricorrente aveva la possibilità di proporre appello avverso la sentenza che così aveva statuito. Dal momento che ciò non è accaduto, la sentenza deve essere considerata passata in giudicato.

Per tali ragioni, il motivo non può essere accolto.

Risultato infondato in ogni sua parte, il proposto ricorso deve rigettarsi, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte di Cassazione, il 8 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2020

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