LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3653-2019 proposto da:
M.E.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato RINALDO MARTINO;
– ricorrente –
contro
G.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO AMILCARE PONCHIELLI 6, presso lo studio dell’avvocato MARCO ALESSANDRO VINCENTI, che la rappresenta c difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5160/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 23/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/03/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CRICENTI.
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente, Dott. M.E.S., ha impiantato una protesi dentaria a G.M.C..
Quest’ultima, dopo circa un anno dall’impianto, ha iniziato ad avvertire dolori mandibolari e frontali, che inizialmente ha attribuito alla sinusite di cui era solita soffrire. Solo con il passare del tempo, ed a seguito di apposite indagini mediche, ha appreso che i dolori erano riconducibili alla errata installazione della protesi.
Ha dunque agito in giudizio nei confronti del medico, ritenendolo responsabile di un qualche errore professionale causa dei danni di cui soffriva e di cui ha chiesto il risarcimento.
Il medico convenuto ha negato di avere male eseguito l’intervento, ed ha evidenziato peraltro il ritardo con cui, rispetto all’impianto, si erano manifestati i sintomi denunciati dalla paziente come conseguenti all’intervento.
Il giudice di primo grado, espletata una consulenza tecnica, ha disatteso sostanzialmente le conclusioni peritali, ritenendo lieve l’inadempimento del medico e comunque senza conseguenze pregiudizievoli rilevanti.
Questa tesi è stata smentita dal giudice di appello, che ha fatto proprie invece le conclusioni dei due consulenti d’ufficio, ed ha, per contro ritenuto grave l’inadempimento del medico, condannandolo al risarcimento del danno.
Il Dott. M. ricorre con quattro motivi. V’è controricorso della intimata G.. Entrambe le parti depositano memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- La decisione di primo grado aveva una ratio specifica. Non disattendeva, nella sostanza, le conclusioni della CTU; piuttosto riteneva che, da un lato, l’inadempimento fosse marginale (solo erroneo posizionamento della protesi) e, per altro verso che, essendo la protesi ancora in uso, non vi fosse danno attuale bensì futuro.
La corte di appello, facendo proprie le conclusioni della consulenza, ritiene invece come rilevante l’inadempimento ed attuale il danno, pur se al momento della citazione la protesi era comunque utilizzata dalla paziente.
2.- Il M. ricorre con quattro motivi.
Il primo di tali motivi denuncia omesso esame di un fatto controverso e rilevante, anzi di quattro fatti rilevanti e non valorizzati dalla corte che, se invece presi in considerazione, avrebbero consentito una decisione diversa.
2.1.- Il primo di tali fatti starebbe in una contraddizione contenuta nella CTU, secondo cui l’errato posizionamento della protesi è, di per sè, foriero di infiammazione e dolori, che però nel caso della paziente non si sono manifestati subito, come avrebbero dovuto. Inoltre, la protesi mal messa viene, secondo i CTU, espulsa spontaneamente, ed invece ciò non è avvenuto.
2.2.-. Il secondo ed il terzo dei fatti che la corte avrebbe omesso di esaminare consistono nella circostanza che non si sarebbe verificato danno alcuno, atteso che la protesi è ancora in uso (al momento della decisione impugnata), fatti che, se esaminati, avrebbero dovuto far deporre per una mancanza di responsabilità medica.
2.3. Il quarto fatto, del cui omesso esame si duole il ricorrente, consiste invece nella omessa considerazione del comportamento della danneggiata volto a lucrare un risarcimento non dovuto.
2.4- Si tratta di motivi infondati.
In pratica, i CTU hanno tenuto conto delle circostanze lamentate dal ricorrente, ed hanno concluso comunque per la responsabilità del medico, e ne hanno tenuto conto riferendo del tempo trascorso dall’impianto ai sintomi e della inverosimiglianza dei sospetti di sinusite della ricorrente, cosi come hanno tenuto conto della persistenza in quel momento della protesi.
I giudici di merito hanno dunque rigettato quegli argomenti, nè v’era alcuna contraddizione contenuta nella consulenza, che abbiano omesso di rilevare. La contraddizione è una situazione irrisolta, che invece nella motivazione dei CTU è decisa nel senso della responsabilità del medico e nel senso della spiegazione del ritardo di quei sintomi e della irrilevanza del fatto che la protesi non fosse stata rimossa, circostanza quest’ultima, che come ognun vede semmai può costituire un aggravamento del danno ad opera del danneggiato, ma non incide sulla responsabilità del danneggiante.
Non v’è dunque omesso esame, bensì rigetto, esplicito nella CM, ed implicito nella decisione che quella CM fa propria.
Il quarto fatto, della cui omissione ci si duole, è del tutto irrilevante, poichè si imputa al giudice di non aver tenuto in conto le mire speculative della danneggiata.
3.-. Il secondo motivo ed il terzo motivo denunciano violazione dell’art. 1218 c.c. e degli artt. 1453 e 1454 c.c..
Si imputa alla decisione di avere erroneamente ritenuto grave anzichè marginale, come aveva fatto il giudice di primo grado, l’inadempimento del medico.
La valutazione della gravità dell’inadempimento è accertamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, e censurabile in Cassazione solo sotto il profilo del difetto di motivazione. Nel caso concreto la corte ha ritenuto grave l’inadempimento perchè relativo alla obbligazione principale e perchè ha reso inutile l’intera prestazione.
4.- Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. nel senso che la corte avrebbe posto le spese a carico del ricorrente, pur essendo la soccombenza reciproca.
Secondo tale prospettazione, la reciprocità della soccombenza starebbe nel fatto che la ricorrente ha ottenuto una somma maggiore di quella che aveva richiesto.
In realtà, a parte che la differenza è tanto minima da non poter incidere sulla qualificazione della sorte della lite; a parte ciò la domanda è stata accolta e non v’è dunque soccombenza, ed infine la regola sulle spese impone di non addossare le spese a carico della parte vittoriosa, non già di poter compensare in caso diverso.
Vanno liquidate le spese della fase incidentale, ex art. 373 c.p.c., che la corte stima di quantificare in 1800,00 euro, oltre IVA e CPA, in assenza di nota spese, oltre le spese del presente giudizio che seguono la soccombenza.
Il ricorso va rigettato.
PQM
La corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento della somma di 3000,00 Euro di spese legali, oltre 200,00 Euro di spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.
Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020
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