LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –
Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21733/13 R.G. proposto da:
M.V., rappresentato e difeso, giusta procura a margine del ricorso, dall’avv. Stefano Petrecca e dall’avv. Rosamaria Nicastro, con domicilio presso lo Studio Macchi Di Cellere Gangemi, in Roma, via Giuseppe Cuboni, n. 12;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;
– resistente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale del Lazio n. 350/40/12 depositata in data 27 giugno 2012 udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11 febbraio 2020 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.
RILEVATO
che:
M.V., titolare della omonima ditta esercente l’attività di agente con rappresentanza di materiale idraulico, impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate, all’esito di una verifica a carico della Tecnomarket s.r.l. – di cui risultava socia all’80 per cento la coniuge del contribuente, A.A.M. – ed all’esito di indagini bancarie sui conti correnti intestati al contribuente, determinava maggiori ricavi non dichiarati.
La Commissione provinciale di Frosinone accoglieva parzialmente il ricorso con sentenza che veniva impugnata in via principale dal contribuente, il quale ribadiva di avere prodotto documenti idonei a giustificare le operazioni bancarie ed i pagamenti effettuati, ed in via incidentale dall’Ufficio.
I giudici di appello, premesso che la metodologia applicata dall’Ufficio era legittima e corretta, per cui incombeva sul contribuente l’onere di dimostrare che le movimentazioni emergenti dai conti correnti non corrispondessero a ricavi dell’impresa, accoglievano l’appello dell’Ufficio, respingendo quello principale, sul rilievo che il contribuente non avesse documentato in maniera specifica i movimenti risultanti dai conti oggetto di verifica e che non potessero parimenti condividersi le doglianze dallo stesso sollevate in ordine alla Tecnomarket s.r.l.; affermavano che il contribuente non era riuscito a dare prova certa dei pagamenti effettuati e che non meritavano accoglimento le giustificazioni rese in ordine alle operazioni bancarie con riguardo a prestiti e restituzione di somme; rilevavano, infine, che la richiesta di riconoscimento dei costi era inammissibile perchè introdotta per la prima volta in sede di appello.
Ricorre per la cassazione della suddetta decisione M.V., affidandosi a quattro motivi.
L’Agenzia delle entrate ha depositato atto di costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, carenza di motivazione della sentenza impugnata per non avere i giudici di secondo grado esaminato la eccezione di illegittimità dell’attività di accertamento svolta in violazione dei principi di affidamento e di buona fede, richiamati dalla L. n. 212 del 2000, art. 10. I giudici di merito, affermando che non era stata data prova certa dei pagamenti effettuati “con specifica documentazione di sostegno”, avevano implicitamente giustificato la sommaria attività di indagine e di accertamento espletata dall’Ufficio, nonostante lo stesso Ufficio avesse ammesso che gran parte dei prelevamenti contestati con l’avviso di accertamento fossero stati idoneamente giustificati.
La censura è inammissibile.
Con il mezzo in esame, in realtà, il ricorrente lamenta una omessa pronuncia sull’eccezione di illegittimità dell’attività accertativa dallo stesso sollevata nel giudizio di merito; sebbene in tal caso non sia indispensabile che si faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., è tuttavia necessario che il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della sentenza derivante dalla relativa omissione, con la conseguenza che la doglianza è inammissibile qualora sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass., Sez. U, 24 luglio 2013, n. 17931; Cass. 7 maggio 2018, n. 10862).
Nel caso che ci occupa il motivo non contiene alcun riferimento alla nullità della decisione impugnata derivante da una omissione di pronuncia e si risolve piuttosto nella prospettazione di una presunta insufficienza della motivazione adottata dalla Commissione regionale.
2. Con il secondo motivo, deducendo carenza di motivazione della sentenza su fatti decisivi per il giudizio, si duole che i giudici di appello si siano limitati ad asserire la mancanza di prova certa dei pagamenti senza esplicitare i presupposti logico-giuridici seguiti con riguardo alle giustificazioni fornite circa le operazioni risultanti dai conti correnti oggetto di verifica. Aveva prodotto documenti al fine di provare l’ammontare dei prelievi ritenuti dall’Ufficio non giustificati, quali fatture e matrici degli assegni bancari utili non solo ad individuare il beneficiario del prelievo, ma anche a fornire la giustificazione causale degli stessi prelevamenti (spese per ristrutturazione, regali ai familiari, compensi ai professionisti incaricati della tenuta della contabilità); la acritica adesione della sentenza alle asserzioni dell’Ufficio aveva indotto i giudici a non rilevare che la somma dei prelevamenti riconosciuti come giustificati dall’Ufficio per un totale di Euro 31.899,70 e quelli, invece, ritenuti da questo come non idoneamente motivati per Euro 11.649,00 non corrispondeva alla somma dei prelevamenti originariamente contestati con l’avviso di accertamento, pari a Euro 46.539,67.
3. Con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, e violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8, sostiene che gli importi dei prelevamenti ritenuti non giustificati avrebbero dovuto essere ridotti di tutti i movimenti in uscita per i quali era stata offerta documentazione che consentiva l’identificazione del “beneficiario” e che fossero pertanto “tracciabili”.
4. Con il quarto motivo censura la decisione impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio, in quanto i giudici di appello avrebbero tralasciato di valutare se i versamenti transitati sui conti correnti, giustificati per la gran parte (per Euro 43.890,00) quali restituzioni di somme anticipate alla figlia ed al genero per la ristrutturazione della casa di abitazione e per la restante parte quali dividendi contabilizzati dalla Tecnomarket s.r.l. e versati al coniuge quale socio all’80 per cento della società, potessero essere, in parte, considerati quali utili extrabilancio ricevuti nella qualità di socio occulto della predetta società, in violazione anche del divieto di cd. presunzione di secondo grado, come sostenuto dall’Ufficio.
5. Il secondo ed il quarto motivo, strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente e sono fondati, con assorbimento del terzo motivo.
5.1. Secondo la costante giurisprudenza di questo giudice di legittimità, alla quale il Collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, attraverso i dati risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale, al fine di superare la presunzione legale posta a favore dell’Erario, deve dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica ma analitica, indicando in modo specifico come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea ai fatti imponibili (Cass. 18081 del 4/8/2010; n. 4589 del 26/2/2009; Cass. n. 26111 del 30/12/2015; Cass. n. 15857 del 29/7/2016; Cass. n. 11102 del 5/5/2017).
5.2. All’onere probatorio gravante sul contribuente corrisponde l’obbligo del giudice di merito di operare una verifica rigorosa dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, dando espressamente conto delle risultanze di tale verifica; al riguardo questa Corte ha precisato che in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, il contribuente può fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici, dovendo in questo caso il giudice di merito “individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative” (Cass. n. 25502 del 30/11/2011; Cass. n. 11102 del 5/5/2017).
5.3. La Commissione regionale ha riconosciuto la legittimità dell’indagine svolta dall’Amministrazione, sul presupposto che fosse del tutto corretta la metodologia adottata, ed ha al contempo rilevato che il contribuente non avesse documentato in maniera specifica i movimenti risultanti dai conti correnti oggetto di verifica, in tal modo addivenendo al convincimento che le prove fornite non consentissero di ritenere giustificate le operazioni bancarie rilevate, ma si è ingiustificatamente sottratta alle attività sopra descritte, tralasciando di esaminare in modo specifico la documentazione prodotta dal contribuente, richiamata anche in ricorso in omaggio al principio di autosufficienza. Infatti, le generiche affermazioni contenute nella sentenza impugnata in ordine alla valutazione della documentazione offerta dal contribuente non chiariscono su quali prove si fondi il convincimento della Commissione regionale e sulla base di quali argomentazioni la stessa è pervenuta alla propria determinazione, a fronte della produzione da parte del contribuente di fatture e matrici di assegni a giustificazione di prelievi per Euro 11.649,00 e della produzione del verbale di assemblea della Tecnomarket s.r.l. e del modello di dichiarazione Unico 2004 a dimostrazione della contabilizzazione quali dividendi e della riferibilità al coniuge, in qualità di socio all’80 per cento, dei versamenti effettuati dalla predetta società sui conti correnti allo stesso intestati.
I giudici di appello hanno omesso di procedere ad una puntuale disamina di tutta la documentazione prodotta in rapporto alle contestate movimentazioni bancarie e di svolgere una indagine di sufficiente analiticità, e sono, quindi, incorsi nel dedotto vizio di motivazione, essendo riscontrabile una obiettiva deficienza del percorso argomentativo e dei criteri logico-giuridici che li hanno condotti alla formazione del proprio convincimento.
6. In conclusione, rigettato il primo motivo, in accoglimento del secondo e del quarto motivo, assorbito il terzo, la sentenza va cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, perchè proceda a nuovo esame, oltre che alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo ed il quarto motivo e dichiara assorbito il terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 febbraio 2020.
Depositato in cancelleria il 28 luglio 2020