LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 34401 – 2018 R.G. proposto da:
M.G., – c.f. ***** – B.S. – c.f.
***** – D.M.C. – c.f. ***** – S.M. –
c.f. ***** – elettivamente domiciliati in Roma, alla via Golametto, n. 4, presso lo studio dell’avvocato Giovambattista Ferriolo, e dell’avvocato Ferdinando Emilio Abbate, che li rappresentano e difendono in virtù di procura speciale a margine del ricorso.
– ricorrente –
contro
MINISTERO della GIUSTIZIA, – c.f. ***** – in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, domicilia per legge;
– controricorrente –
avverso il decreto della corte d’appello di Perugia n. 1550 del 16.4/18.5.2018;
udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 31 ottobre 2019 dal consigliere Dott. Luigi Abete;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. Mistri Corrado, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione;
udito l’avvocato Marco Alunni, per delega dell’avvocato Ferdinando Emilio Abbate, per i ricorrenti.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso ex lege n. 89 del 2001 alla corte d’appello di Perugia depositato in data 4.5.2015 M.G., B.S., D.M.C. e S.M. chiedevano ingiungersi al Ministero della Giustizia il pagamento di un equo indennizzo per l’eccessiva durata di un precedente procedimento del pari ex lege n. 89 del 2001.
2. Il consigliere designato rigettava il ricorso.
3. Avverso tale decreto M.G., B.S., D.M.C. e S.M. proponevano opposizione.
4. Con decreto n. 1226/2015 la corte d’appello di Perugia rigettava l’opposizione e compensava le spese di lite.
5. Con ordinanza n. 24189/2017 questa Corte di legittimità cassava il decreto n. 1226/2015 della corte di Perugia.
6. Con decreto n. 1550 del 16.4/18.5.2018 la corte d’appello di Perugia, in sede di rinvio, accoglieva l’iniziale ricorso e condannava il Ministero a corrispondere a ciascuno dei ricorrenti la somma di Euro 2.000,00, oltre interessi; condannava il Ministero alle spese di lite liquidate – con distrazione – in Euro 250,00 per la fase monitoria ed in Euro 900,00 per il giudizio di legittimità, oltre rimborso forfettario, i.v.a., cassa e spese vive.
7. Avverso tale decreto hanno proposto ricorso M.G., B.S., D.M.C. e S.M.; ne hanno chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese, da distrarsi in favore dei difensori anticipatari.
Il Ministero della Giustizia si è costituito ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione.
8. I ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
9. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.
Deducono che la corte di Perugia ha omesso la liquidazione delle spese del giudizio di opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5 e delle spese del giudizio di rinvio.
10. Il primo motivo è fondato e va accolto.
Sussiste il denunciato error in procedendo.
La corte d’appello di Perugia, quale giudice di rinvio, avrebbe dovuto provvedere alla regolamentazione anche delle spese dell’iniziale giudizio di opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter e delle spese del giudizio di rinvio (cfr. Cass. 18.6.2003, n. 9690, secondo cui il giudice del giudizio di rinvio deve provvedere, anche d’ufficio, alla regolamentazione delle spese relative a tutte le fasi del giudizio di merito, secondo il principio della soccombenza da rapportare unitariamente all’esito finale della causa).
Viceversa – come si è premesso – la corte perugina si è limitata a liquidare le spese dell’iniziale fase innanzi al consigliere designato e le spese del giudizio di legittimità.
11. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e dell’art. 2233 c.c., comma 2 in relazione al D.M. n. 55 del 2014 ed al D.M. n. 37 del 2018.
Deducono che ai fini della liquidazione dei compensi della fase monitoria dinanzi al consigliere designato si impone il riferimento alla tabella n. 12 allegata al D.M. n. 55 del 2014 (giudizi innanzi alla corte d’appello); che il riferimento alla tabella n. 8 allegata al medesimo D.M. non si giustifica, giacchè non si è al cospetto di un “procedimento monitorio tipico”; che dunque il compenso minimo relativo alla fase innanzi al consigliere designato, tenuto conto dello scaglione di riferimento (Euro 1.100,01 – Euro 5.200,00), è pari ad Euro 510,00.
Deducono che il compenso liquidato – Euro 250,00 – per la fase innanzi al consigliere designato è simbolico e non consono al decoro professionale.
Deducono che nella fattispecie compete l’aumento di cui al D.M. n. 55 del 2017, art. 4, comma 2, come modificato dal D.M. n. 37 del 2018.
12. Il secondo motivo va respinto.
13. Si applica alla fase destinata a svolgersi dinanzi al consigliere designato la tabella n. 8, rubricata “procedimenti monitori”, allegata al D.M. n. 55 del 2014.
La circostanza per cui si sia al cospetto di un procedimento monitorio destinato a celebrarsi dinanzi alla corte d’appello, con caratteri di “atipicità” rispetto a quello di cui agli artt. 633 c.p.c. e ss., non esclude l’applicabilità della tabella n. 8.
Pur a prescindere dal rilievo per cui la L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 4 – e nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis e nel testo attualmente in vigore – richiama espressamente art. 640 c.p.c., commi 1 e 2 non ha peculiare valenza il mancato richiamo dello stesso art. 640 c.p.c., comma 3 (alla cui stregua il decreto motivato di rigetto della domanda monitoria ex art. 633 c.p.c. e ss. non ne pregiudica la riproposizione anche in via ordinaria), mancato richiamo da correlare evidentemente all’operatività della regola – “se il ricorso è in tutto o in parte respinto la domanda non può essere riproposta, ma la parte può fare opposizione a norma dell’art. 5-ter” – di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 6 (e nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis e nel testo attualmente in vigore).
Difatti il connotato che in forma pregnante rileva allo scopo della individuazione del parametro da applicare per la liquidazione e quantificazione delle spese della fase destinata a compiersi dinanzi al consigliere designato, connotato che dà la misura dell’impegno professionale e del correlato “costo” economico, è propriamente l’iniziale assenza di contraddittorio, la differita operatività della regola cardine “audiatur et altera pars”, che appieno accomuna il primo sviluppo del procedimento ex lege “Pinto” e l’ordinario procedimento d’ingiunzione.
A fronte di siffatta analoga connotazione, che l’identica veste formale – decreto – del provvedimento conclusivo della prima fase e dell’uno e dell’altro procedimento univocamente testimonia, non ha alcuna valenza caratterizzante la più ampia “proiezione soggettiva” e la più ampia “proiezione oggettiva”, del petitum, dell’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter che evidentemente, in ipotesi di accoglimento solo parziale dell’iniziale domanda per equa riparazione, diversamente dall’opposizione ex art. 645 c.p.c., può essere esperita anche dall’iniziale ricorrente per il differenziale quantum disconosciuto dal consigliere designato.
14. Ebbene, all’insegna dei surriferiti rilievi – che evidentemente inducono a non condividere le indicazioni giurisprudenziali di segno contrario dai ricorrenti menzionate in memoria – è da disconoscere la denunciata violazione dei minimi tariffari, anche a tener conto della diminuzione massima, di cui al D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, del dei valori medi di cui al prospetto n. 8 – “procedimenti monitori” – delle tabelle allegate al D.M. n. 55 del 2014 (si applica al caso di specie, ratione temporis, il D.M. 8 marzo 2018, n. 37, pubblicato in G.U. n. 96 del 26.4.2018).
Difatti, alla stregua della tabella n. 8 allegata al D.M. n. 55 del 2014 (“procedimenti monitori”) ed in rapporto allo scaglione di riferimento (Euro 0,01 – Euro 5.200,00), i minimi si specificano (nel complesso per la fase di studio, istruttoria e conclusiva) in Euro 225,00 (Euro 450,00 valore dei “medi” – decurtato del 50%).
La corte di Perugia ha dal canto suo liquidato la maggior somma di Euro 250,00.
15. Non vi è margine perchè il secondo mezzo di impugnazione possa essere accolto con riferimento all’aumento del compenso, D.M. n. 55 del 2014, art. 4, ex comma 2 (come modificato dal D.M. n. 37 del 2018), correlato all’assistenza di più soggetti aventi la stessa posizione processuale e rimesso alla valutazione discrezionale del giudice della lite (“il compenso unico può di regola essere aumentato”).
Propriamente i ricorrenti avrebbero dovuto, in parte qua, censurare il dictum della corte perugina per difetto di motivazione sul punto.
16. In accoglimento del primo motivo di ricorso il decreto della corte di appello di Perugia n. 1550 del 16.4/18.5.2018 va cassato – nei limiti del motivo accolto – con rinvio alla stessa corte in diversa composizione, anche per la disciplina delle spese del presente giudizio di legittimità.
16.1. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10 non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001, sicchè è inapplicabile l’art. 13, comma 1 quater D.P.R. cit. (cfr. Cass. sez. un. 28.5.2014, n. 11915).
PQM
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; cassa, nei limiti del motivo accolto, il decreto della corte di appello di Perugia n. 1550 del 16.4/18.5.2018; rigetta il secondo motivo di ricorso; rinvia alla stessa corte di Perugia, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda della Corte Suprema di Cassazione, il 31 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2020
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