Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.19826 del 22/09/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13234/2015 proposto da:

Serena s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via Terenzio 21, presso lo studio dell’avvocato Fausto Maria Amato, e rappresentata e difesa dagli avvocato Angelo Cacciatore, e Marco Zummo, in forza di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Assessorato Regionale alla Salute, Regione Sicilia;

– intimato –

e contro

ASP Azienda Sanitaria Provinciale Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma presso la Cancelleria della Corte di Cassazione e rappresentata e difesa dall’avvocato Giorgio Li Vigni, in forza di nuova procura 25/6/2020, allegata all’atto depositato il 3/7/2020, confermativa di quella precedente in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1952/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 01/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 03/07/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 14/3/2005 la s.p.a. Serena convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo l’Azienda USL ***** di Palermo e l’Assessorato alla Sanità della Regione Sicilia e ne chiese la condanna al pagamento in suo favore della somma di Lire 2.308.080.000, oltre accessori, a titolo di corrispettivo per le prestazioni sanitarie erogate dalla Casa di Cura gestita dalla società in regime di convenzionamento negli anni 1995-1997 in favore dei “neonati nati sani”, autonomamente rispetto all’evento parto.

Gli enti convenuti contestarono la domanda dell’attrice e ne chiesero il rigetto.

Il Tribunale di Palermo con sentenza del 16/9/2008 respinse la domanda di Serena s.p.a., con aggravio di spese, assumendo la sussistenza di una inscindibile relazione tra la compilazione della scheda di dimissione ospedaliera (di seguito, semplicemente: s.d.o.) e il pagamento della prestazione resa secondo la voce dell’apposita tariffa; di conseguenza, sino all’introduzione dell’obbligo di compilazione della s.d.o. anche per i neonati sani ricoverati nel nido, avvenuta ad opera del D.M. 30 giugno 1997, non sarebbe dovuta alcuna remunerazione per attività assistenziali, diversa da quella del parto.

2. Avverso la predetta sentenza di primo grado propose appello Serena s.p.a., a cui si opposero gli appellati Assessorato Regionale alla Sanità e Azienda USL ***** Palermo.

La Corte di appello di Palermo con sentenza del 1/12/2014 ha respinto il gravame, confermando la sentenza di primo grado, richiamando il contenuto di una sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia nella stessa materia e condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado.

3. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 15/5/2015 ha proposto ricorso per cassazione Serena s.p.a., svolgendo sette motivi.

Con atto notificato il 24/6/2015 ha proposto controricorso l’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, già USL ***** Palermo (di seguito: ASP Palermo o semplicemente ASP), chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

L’Assessorato Regionale alla Sanità non si è costituito in giudizio.

Il Procuratore Generale con nota del 17/2/2020 ha chiesto la trattazione della causa in pubblica udienza.

Entrambe le parti hanno depositato memoria e la ricorrente anche una seconda memoria in relazione alla richiesta del Procuratore generale. A tal riguardo, entrambe le parti precisano che non sussistono questioni di giurisdizione all’attenzione della Corte: Serena s.p.a. aderisce alla richiesta del Procuratore generale, ASP Palermo ritiene confacente la trattazione camerale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La richiesta della Procura Generale di trattazione in pubblica udienza del ricorso non appare condivisibile.

Nessuna delle parti ha prospettato una questione di giurisdizione, come ulteriormente confermato con le memorie.

In ogni caso è inammissibile la questione di giurisdizione proposta in sede di legittimità, qualora il giudice di primo grado si sia espressamente pronunciato su di essa, unitamente al merito, e tale statuizione sulla giurisdizione non abbia formato oggetto di impugnazione, determinando sul punto la formazione del giudicato interno (Sez. U, n. 27348 del 18/11/2008, Rv. 605700 – 01; Sez. U, n. 24883 del 09/10/2008, Rv. 604576 – 01; Sez. U, n. 4109 del 22/02/2007, Rv. 595427 – 01). Il giudicato interno sulla giurisdizione si forma tutte le volte in cui il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando anche implicitamente la propria giurisdizione, e le parti abbiano prestato acquiescenza a tale statuizione, non impugnando la sentenza sotto questo profilo, sicchè non può validamente prospettarsi l’insorgenza sopravvenuta di una questione di giurisdizione all’esito del giudizio di secondo grado, perchè tale questione non dipende dall’esito della lite, ma da due invarianti primigenie, costituite dal petitum sostanziale della domanda e dal tipo di esercizio di potere giurisdizionale richiesto al giudice (Sez. U, n. 10265 del 27/04/2018, Rv. 648268 – 01).

Le ulteriori considerazioni proposte dal Procuratore generale a sostegno dell’istanza non giustificano una diversione dalla regola generale, espressa dell’art. 375 c.p.c., u.c., della trattazione in Camera di consiglio “in ogni altro caso”; in particolare, non è dato ravvisare nella questione un particolare interesse nomofilattico, tanto più che il problema giuridico riguarda un ristretto e ormai decorso intervallo temporale (anni 1995-1997) e risulta superato dall’intervento di una nuova disciplina.

2. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.M. 28 dicembre 1991, artt. 1 e 4 e al D.M. 15 aprile 1994, art. 4.

2.1. La Corte di appello, al pari del Tribunale, aveva attribuito alla scheda di dimissione ospedaliera, che, secondo le norme citate, aveva una finalità meramente informativa e statistica e una funzione di strumento diretto al riconoscimento del diritto alla remunerazione della prestazione sanitaria in convenzione con il Servizio sanitario nazionale.

2.2. E’ il caso di premettere che la decisione impugnata è sorretta da una motivazione per relationem sotto un duplice profilo: da un lato, cioè, si basa sull’adesione alla decisione di primo grado, ritenuta persuasiva e condivisibile, dall’altro, sul richiamo, parimenti adesivo, ad una sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Sicilia del 15/12/2008 n. 1019, di cui riporta un ampio stralcio.

In buona sostanza, la ratio decidendi espressa nella sintesi di pagina 6 della sentenza impugnata è che esista una correlazione tra la scheda di dimissione e i compensi per prestazioni sanitarie, tale da indurre ad escludere la remunerabilità delle prestazioni per il neonato nato sano relativamente al periodo 1995-1997, ove l’obbligo di compilazione della s.d.o. non era stato ancora istituito.

2.3. La censura è fondata.

La pretesa correlazione fra l’obbligo di compilazione della scheda di dimissione ospedaliera e la remunerabilità della prestazione sanitaria è priva di valido fondamento normativo ed anzi sovverte il rapporto logico fra i due istituti, attribuendo a uno strumento conoscitivo e statistico, quale la s.d.o., la funzione di presupposto normativo; al contrario è nella normativa primaria e secondaria che individua le prestazioni remunerabili che occorre rinvenire i pilastri fondanti tanto del diritto al corrispettivo quanto dell’obbligo di compilazione del documento in questione.

Con il D.M. 28 dicembre 1991, art. 1, è stata istituita la scheda di dimissione ospedaliera “quale strumento ordinario per la raccolta delle informazioni relative ad ogni paziente dimesso dagli istituti di ricovero pubblici e privati in tutto il territorio nazionale”. E’ stato così introdotto l’obbligo per tutti gli istituti di cura pubblici e privati presenti sul territorio nazionale di adottare entro il 30/6/1992 la scheda di dimissione ospedaliera, quale parte integrante della cartella clinica e con le medesime valenze di carattere medico-legale.

Con il successivo D.M. 26 luglio 1993, in tema di disciplina del flusso informativo sui dimessi dagli istituti di ricovero pubblici e privati, è stato attivato il flusso informativo relativo alla scheda di dimissione ospedaliera “quale rilevazione sistematica delle informazioni anagrafico-amministrative e sanitarie relative a tutti i dimessi dagli istituti di cura pubblici e privati in tutto il territorio nazionale”.

E’ del tutto evidente la funzione informativa e statistica del documento in questione.

La tesi sostenuta dalla controricorrente e fatta propria dai giudici del merito inverte il rapporto fra la classificazione delle prestazioni rimborsabili, specificate secondo il sistema dei ROD (raggruppamenti omogenei di diagnosi), o DRG (diagnosis related group), e la scheda di dimissione ospedaliera che ne documenta l’effettuazione, finendo per riconoscere la remunerazione della prestazione non in quanto sia prevista dal tariffario ma in quanto ne sia prevista (e non già semplicemente effettuata) la documentazione.

Il D.M. 14 dicembre 1994, stesso art. 2, quand’anche applicabile, non sorregge l’interpretazione proposta dalla ASP Palermo, laddove, dopo aver distinto le prestazioni di assistenza ospedaliera in “prestazioni di assistenza ospedaliera per acuti erogate in regime di ricovero ordinario”, “prestazioni di assistenza ospedaliera per acuti erogate in regime di ricovero diurno”, “prestazioni di riabilitazione ospedaliera erogate in regime di ricovero”, afferma che “le tariffe relative alle prestazioni di assistenza ospedaliera per acuti erogate in regime di ricovero ordinario di cui all’allegato 1, individuate quali episodi di ricovero come documentati dalla scheda di dimissione ospedaliera di cui al D.M. 28 dicembre 1991 e D.M. 26 luglio 1993 e specificati secondo il sistema di classificazione dei raggruppamenti omogenei di diagnosi (ROD), si articolano…” e indica di seguito le varie tariffe specifiche per ROD di appartenenza.

Se l’episodio di ricovero rientra nel sistema classificatorio con attribuzione di uno specifico ROD non si comprende come il riferimento alla loro documentazione nella s.d.o. possa essere letto come un ulteriore requisito, non soddisfatto per giunta dalla materiale stesura della s.d.o., ma implicante la necessità della previsione della compilazione obbligatoria della scheda anche per i ricoveri per ROD previsti dalla normativa.

3. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.M. 14 dicembre 1994, al d.a. della regione Sicilia del 7 novembre 1995 e all’art. 17 dello Statuto Regione Sicilia.

3.1. In primo luogo, l’omessa previsione nel D.M. 14 dicembre 1994, di una voce relativa al “neonato sano” non poteva escludere il diritto al compenso, poichè tale voce era compresa nel D.M. 15 aprile 1994.

In secondo luogo, il D.M.. 14 dicembre 1994, non poteva essere applicato nella Regione Sicilia alla stregua dell’art. 17 dello Statuto siciliano e della speciale competenza esclusiva della Regione a statuto speciale in materia di sanità pubblica, esercitata con il Decreto Assessorile 7 novembre 1995, che prevedeva una apposita tariffa per il neonato sano.

3.2. La censura è puntuale e fondata e stigmatizza correttamente l’errore di ricognizione normativa compiuto dalla Corte territoriale nel suo recepimento della decisione di primo grado.

3.3. Il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, comma 6, in tema di disciplina dei rapporti per l’erogazione delle prestazioni assistenziali, dispose che entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, con decreto del Ministro della sanità, sentita la Federazione nazionale degli ordini dei medici e degli odontoiatri e degli altri ordini e collegi competenti, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, fossero stabiliti i criteri generali per la fissazione delle tariffe delle prestazioni di cui al comma 5 erogate in forma diretta nonchè di quelle erogate in forma indiretta, ai sensi della L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 25, u.c. e che ove l’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e province autonome non intervenisse entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta, il Ministro della sanità provvedesse direttamente con atto motivato.

L’art. 8, comma 5, predetto prevedeva che le unità sanitarie locali assicurassero ai cittadini la erogazione delle prestazioni specialistiche, ivi comprese quelle riabilitative, di diagnostica strumentale e di laboratorio ed ospedaliere contemplate dai livelli di assistenza secondo gli indirizzi della programmazione e le disposizioni regionali, avvalendosi dei propri presidi, nonchè delle aziende e degli istituti ed enti di cui all’art. 4, delle istituzioni sanitarie pubbliche, ivi compresi gli ospedali militari, o private, e dei professionisti e che con tali soggetti l’unità sanitaria locale intrattenesse appositi rapporti fondati sulla corresponsione di un corrispettivo predeterminato a fronte della prestazione resa.

3.4. E’ stato così emanato il D.M. 15 aprile 1994, recante determinazione dei criteri generali per la fissazione delle tariffe delle prestazioni di assistenza specialistica, riabilitativa ed ospedaliera, contenente le tariffe che rappresentano la remunerazione massima da corrispondere ai soggetti erogatori di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, commi 5 e 7 e successive modificazioni ed integrazioni, a fronte delle singole prestazioni rese agli assistiti.

Il D.M. 15 aprile 1994, art. 2, al fine di garantire l’uniforme applicazione delle sue norme, individuava, tra l’altro e per quanto in questa sede rileva, come “a) prestazioni di assistenza ospedaliera per acuti erogate in regime di degenza” i singoli episodi di ricovero, specificati secondo il sistema di classificazione dei raggruppamenti omogenei di diagnosi, riportato nell’allegato 1 A, e regolamentati secondo i criteri definiti nell’allegato 1 B.

L’allegato 1, recante classificazione degli episodi di ricovero in regime di degenza, alla voce n. 391 (e non già l’allegato 3, come sostiene la ASP controricorrente, a pag. 21 del controricorso), recava il puntuale e inequivoco riferimento al caso del “neonato normale 0.2252”, dopo aver classificato vari altri casi relativi a neonati (n. 385: neonati morti o trasferiti ad altre strutture di assistenza per acuti; n. 386: neonati gravemente immaturi o con sindrome da distress respiratorio; n. 387: prematurità con affezioni maggiori; 388: prematurità senza affezioni maggiori; n. 389: neonati a termine con affezioni maggiori; n. 390: neonati con altre affezioni significative).

Il D.M. 14 dicembre 1994, aveva la dichiarata funzione di indicare le tariffe per le prestazioni di assistenza ospedaliera da applicarsi, in via transitoria, da parte delle regioni e province autonome che al 1 gennaio 1995 non avessero adottato propri provvedimenti di fissazione delle tariffe.

La L. Cost. 26 febbraio 1948, n. 2, recante conversione in L. Costituzionale dello Statuto della Regione siciliana, approvato col R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455, e successive modifiche e integrazioni, all’art. 17 attribuisce alla Regione autonoma siciliana, entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato, il potere di emanare leggi in materia di igiene e sanità pubblica, al fine di soddisfare alle condizioni particolari ed agli interessi propri della Regione.

La Regione Sicilia con il Decreto Assessorile 7 novembre 1995, con decorrenza 1/1/1995, ha determinato le tariffe regionali relative alle prestazioni di assistenza ospedaliera pubblica e privata prevedendo una apposita tariffa per il “neonato nato sano”, in conformità al D.M. 15 aprile 1994 e in difformità dal D.M. 14 dicembre 1994, che invece non prevedeva tale voce.

3.5. La sentenza impugnata ha quindi applicato erroneamente il testo del D.M. 14 dicembre 1994, che aveva una funzione suppletiva rispetto alla normativa della Regione autonoma che ha regolato la specifica materia, peraltro in sintonia con il precedente D.M. aprile del 1994.

4. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione del principio della gerarchia delle fonti normative nonchè, sotto ulteriore profilo, del D.M. 15 aprile 1994 e del d.a. della regione Sicilia del 7 novembre 1995.

4.1. Il richiamo operato dalla Corte di appello alla circolare n. 860 del 2/4/1996, seppure mediato dalla citazione della pronuncia del Consiglio di Giustizia Amministrativa, violava la gerarchia delle fonti normative non potendo una circolare amministrativa disattendere disposizioni normative di rango superiore.

4.2. Il rilievo è ineccepibile.

La circolare amministrativa non poteva derogare a una fonte di rango superiore e, per vero, stando a quanto riportato nella citazione effettuata nella sentenza impugnata, si limita ad affermare che la corretta compilazione della s.d.o. è presupposto per l’assegnazione di un episodio di ricovero a un DRG (cioè: diagnosis-related group, ossia raggruppamento omogeneo di diagnosi (in acronimo ROD), sistema che permette di classificare tutti i pazienti dimessi da un ospedale, ricoverati in regime ordinario o day hospital in gruppi omogenei per assorbimento di risorse impegnate (isorisorse)) e quindi per il suo finanziamento.

In altre parole, la lettera della circolare non pretende che esista una norma che obblighi alla compilazione della s.d.o., ma esige solamente che essa sia compilata: il che appare sufficiente laddove l’obbligo di remunerazione scaturisca da altra fonte sovraordinata.

5. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione, sotto ulteriore profilo, del D.M. 15 aprile 1994 e del d.a. della Regione Sicilia del 7 novembre 1995, nonchè omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.

5.1. I citati decreti prevedevano espressamente la remunerazione delle prestazioni rese in favore dei bambini nati sani e non contenevano alcun collegamento fra la compilazione della scheda e il diritto alla remunerazione della prestazione; in ogni caso la Corte territoriale aveva del tutto ignorato il fatto che la Casa di Cura aveva provveduto a compilare le s.d.o. relative alle prestazioni rese in favore dei bambini sani.

5.2. La fondatezza della prima parte della doglianza già emerge dalle considerazioni esposte nei precedenti paragrafi 2.3 e 3.4., il che assorbe l’ulteriore rilievo in ordine alla pretermissione del fatto che la s.d.o. era stata comunque compilata dagli addetti di Serena s.p.a. anche per i “neonati nati sani”, ancorchè non ne esistesse l’obbligo in quel periodo.

6. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 11 preleggi e al D.M. 30 giugno 1997, art. 4.

6.1. Secondo la ricorrente era erroneo il riferimento ad atti normativi successivi al triennio 1995-1997 e in ogni caso del D.M. 30 giugno 1997, predetto art. 4, relativo alla necessità della compilazione della s.d.o. per i “neonati nati sani” non poteva essere interpretato nel senso che prima dell’introduzione dell’obbligo di tale adempimento burocratico non fosse prevista alcuna forma di remunerazione.

6.2. La censura è dedicata a un passaggio della motivazione della sentenza di primo grado, complessivamente avallata dalla Corte territoriale, secondo cui sino al citato D.M. del 1997, introduttivo dell’obbligo di compilazione della s.d.o. anche per i “neonati nati sani” non era dovuta alcuna remunerazione per le attività assistenziali.

Al riguardo è sufficiente richiamare quanto già esposto in precedenza circa la funzione statistico-informativa della s.d.o., sicchè all’introduzione dell’obbligo nel 1997 non può essere assegnata alcuna valenza ermeneutica per inferire la non remunerabilità delle prestazioni eseguite per i predetti neonati prima di tale data, che, come si è visto, discende da altra fonte.

7. Con il sesto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 11 preleggi e al D.A. 29 luglio 1999, art. 7, D.M. 30 giugno 1999, nonchè omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.

7.1. Oltre all’evidente errore per aver considerato una disposizione successiva al periodo temporale rilevante, la ricorrente osserva che la Corte di appello aveva omesso di valutare che Serena s.p.a. non aveva conferito alcun mandato a AIOP, che certamente non poteva stipulare accordi abdicativi di diritti maturati dalle Case di Cura, in difetto di idonea autorizzazione.

7.2. La censura è dedicata a una considerazione integrativa sviluppata indirettamente dalla Corte territoriale, richiamando la sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Sicilia, che peraltro si riferiva ad altre Case di cura, che magari in concreto erano aderenti AIOP.

In ogni caso il D.A. 29 luglio 1999 è molto successivo ai fatti di causa (che riguardano il periodo 1995-1997) e la Corte di appello si è totalmente astenuta dallo spiegare sulla base di quali presupposti l’accordo sottoscritto dall’AIOP potesse vincolare Serena s.p.a.

8. Con il settimo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.A. 7 novembre 1995.

8.1. La previsione di tariffa ivi contenuta, relativa al neonato normale, non poteva essere circoscritta alle sole prestazioni relative ad accertamenti e interventi di ridotta importanza nei reparti e non a quelle di assistenza nel nido successivamente al parto, come ha opinato la Corte di appello, richiamando la decisione del C.G.A.R.S. e del TAR.

Tale argomentazione non solo non gode di alcun supporto normativo e va contro l’inequivocabile formulazione normativa, riferita a soggetti “sani”, ma trova dirimente smentita nello stesso contenuto della casistica sopra ricordata che contrappone il neonato sano o normale a una serie di ipotesi di neonati portatori di patologie, problematiche o affezioni, maggiori o minori.

9. Il ricorso deve quindi essere accolto con la consequenziale cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2020

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