Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.19967 del 23/09/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso 24340-2019 proposto da:

T.S., elettivamente domiciliato in VIA PAOLO SOPRANI 2B CASTELFIDARDO – ANCONA – presso l’avv. MARIO NOVELLI, che la rappresenta e difende;

-ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI ANCONA, depositato il 25/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/06/2020 dal Consigliere Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria.

La Corte:

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Ancona, con decreto del 25/6/2019, ha rigettato il ricorso proposto da T.S. avverso il rigetto della domanda di protezione internazionale, reso dalla locale Commissione territoriale.

Il Tribunale ha ritenuto non credibile il racconto dello straniero, privo di riscontri specifici, incoerente e contraddittorio, che, laddove credibile, resta confinato entro i limiti di una vicenda di vita privata, caratterizzata da personali timori senza elementi concreti di riscontro, ed il ricorrente avrebbe dovuto chiedere la protezione del suo Paese ed attenderne l’esito.

Il Giudice del merito ha considerato la situazione del paese di origine del T., il *****, avuto riguardo alle fonti consultate, concludendo nel senso che è cessata la dittatura durata per oltre ventidue anni e che il nuovo Presidente B. ha già intrapreso azioni per la tutela dei diritti fondamentali; ha escluso la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato, così come per il riconoscimento della protezione sussidiaria e dell’umanitaria, ritenendo insussistente una grave ed individuale minaccia per la vita del ricorrente e che, quanto alla valutazione prognostica sull’elevata vulnerabilità per effetto dello sradicamento dal contesto socio-economico nazionale, non potevano considerarsi indice univoco di integrazione sociale la mera produzione di un solo cedolino paga relativo al mese di aprile 2019, ed il rapporto di lavoro successivo al deposito del ricorso.

Il T. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi; il Ministero dell’interno ha depositato controricorso.

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo, il ricorrente ha denunciato la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 per avere il Tribunale concluso per la non credibilità della narrazione della parte, pur a fronte del rispetto di tutte le condizioni previste dall’art. 3 D.Lgs. cit., minimizzando la situazione del paese di provenienza, mentre organismi internazionali hanno denunciato più volte la diffusa violazione dei diritti umani.

Il motivo è sostanzialmente inammissibile, per non avere colto il secondo rilievo del Tribunale, che, dopo avere rilevato la non credibilità della narrazione del ricorrente, ha anche valutato detta narrazione, concludendo nel senso che si trattava di vicenda privata e che la parte avrebbe dovuto chiedere la protezione del suo Paese.

Rispetto a detto rilievo, la critica alla ritenuta inattendibilità è pianamente carente, per non confrontarsi con il secondo rilievo del Tribunale.

Inoltre, va osservato che a fronte della valutazione del Giudice del merito, condotta alla stregua di fonti internazionali, il ricorrente si limita a contrapporre la propria valutazione sulla situazione del *****, del tutto genericamente supportata da richiami a fonte, della quale neppure si specifica l’effettivo contenuto e che, per quanto risulta dal secondo mezzo, risale al 2015.

Con il secondo motivo, il ricorrente ha denunciato la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria; sostiene che il Tribunale non avrebbe fornito una visione aggiornata della situazione nello Stato di origine, che è “alquanto complessa” anche col recente cambio di regime.

Anche il secondo mezzo è inammissibile, dato che il ricorrente contrappone alla valutazione del Tribunale la propria differente visione, citando a supporto fonti più lontane nel tempo rispetto a quelle esaminate dal Tribunale.

Con il terzo motivo, è denunciata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per non avere il Tribunale valutato la situazione nel paese di origine in modo adeguato.

E’ inammissibile anche detto motivo, palesemente inteso alla generica contestazione della valutazione del Tribunale.

Con il quarto motivo, è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1997, art. 5, comma 6; si duole il ricorrente della mancata valutazione del concreto inserimento socio-lavorativo in Italia (titolarità di rapporto di lavoro a tempo pieno sino ad aprile 2023 come sbavatore di metalli, paga base Euro 963,00 mensili, rileva che la busta paga prodotta si riferisce a soli 15 giorni di lavoro, e che detto rapporto di lavoro era già in essere all’introduzione del giudizio di merito), e della situazione di vulnerabilità, anche considerato l’abbandono del ***** quando aveva appena 18 anni.

Il mezzo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza, dato che il Tribunale ha valutato l’inserimento lavorativo, sostenendo la necessità della prova di una vera e propria integrazione lavorativa, valutabile in un più ampio arco temporale, altresì aggiungendo che l’integrazione sociale, “è piuttosto il risultato di un percorso di socializzazione che non si esaurisce in uno dei tanti profili suscettibili anche di agevole e repentina documentazione in vista della decisione…, bensì involge globalmente la formazione linguistica, l’accesso all’istruzione e/o il riconoscimento di titoli e qualifiche, la disponibilità di un alloggio, il ricongiungimento familiare, l’informazione sui diritti e sui doveri individuali all’interno del paese di accoglienza, l’orientamento rispetto ai servizi offerti sul territorio, il dialogo all’interno del gruppo ospitante”.

Ora, detta valutazione, effettuata dal Tribunale nella necessaria comparazione con la situazione del paese di provenienza, è in linea con i criteri di legge come interpretati dalla giurisprudenza di legittimità (vedi tra le ultime, la pronuncia Sez. U. 29459/2019), nè stata censurata dal ricorrente sotto il profilo del vizio di motivazione, ed in ogni caso, è stata condotta avuto riguardo al complessivo spettro dei fatti rilevanti ai fini della integrazione nel Paese di accoglienza.

Conclusivamente, va respinto il ricorso.

Le spese seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto (vedi Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2100,00, oltre le spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2020

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