LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15458/2018 proposto da:
A.M., o M., nato in ***** elettivamente domiciliato in Roma Via Cosseria 2, presso lo studio dell’avvocato Faranda Riccardo che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Amari Maria Rosaria;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di TRIESTE, depositate il 13/04/2018;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;
FATTI DI CAUSA
1. – A.M. o M., cittadino del *****, chiese il riconoscimento della protezione internazionale.
La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Gorizia rigettò la domanda, con decisione che venne impugnata dinanzi al competente Tribunale.
2. – Con decreto del 13/4/2018, il Tribunale di Trieste confermò il provvedimento della Commissione territoriale.
3. – Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso il richiedente – ammesso provvisoriamente al patrocinio a spese dello Stato – sulla base di sette motivi.
Il Ministero dell’Interno, ritualmente intimato, non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il ricorrente formula i seguenti motivi:
1) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione alla ritenuta non credibilità soggettiva del richiedente;
2) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione alla esclusione della verosimiglianza dell’appartenenza del richiedente alla religione ***** e ai motivi religiosi delle percosse subite;
3) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c), e 5 in relazione alle ritenute discrasie del racconto del richiedente;
4) violazione dell’art. 3, comma 4, del D.Lgs. n. 251 del 2007, in relazione alla mancata considerazione dei segni di flagellazione presenti sul corpo del richiedente, attestati dal certificato in atti;
5) omesso esame di fatto decisivo, in relazione al fatto storico della flagellazione;
6) violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4 e art. 14 in relazione alla ritenuta esclusione del pericolo del richiedente di subire ulteriori violenze in patria e al diniego dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria.
7) violazione del D.Lgs. n. 289 del 1998, art. 19, comma 1.1., (a tenore del quale “Non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell’esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani”), in relazione alla ritenuta insussistenza del pericolo che il richiedente sia sottoposto a tortura in patria e al diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
2. – I motivi non possono trovare accoglimento per le ragioni che seguono.
2.1. – I primi tre motivi sono inammissibili perchè puntano a censurare le valutazioni del giudice di merito in ordine alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente, che non sono sindacabili in sede di legittimità, in presenza – come nella specie – di una motivazione puntuale ed esente da errori logici e giuridici (p. 3-4 del decreto impugnato). I motivi, per di più, sollecitano una valutazione alternativa delle dette dichiarazioni da parte di questa Corte, non consentita nel giudizio di legittimità.
2.2. – I motivi quarto, quinto e sesto sono infondati.
Il Tribunale ha considerato il certificato medico prodotto dal richiedente (p. 3 della sentenza impugnata) e le lesioni in esso attestate; ha però ritenuto non credibile il racconto del medesimo secondo cui sarebbe stato oggetto di pestaggio in ragione della sua conversione alla religione *****: sia perchè tale appartenenza non è documentata e non è verosimile il racconto secondo cui la madre appartenente ad una famiglia ***** – lo avrebbe convinto a convertirsi alla religione *****; sia perchè le dichiarazioni del richiedente, rese nelle varie sedi, sono piene di discrasie e contraddizioni che ne minano l’attendibilità. Avendo il Tribunale motivatamente escluso la sussistenza del pericolo che il richiedente sia sottoposto nel paese di origine ad atti di persecuzione per motivi religiosi e che, rientrando in patria, possa subire un grave danno ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 legittimamente sono stati negati al richiedente lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria.
2.3. – Anche il settimo motivo non può trovare accoglimento.
Il Tribunale ha motivatamente escluso la sussistenza del pericolo che, in caso di respingimento, il richiedente sia sottoposto a persecuzione o a tortura ed ha escluso la sussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità dello stesso ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, considerando sia la situazione interna del ***** (area di provenienza del richiedente), nel quale – sulla base dei report internazionali menzionati nel decreto impugnato – non esistono situazioni di violenza generalizzata derivante da conflitto armato, sia il non sufficiente grado di integrazione in Italia del medesimo.
La motivazione del decreto impugnato sul punto è esente da vizi logici e giuridici e rimane pertanto insindacabile in sede di legittimità.
3. – Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Nulla va statuito sulle spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.
4. – Sussistono i presupposti processuali perchè la parte ricorrente versi – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – un ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 20 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020