LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29994-2019 proposto da:
A.I., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE CAROTTA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso la sentenza n. 2113/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 23/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/06/2020 dal Consigliere Dott. PELLECCHIA ANTONELLA.
RILEVATO IN FATTO
che:
1. A.I., cittadino della Nigeria, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, domandando:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).
2. A fondamento della sua istanza il richiedente dedusse di esser fuggito dalla Nigeria in seguito all’uccisione di un suo amico. Ciò accadeva durante una lite scoppiata in seguito alla richiesta del richiedente di riavere dei soldi dati in prestito all’amico, il quale colpì il richiedente alla testa con una bottiglia di vetro. Il richiedente reagì, ferendo gravemente l’amico alla gola, il quale morì in ospedale. Decise quindi di fuggire e giunse in Italia.
La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.
Avverso tale provvedimento A.I. propose ricorso D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35, dinanzi il Tribunale di Venezia, che con ordinanza del 16 maggio 2017 rigettò il reclamo.
3. Tale decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza n. 2113 pubblicata il 23 maggio 2019.
4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da A.I., con ricorso fondato su un unico motivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
5. Con l’unico motivo il ricorrente lamenta “la violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 132 disp. att. c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., la nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente e nullità del procedimento il tutto in relazione all’art. 115 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1 e art. 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per aver la Corte omesso di applicare l’art. 14, lett. b) e c), in violazione dei criteri legali di valutazione degli elementi di prova con riferimento alla credibilità intrinseca del ricorrente”. La Corte avrebbe erroneamente ritenuto non credibile il ricorrente, non applicando le fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), mancando di riconoscere la protezione sussidiaria.
Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi della decisione della Corte d’appello. I giudici di merito hanno negato il riconoscimento di qualsiasi forma di protezione internazionale non già sulla base della non credibilità del ricorrente, di cui non viene fatto cenno, quanto piuttosto sulla mancanza dei presupposti per il riconoscimento. Secondo i giudici, la vicenda del richiedente atterrebbe a motivi di natura economica (prestito di denaro non restituito) degenerata in una reciproca aggressione con esito letale per l’amico del ricorrente, circostanza che non da accesso ad alcuna forma di protezione internazionale, considerando anche che il riconoscimento di qualche misura farebbe evitare al richiedente la responsabilità derivante dall’omicidio. I giudici di merito hanno anche adeguatamente motivato il mancato riconoscimento della protezione umanitaria, “mancando qualsiasi elemento anche a livello di allegazione idoneo a definire la presumibile durata di una esposizione al rischio”. Si ritiene infine adempiuto il dovere di cooperazione istruttoria D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8, avendo i giudici di merito, in base a fonti aggiornate e ufficiali, escluso la presenza di una violenza generalizzata o di conflitto armato nella zona di provenienza del richiedente (Lagos).
6. Non è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio, attesa la inddènsio della parte pubblica.
6.1. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), a condizione che esso sia dovuto: condizione che non spetta a questa Corte stabilire. La suddetta norma, infatti, impone all’organo giudicante il compito unicamente di rilevare dal punto di vista oggettivo che l’impugnazione ha avuto un esito infruttuoso per chi l’ha proposta.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 giugno 2020.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020