Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.22277 del 15/10/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18897-2019 proposto da:

A.J., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO PACIARONI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****;

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 6753/2018 del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 21/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA SCALIA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. A.J. ricorre in cassazione con tre motivi avverso il decreto in epigrafe indicato con cui il Tribunale di Ancona – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e Ubera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, adito D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis, ne aveva rigettato la richiesta di protezione internazionale, nelle forme del rifugio e della sussidiaria, nonchè di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, nella ritenuta insussistenza delle condizioni per il riconoscimento delle misure.

Il Ministero, intimato, non ha svolto difese.

2. Con il primo motivo il ricorrente – che aveva dichiarato dinanzi alla competente commissione amministrativa di provenire dalla provincia del *****, Pakistan, e di essere stato costretto ad abbandonare il proprio paese in seguito all’incendio doloso del proprio negozio di cosmetici appiccato da appartenenti al gruppo “*****”, organizzazione terroristica, dovuto al suo corteggiamento di una ragazza di religione cattolica della cui morte egli veniva accusato con denuncia sporta alla polizia ed iscritta a nome di ignoti nel timore di non potersi difendere per la scarsa affidabilità del sistema giudiziario pakistano per gli appartenenti a categorie sociali umili, raggiungendo dapprima la Germania e quindi l’Italia – deduce la violazione e falsa applicazione di legge ed omesso esame di un fatto decisivo D.Lgs. n. 25 del 2008, (art. 8, comma 3; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. e), in relazione art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

Il tribunale aveva negato la protezione sussidiaria D.Lgs. cit., ex art. 14, mancando di accertare all’attualità la situazione di instabilità politico-sociale del paese di provenienza del richiedente, sostenuta da fonti più aggiornate e da decisioni di merito, e quindi il rischio del richiedente di subire un danno effettivo.

I giudici di merito non avevano accertato poi la violenza indiscriminata in un conflitto armato in corso del D.Lgs. cit., ex art. 14, lett. e), (caso E.) nella zona di confine da cui il richiedente proveniva, esercitando i poteri istruttori di ufficio anche ai fini della concessione della protezione umanitaria.

La valutazione di credibilità era sorretta da motivazione apparente e quindi nulla; il richiedente aveva dichiarato di essere fuggito perchè non aveva fiducia nelle autorità del proprio paese presso le quali era stata sporta denuncia per omicidio della fidanzata a proprio carico e tanto là dove la stessa decisione aveva valorizzato come fosse “facile” in Pakistan depositare false denunce all’autorità.

Il motivo è inammissibile – ai fini della integrazione della fattispecie prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. e), – quanto al dedotto mancato esercizio di poteri istruttori ufficiosi e della mancata acquisizione di fonti aggiornate sulla situazione del paese di origine perchè con il ricorso la parte contrappone a quella indicata nel decreto impugnato una alternativa lettura dei fatti emergenti dalle fonti di informazione, il cui esame il provvedimento impugnato ha peraltro esteso anche a risultanze successive al 2017, contrariamente a quanto dedotto nel motivo.

Inoltre il motivo è inammissibile poichè ai fini della protezione internazionale la situazione del paese di origine non è destinata a rilevare come tale, ma in quanto essa si coniughi con gli altri presupposti della protezione internazionale o di quella umanitaria, di cui costituisce necessario supporto.

Il motivo è ancora inammissibile là dove censura il giudizio sulla non credibilità del racconto del richiedente senza farsi carico – confrontandosi con le stesse – delle plurime rationes di tale valutazione espressa, chiaramente nella motivazione impugnata (Cass. n. 19989 del 10/08/2017); nè d’altra parte, in senso contrario, può valere la denuncia di nullità del provvedimento per apparenza della motivazione che si realizza quando la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione, denuncia che non esonera il ricorrente dal dedurre compiutamente sul contrasto inconciliabile o sulle mancanze integrative dell’apparenza.

Il mero riferimento operato nel racconto alla non fiducia nelle autorità pakistane che avrebbero perseguito il richiedente in forza della denuncia falsa di aver assassinato la fidanzata non risponde all’indicato modello perchè non da conto di un contrasto inconciliabile di affermazioni contenuto nel decreto e della capacità dello stesso di disarticolare la motivazione, rendendola apparente.

2. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere violazione e falsa applicazione di legge (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 1; D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1 c-ter), e vizio di motivazione. Il tribunale aveva rigettato la domanda di protezione umanitaria in contrasto con consolidato orientamento della giurisprudenza sulla situazione dei diritti nella regione del Pakistan da cui proveniva il richiedente.

Il motivo è inammissibile perchè destinato a tradursi in una mera contrapposizione di lettura del merito circa la situazione di instabilità del paese di origine del richiedente (Cass. SU n. 34476 del 27/12/2019), e circa il grado di integrazione raggiunto in Italia dal ricorrenteperaltro sulla base di circostanze di fatto puntualmente esaminate dal tribunale.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del Reg. UE n. 604 del 2013, art. 18, pf. 1, lett. d); della Dir. n. 2005/85/CE, art. 32, pf. 3, e vizio di motivazione.

Il tribunale aveva ritenuto manifestamente infondata la nuova domanda di protezione internazionale avanzata in Italia perchè di mera reiterazione di altra in precedenza proposta dinanzi ad altro Stato membro dell’Unione Europea (la Repubblica Federale di Germania) e basata sulla medesima storia personale.

Il motivo è inammissibile per sua inconcludenza e difetto di interesse.

La portata critica non si confronta infatti con la motivazione impugnata nella parte in cui – la prima, che si articola nelle pagine iniziali del provvedimento impugnato – il tribunale riesamina nel merito la domanda.

Ogni altra argomentazione pure resa dal giudice sulla “competenza” dello Stato italiano a provvedere dopo che la Germania aveva respinto la prima richiesta di protezione, e quindi sulla procedibilità della domanda nel rapporto tra Stati membri presso i quali siano state presentate, nel tempo, distinte istanze (Reg. UE n. 604 del 2013, artt. 17 e 18), rimane non rilevante, in ragione delle sorti in concreto avute dalla nuova richiesta.

La lettura del provvedimento impugnato offre così per gli indicati passaggi soltanto una ulteriore ragione di rigetto della domanda di protezione – dopo averla vagliata e respinta perchè non fondata in ragione della disciplina nazionale – in forza della indicata regolamentazione Eurounitaria, nella saggiata manifesta infondatezza della prima in quanto accompagnata da una storia personale del richiedente priva di elementi di novità rispetto a quella fatta valere in Germania (sulla novità dell’allegazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 29, lett. b): Cass. n. 18440 del 09/07/2019).

Si tratta per vero di motivazione che non influendo sul dispositivo della decisione, la cui “ratio decidendi” è, in realtà, rappresentata dal rigetto nel merito del gravame per infondatezza delle censure, rende anche privo di interesse il ricorso (sulla motivazione “ad abundantiam” e l’atteggiarsi dell’interesse del ricorrente: Cass. n. 30354 del 18/12/2017).

5. Il ricorso è, pertanto, in via conclusiva inammissibile.

Nulla sulle spese essendo rAmministrazione rimasta solo intimata. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, da atto (secondo la formula da ultimo indicata in Cass. SU n. 23535 del 2019) della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1- bis.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020

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