Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.22359 del 15/10/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2650-2013 proposto da:

LAUDANTE COSTRUZIONI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in PERUGIA CORSO VANNUCCI 10, presso lo studio dell’avvocato SIMONE MARCHETTI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANTONIO DE ANGELIS, MARCO MASANTE, giusta procura a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 112/2012 della COMM. TRIB. REG. di PERUGIA, depositata il 31/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/12/2019 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO che ha concluso per il rigetto dei ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato LEPPO per delega dell’Avvocato MARCHETTI che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato GALLUZZO che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 112/2/12, depositata il 31 maggio 2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale (CTR) dell’Umbria accolse parzialmente l’appello proposto dalla Laudante Costruzioni S.r.l. (di seguito società) nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Perugia, che aveva invece rigettato il ricorso proposto dalla società avverso avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2005 e 2006 per IRES, IVA ed IRAP, con i quali erano stati accertati maggiori ricavi con riferimento alla vendita di cinque appartamenti nell’anno 2005 e di tra appartamenti nell’anno 2006 nella zona *****.

Il giudice di appello, pur confermando la legittimità dell’accertamento presuntivo dell’Amministrazione finanziaria in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) ed al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, ridusse del 10% in valori accertati riferiti alle vendite immobiliari in oggetto, essenzialmente in forza della dislocazione ritenuta “estremamente periferica” dell’area sulla quale furono realizzate le unità immobiliari.

Avverso la sentenza della CTR la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria con contestuale nomina quali nuovi difensori degli Avv.ti Antonio De Angelis; MARCO MASANTE e Simone Marchetti in sostituzione dell’originario difensore Daniele Porena, che ha rinunciato al mandato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, assumendo la contribuente l’erroneità della pronuncia impugnata nella parte in cui ha affermato l’idoneità del quadro degli elementi addotti dall’Ufficio ad assumere natura di presunzioni gravi, precise e concordanti al fine di legittimare la contestazione di maggiori ricavi e quindi la percezione di maggiore reddito d’impresa sottratto a tassazione.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ancora violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, nonchè della L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 24, comma 4, lett. g), comma 5, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, assumendo che in realtà l’Ufficio, al fine di giustificare la presunzione di evasione, avrebbe finito con il contrapporre ai prezzi di vendita di cui ai rogiti notarili il “valore normale” delle transazioni immobiliari, desunto sulla base delle banche dati OMI e del listino della Borsa Immobiliare dell’Umbria.

3. Con il terzo motivo, infine, la contribuente lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, segnatamente con riferimento all’eccepita falsità della documentazione fornita dall’agente K. riguardo al c.d. “listino prezzi” ed alle dichiarazioni giurate di terzi che avevano giustificato i motivi per i quali si erano resi beneficiari, ai fini dell’acquisto delle unità immobiliari, di mutui per importi risultati superiori ai rispettivi prezzi di acquisto dichiarati in atti.

4. I primi due motivi possono essere congiuntamente esaminati, in quanto tra loro connessi.

Essi sono infondati.

4.1. Questa Corte ha chiarito che “Nell’ipotesi di contestazione di maggiori ricavi derivanti dalla cessione di immobili, la reintroduzione, con effetto retroattivo, della presunzione semplice, ai sensi della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, (legge comunitaria 2008), che ha modificato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, sopprimendo la presunzione legale (relativa) di corrispondenza del prezzo della compravendita al valore normale del bene, introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, conv. in L. n. 248 del 2006, non impedisce al giudice tributario di fondare il proprio convincimento su di un unico elemento, purchè dotato dei requisiti di precisione e gravità”; se esso non può essere costituito dai soli valori OMI, nondimeno si è ritenuto che esso può essere integrato dal rilievo dello scostamento tra l’importo dei mutui erogati ai terzi acquirenti ed i minori prezzi di cessione indicati dalla parte venditrice nell’atto di vendita, non comportando ciò alcuna violazione delle norme in tema di onere probatorio (più di recente cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, 23 ottobre 2019, n. 27097; Cass. sez. 5, ord. 25 gennaio 2019, n. 2155; Cass. sez. 5, ord. 9 giugno 2017, n. 14388).

4.2. Nella fattispecie in esame la CTR, diversamente da quanto prospettato da parte ricorrente, non ha in alcun modo riprodotto, come presunzione semplice dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, nient’altro che il “valore normale” delle transazioni immobiliari in oggetto, ma ha preso in esame il complesso degli elementi addotti dall’Ufficio (tra i quali, oltre ai valori della banca dati OMI e del listino della Borsa immobiliare dell’Umbria, i mutui concessi da istituti di credito a terzi acquirenti superiori ai prezzi di vendita dichiarati in atti e parimenti le relative perizie di stima delle unità immobiliari finalizzate all’erogazione degli stessi mutui recanti valutazioni nettamente superiori ai prezzi dichiarati) valutandone l’idoneità – secondo il combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, ai fini IVA, e degli artt. 2727 e 2729 c.c. – a poter desumere da detti fatti noti in via inferenziale, con ragionamento pertanto corretto sul piano logico – giuridico, l’occultamento di maggiori ricavi dalle vendite immobiliari in esame rispetto ai prezzi dichiarati nei rispettivi rogiti notarili.

4.3. Di contro la decisione impugnata ha altresì valutato gli elementi addotti dalla contribuente – essenzialmente in forza delle dichiarazioni giurate dei terzi acquirenti, delle quali ha affermato in primis l’ammissibilità, volte ad indicare le ragioni che avrebbero dovuto giustificare l’erogazione dei mutui per importi superiori ai prezzi dichiarati di vendita delle diverse unità immobiliari.

5. Ciò induce altresì a ritenere inammissibile – oltre che riguardo alle modalità di formulazione della censura, trovando applicazione nella fattispecie in esame l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo anteriore alla modifica da ultimo apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134 – il terzo motivo, avendo il giudice tributario d’appello espressamente esaminato dette dichiarazioni, rilevando la loro inidoneità a superare la prova presuntiva offerta dall’Ufficio, in ragione del fatto che esse erano prive di documentazione che potesse confermare l’attendibilità delle stesse riguardo alla necessità di sopportare ulteriori spese della famiglia, come “ben sarebbe stato possibile fare ad esempio per gli acquisti di mobili registrati” (così, testualmente, la sentenza impugnata, che ha poi solo in parte accolto la doglianza della contribuente giustificando la riduzione del 10% sui valori accertati in ragione della dislocazione assolutamente periferica delle unità immobiliari in oggetto).

5.1. Si tratta, pertanto, nella fattispecie, di accertamento di fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito, congruamente motivato, che sfugge al sindacato della Corte in relazione al denunciato parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

6. In conclusione il ricorso deve essere pertanto rigettato.

7. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020

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