LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 15248/19 proposto da:
O.F.S.I., elettivamente domiciliato a Roma, v. Federico Cesi n. 72, presso l’avvocato Massimo Petracci, che lo difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona 15.11.2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28.9.2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.
FATTI DI CAUSA
1. O.F.S.I. (alias I.S.), cittadino *****, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).
2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese per timore di aggressioni da parte dei militanti del partito avverso a quello di sua appartenenza (il partito *****), dai quali era stato già in due occasioni aggredito.
3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.
Avverso tale provvedimento O.F.S.I. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Ancona, che la rigettò con ordinanza 29.10.2017.
Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Ancona con sentenza 15.11.2018.
Quest’ultima ritenne che:
-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potessero essere concessi perchè il racconto del richiedente era inattendibile, ed anzi del richiedente non era certa nemmeno l’identità personale, essendo privo di documenti ed avendo fornito in varie occasioni generalità diverse;
-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perchè nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;
-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa in quanto il richiedente non aveva era una “persona vulnerabile”.
4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da O.F.S.I. con ricorso fondato su due motivi.
Ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo il ricorrente, dopo aver censurato la statuizione con cui la Corte d’appello ha affermato esservi incertezza sulla sua stessa identità. Lamenta che la sentenza impugnata avrebbe errato sia nel ritenere inattendibile il suo racconto, sia nel ritenere insussistenti nel caso di specie i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per la concessione della protezione sussidiaria.
1.1. Il motivo è inammissibile in tutte le censure in cui si articola.
La valutazione con cui la Corte d’appello ha ritenuto incerta l’identità personale del richiedente, e di conseguenza inattendibile il suo racconto, è una valutazione di fatto, riservata al giudice di merito e non sindacabile in questa sede.
Una volta esclusa l’attendibilità del ricorrente, è venuto meno per la Corte d’appello il dovere di cooperazione istruttoria ai fini dell’accertamento della sussistenza di una effettiva persecuzione in danno dell’odierno ricorrente, così come dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).
1.2. Per quanto riguarda, invece, i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la Corte d’appello ha assolto il dovere di avvalersi di fonti di informazione attendibili ed aggiornate, sicchè sotto questo profilo la decisione è corretta; quanto poi al merito della relativa valutazione, essa costituisce un apprezzamento di fatto e non è censurabile in questa sede.
2. Col secondo motivo il ricorrente censura il rigetto della sua domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Nella illustrazione del motivo il ricorrente, dopo aver ricordato i presupposti dell’istituto, sostiene che la Corte d’appello, nel rigettare la relativa domanda:
-) non ha preso in considerazione i documenti prodotti, dimostrativi di uno stabile rapporto di lavoro in Italia;
-) ha adottato una motivazione puramente apparente;
-) non ha compiuto alcuna valutazione comparativa tra il grado di integrazione sociale raggiunto dal ricorrente in Italia, e la situazione cui sarebbe esposto in caso di rimpatrio.
2.1. Prima di esaminare tale motivo di ricorso, rileva questa Corte che la sua illustrazione non è coerente con la sua intitolazione.
Il ricorrente, infatti, a pagina 17, secondo capoverso, del proprio ricorso inquadra il vizio denunciato col secondo motivo come denuncia della “nullità della sentenza e del procedimento”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.
Nella illustrazione del motivo, tuttavia, come accennato il ricorrente lamenta nella sostanza (qualificandoli come “nullità processuali”) l’omesso esame di documenti (p. 20, ultimo capoverso); l’omessa considerazione del fatto che il ricorrente ha in Italia trovato un lavoro (p. 21); l’omessa considerazione delle precarie condizioni sociopolitiche del paese di provenienza (p. 22-23).
Il motivo deve dunque essere qualificato d’ufficio come contemporanea denuncia:
a) del vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, nella parte in cui prospetta la mancata considerazione dello svolgimento in Italia di attività lavorativa;
b) del vizio di falsa applicazione della legge, nella parte in cui prospetta che il giudice di merito ha negato la protezione umanitaria, in un caso in cui ne ricorrevano i presupposti.
2.2. Così correttamente ricostruite le censure prospettate dal ricorrente. esse vanno dichiarate ambedue inammissibili.
La censura sub (a) (omesso esame di fatti decisivi) è inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., in quanto i due gradi di merito si sono conclusi con una doppia sentenza conforme.
Anche la censura sub (b) è inammissibile.
Violazione di legge vi sarebbe potuta essere, in un caso come il presente, se il giudice di merito avesse dapprima accertato in fatto la sussistenza di una condizione di vulnerabilità, e poi negato in diritto il permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Non è questo il nostro caso: il giudice di merito, infatti, con accertamento in fatto insindacabile in questa sede, ha escluso che il ricorrente potesse considerarsi una persona “vulnerabile”, in considerazione della sua giovane età e della buona salute, ed ha aggiunto che, nel caso di rientro in Bangladesh, egli non sarebbe esposto ad alcun grave danno.
In punto di fatto, pertanto, il giudice di merito ha escluso la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, sicchè la censura prospettata dal ricorrente si risolve in una inammissibile richiesta di nuova valutazione dei fatti e delle prove.
3. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, ex art. 385 c.p.c..
Poichè la parte vittoriosa è un’amministrazione dello Stato, nei confronti della quale vige il sistema della prenotazione a debito dell’imposta di bollo dovuta sugli atti giudiziari e dei diritti di cancelleria e di ufficiale giudiziario, la condanna alla rifusione delle spese vive deve essere limitata al rimborso delle spese prenotate a debito, come già ritenuto da questa Corte (ex aliis, Sez. 3, Sentenza n. 5028 del 18/04/2000, Rv. 535811).
Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), se dovuto.
P.Q.M.
la Corte di Cassazione:
(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna O.F.S.I. (alias I.S.) alla rifusione in favore del Ministero dell’interno delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre rifusione delle spese prenotate a debito, I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 28 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020