Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.22467 del 16/10/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26783-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

BIANCHI SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA SCROFA 57, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PIZZONIA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIUSEPPE RUSSO CORVACE, DARIO ROMAGNOLI, CRISTIANO CAUMONT CAIMI;

– controricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1603/2015 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di BRESCIA, depositata il 16/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/09/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA.

FATTI DI CAUSA

La vicenda giudiziaria trae origine dal rimborso richiesto dal contribuente Bianchi srl del versamento dell’iva in eccesso per gli anno 2004, 2005, 2006, 2007, 2008 in cui era stata presentata dichiarazione annuale, per l’importo complessivo di Euro 102843. Formatosi il silenzio rifiuto, il contribuente adiva la commissione provinciale di Bergamo che accoglieva il ricorso limitatamente agli anni 2007 e 2008, ritenendo intervenuta decadenza del diritto per gli altri anni.

Proponeva appello sia l’Agenzia delle Entrate ritenendo non dovuto alcun rimborso, non essendo stata presentata la dichiarazione integrativa a favore ai sensi del D.P.R. n. 332 del 1998, art. 2, comma 8 bis.

Proponeva a sua volta appello anche il contribuente, ritenendo che il termine di decadenza dovesse cominciare a decorrere solo dalla risposta resa in data 19 ottobre dall’ufficio nei confronti della Federazione Italiana Concessionari che per la prima volta aveva riconosciuto la non applicabilità dell’Iva alle indennità conseguite dai concessionari nelle operazioni di finanziamento per l’acquisto di auto da parte dei clienti.

Riuniti gli appelli, la commissione Regionale della Lombardia confermava la decisione impugnata.

Propone ricorso in Cassazione l’Agenzia delle Entrate, tramite l’Avvocatura dello stato, deducendo il seguente motivo:

1) Nullità della sentenza impugnata per inosservanza (violazione e falsa applicazione) a) art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 e b) D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36.

Si costituiva con controricorso anche la soc. resistente, la quale, oltre a richiedere il rigetto del ricorso, proponeva a sua volta ricorso incidentale, ritenendo ingiusta la decisone nella parte in cui aveva negato il rimborso per gli anni 2004, 2005, 2006, rilevando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, secondo periodo e L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso con cui l’Agenzia delle Entrate deduce nell’ambito dell’unico motivo di ricorso sia l’omessa pronuncia che la violazione di legge, non essendo stato ritenuto essenziale per il rimborso la dichiarazione integrativa, è infondato. Nel caso il giudice di appello a chiare lettere ha precisato che “le prestazioni oggetto di richiesta di rimborso non costituiscono attività propria del contribuente ma sono operazioni accessorie come affermato dalla stessa direzione Centrale dell’Agenzia il 19 ottobre 2009 e sono esenti Iva”, nella parte finale della pagina due poi specificava che il diritto al rimborso deve spettare solo ed unicamente per la domanda riferito al biennio precedente. Tali argomentazioni consentono di affermare che il giudice di appello non solo ha esaminato il motivo con cui la parte, in appello, chiedeva il riesame sul riconoscimento del diritto al rimborso accordato dal giudice di primo grado, ma ha seguito un percorso perfettamente logico, considerando nel caso non dovuta l’iva versata per le provvigioni incassate dal contribuente e conseguentemente, per effetto della sola richiesta di rimborso, per i due anni precedenti l’amministrazione era tenuta alla restituzione. La parte nell’ambito dello stesso motivo deduce che non sussisteva il diritto al rimborso mancando la dichiarazione integrativa D.P.R. n. 322 del 1998, ex art. 2, comma 8 bis. Tale prospettazione appare anch’essa infondata. Per tutto quanto sopra esposto, una volta acclarato che il rimborso atteneva all’istituto del pro rata, e che ciò era pacifico se non altro del contribuente alla restituzione delle somme versate erroneamente.

Ricordiamo che nel processo tributario, l’obbligo dell’Amministrazione di prendere posizione sui fatti dedotti dal contribuente è ancora più forte di quello che grava sul convenuto nel rito ordinario, in quanto le disposizioni della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 18 e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, secondo le quali il responsabile del procedimento deve acquisire d’ufficio quei documenti che, già in possesso dell’Amministrazione, contengano la prova di fatti, stati o qualità rilevanti per la definizione della pratica, costituiscono l’espressione di un più generale principio valevole anche in campo processuale. ( vedi in senso analogo Cass. n. 21956 del 2010; cfr. già Cass. nn. 21209 del 2004, 22775 del 2009). Ricordiamo che già in tema di detrazione del credito IVA maturato con riferimento ad un anno di imposta in cui il contribuente ha omesso di presentare la relativa dichiarazione, le Sezioni Unite di questa Corte, nella sentenza n. 17757 del 2016 hanno affermato il principio secondo cui “la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale, l’eccedenza d’imposta – risultante da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto sia riconosciuta dal giudice tributario se siano stati rispettati dal contribuente tutti i requisiti sostanziali per la detrazione; pertanto, in tal caso, il diritto di detrazione non può essere negato nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato, laddove, pur non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, sia dimostrato in concreto – ovvero non controverso – che si tratti di acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibili”. In senso analogo si sono espresse le S.U. nella sentenza n. 17758 del 2016, in cui si è affermato (par. 6.7) che “il diritto di detrazione non può essere negato nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato, laddove, pur non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, sia dimostrato in concreto – ovvero non controverso – che si tratti di acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibili e di deduzione eseguita entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto”. Tale giurisprudenza può trovare applicazione anche al caso de quo. Appare infatti evidente che anche nel caso in questione il credito vantato dal contribuente circa il versamento di imposta non dovuta nasce dalla legge e non dalla dichiarazione, e quindi una volta dimostrato l’effettiva esistenza del credito, l’Amministrazione finanziaria non può negare il rimborso dell’iva, anche se manchi la dichiarazione integrativa, in tale modo la P.A viene posto nella medesima condizione in cui si sarebbe trovato qualora il contribuente avesse presentato la dichiarazione integrativa. Orbene, nel caso di specie, è pacifico che il disconoscimento sia stato operato non per contestazione di merito, ma sul mero riscontro formale dell’omessa integrazione della dichiarazione fiscale in cui il credito IVA era sorto. Pare intuitivo considerare che la compensazione ed il rimborso rappresentino un identico fenomeno, essendo solo diverse le modalità del recupero dell’imposta erroneamente versata e quindi le fattispecie devono essere trattate in modo identico, sicchè correttamente i primi giudici avevano giustamente fatto prevalere la sostanza sulla forma.

Per quanto riguarda il ricorso incidentale, con cui il contribuente sostiene che non si era verificata alcuna decadenza dovendosi considerare dies a quo la data della risoluzione ministeriale, anch’esso è infondato. Al riguardo va osservato che, trattandosi di imposta armonizzata deve tenersi conto della giurisprudenza Europea secondo cui in mancanza di disciplina comunitaria in materia di domande di rimborso delle imposte indebitamente versate o prelevate, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali domande possano essere presentate, purchè i requisiti in questione rispettino i principi di equivalenza e di effettività (Corte di giustizia, sentenza 15 marzo 2007, causa C-35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken), inoltre la previsione di un termine di decadenza di due anni entro il quale il soggetto passivo può reclamare il rimborso dell’IVA versata a torto nei confronti dell’amministrazione finanziaria è compatibile con il diritto dell’Unione (cfr. Corte di giustizia, 15 dicembre 2011, C427/10, p. 27, che richiama la sent. 17 novembre 1998, causa C228/96, Aprile, punto 19, sent. 30 giugno 2011, causa C-262/09, Meilicke e a., punto 56 e la sentenza 8 settembre 2011, cause riunite C-89/10 e C-96/10, Q-Beef e Bosschaert, punto 42), essendo idoneo a consentire a qualsiasi soggetto passivo normalmente diligente di far validamente valere i diritti attribuitigli dall’ordinamento giuridico dell’Unione (Corte di giustizia, 15 dicembre 2011, C-427/10 che richiama la sentenza 21 gennaio 2010, causa C-472/08, Alstom Power Hydro, punti 20 e 21).

Il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, prevede per il rimborso il termine biennale decorrente dalla data in cui è stato effettuato il pagamento che dà diritto alla restituzione del versato, e proprio la funzione di tale termine di decadenza che mira a rendere incontroversi i rapporti fiscali, non può dunque, diversamente da quanto affermato dal ricorrente incidentale, tale termine a quo essere mobile e modificato, per il principio della gerarchia delle fonti, dal parere della direzione centrale reso circa l’indebito pagamento dell’iva nel caso concreto. Tale parere non costituisce il presupposto giuridico per la restituzione dell’imposta non dovuta; dovendosi ritenere che il diritto al rimborso poteva essere giuridicamente azionato a prescindere da una tale risoluzione -con funzioni meramente chiarificatrice della legge da parte dell’amministrazione – per il sol fatto del pagamento non dovuto. Del resto di ciò è conscio lo stesso ricorrente che aveva azionato il diritto al rimborso ben prima della risoluzione del 19 10 2009. In definitiva la risoluzione dell’amministrazione finanziaria interpretativa della normativa, era inidonea a costituire un diritto prima insussistente, risoluzione che di per sè non era atta neppure a vincolare l’operato interno degli uffici. Stante la reciproca soccombenza le spese del presente giudizio vengono interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

La corte respinge il ricorso principale e quello incidentale. Spese compensate.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

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