Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.22547 del 16/10/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24875/2019 proposto da:

A.O.D., rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE CAROTTA, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 963/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 12/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/09/2020 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN.

FATTI DI CAUSA

A.O.D. – cittadino della ***** – ebbe a proporre ricorso avanti il Tribunale di Venezia avverso la decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Verona che aveva rigettato la sua istanza di protezione internazionale in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa.

Il ricorrente deduceva d’aver dovuto lasciare il suo Paese poichè aveva avuto una relazione sentimentale con ragazza di fede mussulmana, contrastata dal padre della stessa, tanto che lo fece aggredire.

La ragazza, inoltre, era rimasta incinta e, sull’insistenza della stessa, egli le dette del denaro per abortire, ma nel tentativo di fare un tanto la ragazza morì in sua presenza, sicchè accorsero le persone del vicinato ed egli, e per paura di essere accusato della morte della donna e per paura del di lei padre, fuggiva da un amico.

Tuttavia suo fratello, probabilmente scambiato per lui, venne ucciso da sicari incaricati dal padre della ragazza morta, i quali anche incendiarono la sua casa. A questo punto l’amico non volle più ospitarlo ed egli fu costretto ad affidarsi a persone che lo condussero in Libia.

Il Tribunale veneto ebbe a rigettare il ricorso ritenendo che la vicenda personale narrata dal ricorrente non era credibile; non sussistente nello Stato nigeriano di provenienza del richiedente asilo una situazione socio-politica caratterizzata da violenza diffusa e non concorrenti ragioni attuali di vulnerabilità od elementi lumeggianti integrazione nella società italiana ai fini della protezione umanitaria. Il richiedente asilo ebbe a proporre gravame avanti la Corte d’Appello di Venezia, che dichiarò inammissibile l’impugnazione mossa poichè non rispettati i canoni ex art. 342 c.p.c..

Il richiedente asilo ha proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento della Corte marciana articolato su unico motivo.

Il Ministero degli Interni, ritualmente evocato, ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso svolto da A.O.D. appare siccome inammissibile a sensi dell’art. 360 bis c.p.c., siccome la norma ricostruita ex Cass. SU n. 7155/17 -.

Con l’unico mezzo d’impugnazione proposto il ricorrente deduce violazione della norma ex art. 111 Cost., con conseguente vizio di violazione di legge per difetto di motivazione sostanziale della sentenza impugnata in quanto, erroneamente, la Corte lagunare ebbe a ritenere aspecifici i motivi del suo gravame, che invece erano puntuali ed in linea con le disposizioni di legge.

Osserva il ricorrente come il Collegio marciano ebbe a malamente apprezzare gli argomenti presenti nel suo atto d’appello – che ritrascrive per parte – specie con riferimento alla critica portata alla inadeguata valutazione delle condizioni di vulnerabilità a lui riferibili.

In effetti il ricorrente deduce non tanto violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3, invero nemmeno indicando la norma violata, bensì lamenta vizio di nullità per omessa motivazione, stante il richiamo alla disposizione costituzionale posta al riguardo dall’art. 111 Cost..

Tuttavia, evidentemente perchè consapevole che la motivazione circa la ragioni addotte dalla Corte lagunare per confortare la declaratoria d’inammissibilità del gravame risultano ben presenti nella sentenza impugnata, il ricorrente qualifica il vizio come difetto di “motivazione sostanziale” ossia richiamando l’ipotesi di motivazione apparente.

Ma anche detta figura all’evidenza non concorre nella specie poichè la Corte serenissima ha puntualmente indicato le ragioni, sulla cui base ha giudicato aspecifico il gravame – i motivi elaborati sono privi di riferimento alla situazione personale propria del richiedente asilo -, ed un tanto s’apprezza anche mediante la lettura del passo dell’atto d’appello riprodotto in ricorso.

Inoltre la censura palesa, anche, profilo di genericità in quanto non riprodotta in ricorso la parte della motivazione della sentenza di prime cure, cui si riferiva il passo dell’atto d’appello riprodotto al fine di consentire a questa Corte d’apprezzare il requisito della specificità del mezzo di gravame.

Quindi in definitiva l’argomentazione critica mossa nel ricorso risulta fondata su apodittica affermazione che non si confronta in concreto con la motivazione esposta dalla Corte di merito, sicchè il motivo di impugnazione s’appalesa siccome generico.

Alla declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione non segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità in favore dell’Amministrazione costituita poichè il controricorso depositato privo dei requisiti processuali tipici di detto atto processuale.

Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso, nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza in Camera di consiglio, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

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