Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.22565 del 16/10/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 27696/16) proposto da:

P.G., (C.F.: *****), e A.M.S., (C.F.: *****), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Innocenzo D’Angelo, e domiciliati “ex lege” presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione, in Roma, P.zza Cavour;

– ricorrenti –

contro

PO.PE., (C.F.: *****), e D.A., (C.F.:

*****), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti Federico Scanferlato, e Fabrizio Carbonetti, ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, v. di San Valentino, n. 21;

– controricorrenti –

nonchè nei confronti:

T.A., (C.F.: *****), + ALTRI OMESSI, tutti rappresentati e difesi, in virtù di procura in calce al controricorso, dall’Avv. Massimo Miglio e dall’Avv. Marika Dotto ed elettivamente domiciliati presso lo studio della seconda, in Roma, v. S. Tommaso D’Aquino, n. 104;

– altri controricorrenti –

RILEVATO IN FATTO

1. Con sentenza n. 927/2013 l’adito Tribunale di Treviso rigettava la domanda proposta dai sigg. P.G. ed A.M. nei confronti di Po.Pe. e D.A., nel cui giudizio intervenivano anche i venditori dell’immobile ceduto ai convenuti, diretta all’ottenimento dell’accertamento del loro diritto di comproprietà dell’area scoperta ubicata nel Comune di Paese e identificata catastalmente come sez. A, f. *****, mapp. *****.

I predetti convenuti, ancorchè vittoriosi rispetto alla domanda formulata dagli attori nei loro riguardi, appellavano la citata sentenza, poichè, con essa, il suddetto Tribunale non si era pronunciato in ordine alla domanda riconvenzionale da essi avanzata di accertamento negativo di servitù e di conseguente autorizzazione a recintare il menzionato mappale ovvero ad apporre i termini confinari, oltre che in relazione alla loro condanna a rifondere le spese giudiziali in favore dei terzi chiamati in causa.

Si costituivano in secondo grado tutti gli appellati e gli originari attori formulavano, a loro volta, appello incidentale, impugnando la gravata sentenza con cui era stata respinta la loro domanda di accertamento della comproprietà relativa alla indicata area scoperta, identificata catastalmente con i già precisati estremi.

2. La Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 909/2016 (depositata il 22 aprile 2016), così provvedeva: – accoglieva l’appello principale e rigettava quello incidentale; – accertava e dichiarava l’insussistenza di servitù di passaggio a carico del mappale 449 sub 5 fronte sud del NCEU del Comune di Paese (Sez. A, foglio 4) ed a favore dello stesso mappale ma *****, con riferimento agli stessi foglio, sezione e Comune; – ordinava la cessazione di ogni transito in sito e l’apposizione dei termini confinari lungo la linea di demarcazione tra il mappale ***** e il mappale *****; – condannava gli appellanti incidentali alla rifusione delle spese del doppio grado in favore sia degli appellati incidentali che degli altri appellati; – condannava, infine, gli appellati – già chiamati in causa come terzi nel giudizio di primo grado – alla restituzione, in favore degli appellanti principali, di quanto da questi ultimi versato in esecuzione della sentenza di primo grado, oltre interessi legali dall’avvenuto pagamento e fino al saldo effettivo, salvo il recupero a loro favore a carico degli appellanti incidentali.

3. Avverso la citata sentenza di appello hanno formulato ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, P.G. ed A.M., resistito con controricorso congiunto da Po.Pe. e D.A. e con altro controricorso cumulativo dagli altri appellati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullità della sentenza per mancanza di motivazione in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) e all’art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè all’art. 111 Cost., in quanto scritta a mano e da ritenersi assolutamente non decifrabile.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti avuto riguardo alla mancata ammissione di alcune istanze istruttorie tese a dimostrare il loro diritto di comproprietà sull’area scoperta oggetto del contendere.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti hanno testualmente prospettato un vizio ex art. 360 c.p.c., comma, n. 5, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., secondo il quale sono di proprietà comune i cortili e in genere tutte le parti dell’edificio necessario all’uso comune.

4. Con il quarto ed ultimo motivo i ricorrenti hanno denunciato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – un ulteriore vizio di nullità della sentenza per mancanza di motivazione ordine all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) e all’art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè all’art. 111 Cost., in quanto scritta a mano e assolutamente non decifrabile, nonchè per mancanza assoluta di motivazione relativamente al rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto da Po.Pe. e D.A., oltre che – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione dell’art. 160 c.p.c., n. 3, (rectius: art. 163) laddove impone al soggetto che propone una domanda di precisare l’oggetto della controversia.

5. Rileva il collegio che occorre, in prima battuta, farsi carico dell’esame delle eccezioni pregiudiziali formulate nell’interesse dei controricorrenti.

Esse sono comuni ai costituiti controricorrenti e riguardano l’asserito difetto di specialità della procura, la supposta carenza dell’esposizione sommaria dei fatti di causa e la prospettata mancata indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali è stato fondato il ricorso.

Ritiene il collegio che tutte e tre sono prive di fondamento e vanno respinte.

5.1. Quanto alla prima si osserva che la procura risponde ai requisiti previsti dall’art. 83 c.p.c., risultando redatta su foglio separato e materialmente allegato al ricorso cui si riferisce, nel quale è, per l’appunto, specificamente inserito il conferimento del potere di rappresentanza al costituito difensore nel “presente procedimento…instaurato con ricorso avanti la Suprema Corte di cassazione, nei confronti di Po.Pe. e altri”, non essendo, al fine in questione, necessario indicare anche la sentenza oggetto di impugnazione.

5.2. In ordine alla seconda riportata eccezione non può affatto ritenersi sussistente il mancato soddisfacimento del requisito di ammissibilità prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), dal momento che il ricorso, nel suo complessivo contenuto, ripercorre compiutamente lo svolgimento del giudizio sin dalla proposizione dell’atto introduttivo (con la sufficiente specificazione della domanda avanzata) e fino alla definizione in appello con la sentenza qui impugnata, mediante la descrizione dei vari passaggi processuali.

5.3. Non merita adesione nemmeno la terza eccezione poichè i motivi svolti non pongono specifico riferimento a documenti asseritamente decisivi dei quali sarebbe stata omessa la valutazione, bensì a censure di ordine processuale e alla mancata ammissione di prove orali.

6. Ciò premesso, osserva il collegio che il primo motivo è infondato perchè non si versa in un’ipotesi di nullità dell’impugnata sentenza che, ancorchè scritta a mano, risulta sufficientemente intellegibile.

In proposito, la giurisprudenza di questa Corte – proprio con riferimento a ricorsi per cassazione proposti avverso sentenze della Corte di appello di Venezia, redatte manualmente dallo stesso estensore della pronuncia qui impugnata – ha, anche recentemente, precisato che, in mancanza di un’espressa comminatoria, non è configurabile nullità della sentenza nell’ipotesi (pure ricorrente nel caso in esame) di mera difficoltà di comprensione e lettura del testo stilato in forma autografa dall’estensore, atteso che la sentenza non può ritenersi priva di uno dei requisiti di validità indispensabili per il raggiungimento dello scopo della stessa (cfr. Cass. n. 6307/2020 e, già prima, Cass. n. 4947/2016).

7. Il secondo motivo è inammissibile e, comunque, destituito di fondamento. Non corrisponde al vero, infatti, che la Corte territoriale abbia omesso l’esame delle istanze istruttorie indicate nella censura, avendo, invece, essa ravvisato l’inammissibilità delle prove orali riproposte in appello, essendo risultato escluso documentalmente che agli appellanti incidentali (odierni ricorrenti) fosse stata mai trasferita la comproprietà del preteso cortile di pertinenza che tale, peraltro, evidentemente non era e la cui superficie insisteva anche su un mappale diverso, senza che, oltretutto, fosse risultata la sua destinazione al servizio dell’edificio dei medesimi appellanti incidentali.

8. Pure la terza censura non coglie nel segno e va respinta.

Ed invero la Corte veneta, con valutazione di merito insindacabile in questa sede (siccome adeguatamente fondata sull’esame dei titoli e delle ulteriori emergenze probatorie), ha accertato che, nella fattispecie dedotta in giudizio, non poteva applicarsi la presunzione di condominialità dello spazio controverso in quanto appartenente a cortile condominiale, poichè trattavasi di area (identificata con il mappale 442 sub 2) che non era posta a servizio necessario dell’intero edificio e ciò era confermato anche dall'(incompatibile) estensione della relativa superficie.

E’, quindi, chiaramente insussistente il (peraltro genericamente dedotto) vizio ricondotto all’art. 360 c.p.c., n. 5, così come non si è configurata l’asserita violazione dell’art. 1117 c.c., in conseguenza degli specifici accertamenti fattuali compiuti dalla Corte di merito in virtù dei quali è rimasta superata la presunzione prevista da detta norma.

9. Anche la quarta ed ultima doglianza è infondata e va rigettata nel suo complesso, sia perchè non è configurabile la nullità della sentenza per il caso già indicato in risposta al primo motivo sia perchè non sussiste un vizio ricollegabile dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’ipotesi di mancata rilevazione della precisazione della domanda giudiziale, oltretutto da considerarsi, nel caso di specie, chiara e determinata nei suoi elementi oggettivi e, come tale, correttamente identificata ed apprezzata dal giudice di appello.

10. In definitiva, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento, in favore di ciascun gruppo dei costituiti controricorrenti, delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei termini di cui in dispositivo.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, in via solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida, in favore di ciascun gruppo dei costituiti controricorrenti, in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, Iva e Cpa nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, in via solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020

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